L’intervento di don Leoluca Pasqua |
don LEOLUCA PASQUA - padre spirituale seminario arcivescovile di Palermo
Saluto e ringrazio i convenuti e la professoressa Benedetta Marcianti per l’invito a presentare il suo libro dal titolo “La rosa dei venti”.
Un invito nato durante un incontro avvenuto questa estate a Corleone, direi non una semplice casualità, ma una coincidenza provvidenziale, di quelle che fanno accadere qualcosa di importante. Infatti tale incontro ha riacceso la memoria di alcuni, tra gli anni più significativi della mia giovinezza, vissuti a Corleone, soprattutto il tempo degli studi al liceo classico, con tutte le fatiche e le gioie, i compagni di classe, i professori che ci hanno accompagnato nel cammino formativo: luoghi, volti, ricordi, emozioni, che considero medicina per l’anima e per il corpo.
È terapeutico ricordare, cioè riportare non solo alla mente, ma anche al cuore, cosi come dice l’etimologia della stessa parola, ciò che ha contribuito a formare la nostra personalità e quello che siamo oggi.Leggendo attentamente il libro, che per altro si presta a una lettura lineare e piacevole, mi sono subito reso conto che il pensiero dell’autrice gioca su un binomio che ritengo particolarmente importante per cogliere il senso della vita. Tale binomio è: memoria e futuro. Due esperienze strettamente unite, che costituiscono il risvolto di una stessa medaglia, che, se ben equilibrate, permettono di stare autenticamente nel presente e di viverlo in modo pieno e fecondo. Più precisamente il presente per diventare sempre più significativo ha bisogno di nutrirsi di ricordi, belli e meno belli. Una memoria che deve diventare gratitudine per ciò che siamo e che abbiamo (che spesso diamo troppo per scontato). Una memoria, che in modo coraggioso, non deve avere paura di ritornare sui luoghi dei propri fallimenti, sulle ferite, sulle contraddizioni vissute, e non per piangerci sopra, ma per imparare a vivere meglio e a non ricadere negli stessi errori. Attivare la memoria significa però non cadere nella trappola della perenne nostalgia, tipica di chi non accetta nessun cambiamento, di chi dice “era meglio prima”. Non si può vivere solo di ricordi, si diventerebbe schiavi del passato e la memoria potrebbe ammalarsi.
Da questo ci può preservare solo la tensione verso il futuro, ecco l’altra faccia della medaglia: il camminare in avanti, il progettare, il guardare oltre l’orizzonte, il sognare, il desiderare. Dice l’autrice: “Guardare al futuro senza megalomania, senza la prosopopea di chi si crede padrone del mondo”. Tutto questo ci tiene vivi e non ci fa arrendere neanche di fronte alle difficoltà. Guardare al futuro e sperare non per deresponsabilizzarci o per fuggire dal presente, ma anzi per renderlo più pieno e motivato.
Questo raccontarsi attraverso il binomio memoria - futuro mi sembra il contributo più significativo del libro dove l’autrice ci fa dono di uno spaccato della sua vicenda personale e familiare vissuta durante il tempo del lockdown: ricordi, emozioni, impressioni, paure, desideri, racconti, avvalorate da citazioni autorevoli. Un pezzo di storia di una donna, madre, credente, insegnante, che come ricorda il prof. Antonio Di Benedetto nella prefazione, ha deciso di non indossare solo il grembiule da casalinga e di mettersi da parte, ma di continuare a stare sulla cattedra in modo diverso che a scuola, insegnandoci una cosa fondamentale, che la vita è bella e unica, non ce ne un’altra da vivere e che pertanto va vissuta a 360 gradi, con tutte le sue contraddizioni, le sue sofferenze, accettando la propria condizione di fragilità e di incompletezza, e arrivare a scoprire che per completarci abbiamo bisogno gli uni degli altri e che nessuno basta a se stesso.
