Attilio Bolzoni
Lo storico Enzo Ciconte ha aperto una discussione su Domani sulla legittimità, per questa destra, di intestarsi le battaglie antimafia dopo la cattura di Messina Denaro
Quale partito o movimento politico, oggi in Italia, non si dichiara apertamente antimafia? A parole tutti. E chi si sognerebbe mai di manifestare pubblicamente apprezzamento a un Matteo Messina Denaro o ai rappresentanti di una famiglia di Cosa nostra o di 'ndrangheta?
Non siamo più negli anni Cinquanta quando il ministro degli Interni Mario Scelba, in un celebre discorso alla Camera, tentò di persuadere i suoi onorevoli colleghi che mafia era semplicemente sinonimo di «bellezza». I tempi sono cambiati ed è cambiato pure il linguaggio: la mafia fa schifo a tutti. Anche ai mafiosi che ormai in svariate occasioni, non potendo più negare l'esistenza in vita della loro organizzazione, provano a mischiare le carte. Ma le cose stanno proprio così?
Materia molto scivolosa
Il dibattito aperto dallo storico Enzo Ciconte sul Domani, con l'articolo La destra non ha titolo per parlare di antimafia, dopo le deliranti accuse lanciate da Fratelli d'Italia sull'«inchino» che avrebbe fatto il Pd sul 41 bis all'anarchico Cospito e continuato da Nello Trocchia , trascina in una materia molto scivolosa dove non bisogna confondere il passato con il presente.
È vero che storicamente la sinistra italiana, e in particolare il Partito comunista, si è schierata nettamente dall'altra parte pagando le sue scelte con il sangue. I dirigenti del Pci assassinati in Calabria e in Campania, i quasi cinquanta sindacalisti uccisi in Sicilia nel secondo Dopoguerra, l'omicidio eccellente di Pio La Torre nella Palermo del 1982.
La lapide e il postfascista
Per molti magistrati basta mettersela sulla scrivania per sentirsi in qualche modo uguali a loro, avere una sorta di patente, un marchio doc.
È così anche per l'eredità antimafia rivendicata per La Torre. Personaggio sempre più ingombrante nei vari passaggi e trasformazioni dal Pci al Pds, dai Ds sino al Pd, siamo proprio sicuri che quell'eredità sia stata adeguatamente tutelata, che i discendenti di quella storia politica abbiano sempre tratto insegnamento dal quel lascito? Nel 2009, ventisettesimo anniversario del delitto La Torre, il presidente della Camera Gianfranco Fini invitò i suoi famigliari a Montecitorio per la scopertura di una lapide in onore di un comunista caduto per mano di Cosa nostra. Non ci avevano pensato mai i suoi predecessori – Nilde Iotti, Giorgio Napolitano e Luciano Violante – tutti provenienti dal Pci. L'ha voluta un post fascista, uno che aveva mosso i suoi primi passi nel Fronte della gioventù, portato da Giorgio Almirante al vertice del Movimento sociale, poi leader di Alleanza nazionale e poi ancora vice di Silvio Berlusconi nel suo secondo governo. Più passano gli anni e più Pio La Torre in quel partito sembra un santino sbiadito, alla bisogna tutti lo citano ma non mi pare che qualcuno abbia rilanciato con convinzione la sua azione politica e parlamentare contro le mafie. Di esempi contrari invece ce ne sono. A cominciare dalle promiscuità del Pd romano a Ostia o in alcune zone dell'aversano e della Calabria, per non parlare poi della Sicilia – proprio nella terra di La Torre – dove il Pd è entrato corpo e anima nel cosidetto sistema Montante, quello che una giudice ha definito «mafia trasparente».
Fornendo come fantoccio a una rete criminale addirittura il governatore Rosario Crocetta, appoggiando in giunta e fuori i signori dei rifiuti, non muovendo un dito mentre una banda saccheggiava la regione. Assai difficile ritrovare l'eredità di Pio La Torre in quel Pd. Ma le parole valgono per tutti. Che dire allora del partito di Giorgia Meloni, lei che si riempie la bocca del "suo" Paolo Borsellino e che alle comunali di Palermo del giugno scorso ha prima candidato la fedelissima Carolina Varchi a sindaco, poi l'ha ritirata per appoggiare il candidato Roberto Lagalla voluto dai due condannati per reati di mafia Marcello Dell'Utri e Totò Cuffaro?
Il passato è lontanissimo ed è fuorviante dare oggi un colore politico alla mafia, che è trasversale e cangiante.
La mafia non è di destra e non è di sinistra, la mafia non ha ideologia, non è soggetto politico, non c'è un partito della mafia. La mafia sta semplicemente con il potere, è sempre attaccata al potere. Con la politica l'attrazione è reciproca. Un pezzo grosso della Cupola, Antonino Giuffrè, raccontava: «Per noi la politica è come l'acqua per i pesci». Che fine fanno i pesci senza acqua? Muoiono.
Attilio Bolzoni
Domani, 17/2/3023
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