DINO PATERNOSTRO
È noto che Agata, vergine e martire, è la patrona di Catania. Ed è nota la grande fede dei catanesi nei suoi confronti, che coinvolge tutti gli strati della popolazione. Non a caso in suo onore vengono organizzate ogni anno ben tre feste: la prima dal 3 al 5 febbraio, la seconda il 12 febbraio e la terza il 17 agosto.
Le ricorrenze di febbraio sono legate al martirio della santa catanese, avvenuto nel 251 d.C., mentre quella di agosto serve a ricordare il ritorno a Catania delle sue spoglie, che erano state portate a Costantinopoli dal generale bizantino Giorgio Maniace, che le considerò bottino di guerra. Le spoglie della santa martire rimasero nella capitale dell’impero romano d’oriente per 86 anni, fino a quando nel 1126 “un francese di nome Gisliberto e un calabrese di nome Goselino avrebbero compiuto il furto delle reliquie di Agata a Costantinopoli e,
attraverso Smirne, Corinto, Modone, Taranto e Messina, le avrebbero restituite a Catania”, “in otto preziosi reliquiari in argento” e custodite “nel Duomo che Ruggero I il Normanno fece erigere nel 1094 insieme ad un monastero benedettino ivi annesso”. Era la notte del 17 agosto 1126. In effetti, quella del 17 agosto (si svolgerà tra pochi giorni!) è probabilmente la festa più antica nel tempo, perché ricorda i festeggiamenti spontanei che si svolsero proprio in quella notte di quasi mille anni fa.E nel mese di luglio di quest’anno, un mese prima della ricorrenza, l’editore Giuseppe Maimone di Catania ha pubblicato una nuova biografia della santa, "Agata vergine e martire" di Maria Stelladoro, una specialista in paleografia e codicologia greca, che si occupa da tempo di agiografia greco-latina, settore in cui ha all’attivo numerose pubblicazioni scientifiche su riviste specializzate del settore. Noi le siamo grati anche per l’interessante biografia dedicata a Leone Luca, patrono di Corleone e Vibo Valentia, pubblicata alcuni anni fa, che in atto è la ricerca più completa e scientificamente attendibile sul monaco basiliano originario di questo paese in provincia di Palermo.
Il nuovo volume dedicato ad Agata (156 pagine, € 19,00) ha visto la luce grazie alla devozione della dottoressa Marina La Falce, titolare dell’omonima farmacia.
Dopo la monografia “Agata, la martire”, Maria Stelladoro è tornata ad occuparsi della Santa con questa nuova opera nella quale ricostruisce il dibattimento giudiziario che vide Agata sul banco degli imputati, come tramandato dalla tradizione greca. Raccoglie notizie di un maestro poco noto di Aidone che ha composto il canto che viene intonato dalle monache benedettine prima del rientro della Santa, nei giorni della sua Festa, in Cattedrale.
Ma il libro comincia ponendosi l’interrogativo che ancora oggi non trova una risposta certa. Agata subì il martirio a Catania, su questo nessuno ha dubbi. Ma è vero, come vuole “la tradizione degli atti greci del martirio”, che invece nacque a Palermo? Secondo i palermitani, sì. Ma i catanesi non sono d’accordo. Sostengono, invece, appoggiandosi alla tradizione in latino, che Agata nacque e fu martirizzata a Catania. E le diatribe sull’asse Palermo-Catania non hanno mai avuto fine. Anzi ebbero il culmine - ci racconta la Stelladoro - nel 1600, fino a provocare l’intervento di papa Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), che decise di... non decidere, scrivendo che Agata fosse sia cittadina di Catania che di Palermo.
Nel libro, che si legge con grande interesse, Maria Stelladoro ricostruisce il martirio di Agata ai tempi dell’imperatore Decio, che aveva nominato governatore della Sicilia un certo Quinziano, quando era in atto una persecuzione contro i cristiani che rifiutavano l’idolatria pagana.
Proprio Quinziano provava una forte passione nei confronti di Agata, “una bella e nobile donna, che era originaria di Palermo” (si legge nei manoscritti in greco citati dalla Stelladoro)e poiché non ne era ricambiato, la fece arrestare, accusandola di non accettare il culto pagano, e ne dispose il trasferimento a Catania. Il governatore provò in tutti i modi ad imporle la conversione, utilizzando tante forme di pressione, fino alla tortura. Ma Agata non cedette, accettando il martirio che avvenne a Catania nel 251 d.C.
Nel libro si fa un ampio riferimento alle due traslazioni delle reliquie (da Catania a Costantinopoli, nel 1040 e poi da Costantinopoli a Catania nel 1126).
Un particolare capitolo è dedicato ai reliquiari e alle reliquie, devotamente custoditi dai cittadini di Catania: il busto di sant’Agata; lo scrigno in argento e le reliquie; il fercolo/vara (bara).
Un altro aspetto che viene qui esaminato e che è tanto caro al cuore dei devoti è la candelora, della quale vengono ripercorse le tappe più rappresentative per spiegarne il significato e per esaminarne le suggestive e pregevoli fatture.
Non è stato trascurato il legame tra Siracusa e Catania, nell’opera di Metodio di Siracusa, patriarca di Costantinopoli, che espone il miracolo dell’olio traboccante dalle lampade; l’accenno ai più importanti personaggi storici, che fanno da sfondo alla narrazione del racconto e del dibattimento giudiziario della vergine e martire Agata, che ci aiutano a comprendere il quadro storico del momento.
In Appendice sono stati raccolti gli atti greci del martirio (che presentiamo in una libera e agevole interpretazione) e il modello del martirio di Agata.
Dino Paternostro
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