A tal proposito, tra le tante, riflessioni ho trovato molto interessante quella del 10 giugno 2020 (p. 56), scaturita dalla visione di un programma televisivo trasmesso da Assisi il luogo che subito ci richiama la semplicità e l’essenzialità di un uomo di nome Francesco, che ha saputo fare della sua vita un canto di amore per Dio e per i fratelli. Qui troviamo un passaggio significativo per vivere dignitosamente la vita: spostare il baricentro dall’io al noi. Superare i sensi di onnipotenza che non ci permettono di incontrarci da fratelli, superare quell’atteggiamento di sentirsi migliori degli altri, di volere a tutti i costi primeggiare o dire sempre l’ultima parola, trattando gli altri con sufficienza. Il lavoro da fare è quello di uscire da se stessi per incontrare l’altro, lasciando cadere i pregiudizi, le antipatie le differenze e tutto ciò che può costituire un ostacolo all’ascolto e all’accoglienza vera. Mi piace citare a tal proposito un teologo contemporaneo Bruno Chenu che in un suo saggio dal titolo Tracce del volto. Dalla parola allo sguardo, sottolinea: «Tutta l’arte dell’essere uomo consiste nel fare della presenza frontale una relazione amicale, una relazione fraterna, il faccia a faccia è quel luogo originario in cui ognuno si crea tramite l’altro e con l’altro, in cui si gioca una mutua fecondità. Io ricevo il mio volto in parte dagli altri, leggo sul volto degli altri, la traccia del mio proprio volto e interiorizzo l’effetto dell’incontro». Abbiamo bisogno dell’altro per uscire dall’autoreferenzialità che acceca la persona e che rende incapaci di vedere i propri errori e i propri limiti.
Per certi aspetti il tempo del lockdown ci ha costretti a stare più a casa a reinventare spazi e tempi, a stare in stretto contatto, almeno con i propri familiari. Forse ci siamo guardati un pò di più negli occhi, ci siamo riscoperti gli uni gli altri, come fratelli, figli, genitori. Forse abbiamo riscoperto la bellezza del dialogo, del raccontarsi a vicenda, del soffrire insieme e dello sperare insieme, la gioia delle piccole cose e dei semplici gesti della quotidianità o anche la voglia di metterci in contatto telefonicamente con amici per sapere come stavano.
Tutto questo non può essere perduto, lo ricorda il presente volume che vuole semplicemente insegnarci ad acquisire uno guardo nuovo su noi stessi, sugli altri, su quanto ci circonda, insomma a vivere bene la vita e a gioire delle piccole cose, a rendere straordinario l’ordinario. Non dobbiamo aspettare un’altra pandemia per accorgerci di chi siamo realmente o per scoprire la nostra fondamentale chiamata ad “essere per gli altri”, in una sola parola ad amare a sprigionare questa potenza che ci abita e che attende semplicemente di essere liberata e incarnata nella quotidianità. Questo è l’antidoto al virus dell’indifferenza e dell’autoreferenzialità, cosi come sottolinea l’autrice in un’altra riflessione: «A pensarci bene un vaccino per tutti esiste, è il vaccino sociale di cui parla papa Francesco: la solidarietà, un vaccino per tutti senza effetti collaterali se non la pacificazione con il prossimo, la serenità nel dare senza nulla pretendere, l’onestà intellettuale, il rispetto delle regole» (28 Marzo 2021).
Questa è la strada che rende l’uomo felice, non la ricerca del di più a tutti i costi, di ciò che spesso ci aliena. Non progetti di grandezza e di autoaffermazione, ma ricerca dell’essenziale di ciò che veramente serve nella vita, di ciò per cui vale la pena spendere energie. Questo aspetto viene sottolineato più volte nel libro, rivelando anche il percorso, direi umano e spirituale dell’autrice, che ci testimonia una fede schietta e verace, schiva da fronzoli devozionali, una fede mai sganciata dal quotidiano, ma vissuta con coerenza e nella piena assunzione delle proprie responsabilità.
Tutto questo mi fa pensare che quel “vento che soffia dove vuole e che non sappiamo da dove viene, né dove va”, di cui parla Gesù, invitando Nicodemo a rinascere dall’altro, abbia invaso anche la nostra carissima Bettina, ne è testimonianza questo libro scritto con il cuore, ma soprattutto la sua significativa testimonianza umana e professionale che ha ben seminato nella vita di tanti di noi che abbiamo avuto il privilegio di essere suoi alunni.
Grazie per questo dono che ci ha fatto.
Don Leoluca Pasqua
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