DI FRANCESCO PATANÈ
La delusione per le informative ignorate. A casa del padrino trovati altri documenti d’identità
PALERMO — C’è poco da sorridere e la felicità è solo di facciata se dopo la cattura scopri che il latitante più pericoloso e ricercato d’Italia viveva da normale cittadino nel paese dove sei il comandante della polizia municipale o della stazione dei carabinieri. Non fai i salti di gioia se a novembre del 2021 dai tuoi uomini è partita una segnalazione su una possibile presenza di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara ed è rimasta lettera morta negli uffici dell’Arma. Chi frequenta i militari della caserma a cinquecento metri dal covo di vicolo San Vito assicura che in questi giorni c’è poco da scherzare. Si respirano frustrazione e delusione, umane più che professionali. Le immagini dell’appartamento al piano terra arredato come tante altre case, con due pacchetti di sigarette nuovi accanto al televisore, la carne macinata in frigo, il bagno con la tavoletta del water
alzata sono tutti segni di una vita normale e non fanno altro che aumentare il disappunto per chi lo aveva sotto gli occhi da oltre un anno e non si è accorto di nulla. Nel covo gli inquirenti hanno trovato altre carte d’identità di persone che, come Andrea Bonafede, gli hanno prestato l’identità prima del 2020. Documenti veri con le foto probabilmente sostituite dallo stesso Messina Denaro Smaltita la sbornia di soddisfazione per la cattura, nel comune del Belìce l’ultimo dei Corleonesi comincia ad essere un “concittadino” scomodo che, a parte qualche turista in più, rischia di portare solo guai. Le indagini sulla rete di fiancheggiatori stanno scavando su tutto ciò che è stato fatto, che non è stato fatto e che si sarebbe potuto fare per arrivare prima alla cattura della “primula rossa”. «Non era certo compito mio arrestare Messina Denaro — premette il comandante dei vigili urbani Giuliano Panierino —. Siamo in dieci e ci dobbiamo occupare di viabilità e di controlli amministrativi. C’era mezza Sicilia che lo cercava. Certo, per anni ho sognato di mettergli le manette, mi ero anche preparato il discorso da fargli». Un sogno, appunto,infranto da una realtà molto diversa: «Pensare che viveva qui come un normale campobellese mi scatena la rabbia. Mi sento preso in giro. Due giorni fa un mio agente era sicuro di averlo incontrato la settimana prima della cattura al supermercato. Stesso giubbotto ma con le ciabatte. Ne era sicuro. Dopo, sempre dopo la cattura». Per i carabinieri della stazione di Campobello sono giorni di tensione. Chi li frequenta assicura che non è stata una settimana facile fra le mura della caserma al 133 di viale Risorgimento. Il nuovo comandante, il luogotenente Nicolò Adamo, è arrivato da soli otto mesi. Prima guidava la stazione di Petrosino, prima ancora è stato ad Alcamo e al radiomobile di Marsala. Sempre nel trapanese. In caserma sono una quindicina, alcuni a Campobello da anni. Conoscono il territorio, hanno i loro informatori e la dritta della presenza di Messina Denaro a Torretta Granicola non era così campata in aria. «Nessuno ci ha voluto ascoltare» hanno detto agli amici. Rabbia e frustrazione rimangono, per non aver insistito su quell’informativa, per non aver controllato quella Giulietta nera che girava per il paese. «Si faceva chiamare Francesco da queste parti, al pescivendolo si è presentato come un infermiere in pensione, originario della provincia di Palermo con una casa a Triscina e un’eredità lasciata dai parenti — dice il comandante dei vigili Giuliano Panierino — Certo, se lo avessi fermato alla guida della Giulietta forse la storia sarebbe cambiata».La Repubblica, 28 gennaio 2023
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