ATTILIO BOLZONI
- Ormai restava solo lui di quella Cosa nostra che aveva rinnegato la sua intima natura mafiosa per travestirsi da terrorismo, fidandosi di qualcun altro che l’aveva spinta a mettere bombe in giro per l’Italia.
- Capo non capo, si chiude un’era. Era l’ultimo dei grandi ricercati. Irreperibile dal giugno del 1993, l’avevano avvistato in Sudamerica e in Tunisia, In Olanda e in Versilia. Ma era nella sua Sicilia.
- La mafia siciliana non ha più una Cupola, un governo. Ma più che una guida è alla ricerca di sé stessa. Adesso bisogna capire come si stanno muovendo le grandi organizzazioni criminali dopo la stagione dei Corleonesi. Lo stato sarà in grado – o vorrà – accettare la sfida?
La fine di un’epoca mafiosa si è consumata a Palermo in un territorio che un tempo era inviolabile, la Piana dei Colli, distesa di cemento che ha soffocato ville di tufo giallo del ‘700 e umanità.
I palazzi alti e sgraziati di San Lorenzo, la borgata di Cardillo e quella di Pallavicino, la circonvallazione appena più in là dalla clinica che è diventata la sua trappola. La mafia è scienza esatta ma per qualcuno è anche cabala, che prova sempre a indovinare il futuro per mezzo di numeri e di segni.
Matteo Messina Denaro catturato trent’anni dopo Totò Riina, Matteo Messina Denaro prigioniero trent’anni dopo la strage dei Georgofili di Firenze che lui aveva ordinato, Matteo Messina Denaro che non è più ricercato dopo trent'anni di latitanza.
Capo o non capo della Cosa nostra siciliana, niente sarà più come prima.
L’ULTIMO DEI CORLEONESI
Perché è l’ultimo dei Corleonesi, l’ultimo dei boss che in qualche modo hanno rinnegato la loro più intima natura mafiosa per dichiarare guerra allo stato, o forse sarebbe meglio dire a quei rappresentanti dello stato – poliziotti come Boris Giuliano e Ninni Cassarà, carabinieri come Carlo Alberto dalla Chiesa ed Emanuele Basile, magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uomini politici come Pio La Torre e Piersanti Mattarella - che non si sono sottomessi alla dittatura del crimine.
Razza speciale e maledetta, per noi italiani che abbiamo dovuto subirli e per loro stessi che si sono autodistrutti in un delirio di onnipotenza e di morte. Fidandosi oltre ogni limite di estranei alla loro organizzazione segreta, e consegnando il loro destino a qualcun altro che è rimasto sempre nell’ombra, i cosiddetti mandanti esterni che hanno lasciato impronte a Capaci, ancora di più in via Mariano D’Amelio, e ancora e ancora di più fra Firenze e Roma e Milano nella primavera del 1993.
UNA MAFIA È FINITA
Con Matteo Messina Denaro, è finita la stagione delle bombe e degli attentati, della mafia che si traveste di terrorismo, della mafia che quasi non riconosce più sé stessa quando guarda i suoi capi. Totò Riina, che non c'è più dal 17 novembre del 2017.
Bernardo Provenzano, che se n’è andato il 13 luglio del 2016. Leoluca Bagarella, che è stato arrestato il 24 giugno 1995, uno che faceva tremare la terra e si è ridotto a prendere «a muzzicuna», a morsi, come un quaraquaquà qualunque, l’agente di polizia penitenziaria che lo accompagna ogni mattina all’ora d'aria.
E poi gli altri due, i fratelli, Giuseppe e Filippo Graviano, in carcere dal gennaio 1994 e che si avvitano ormai penosamente a lanciare messaggi doppi e tripli a Silvio Berlusconi, soldi dati e soldi e mai restituiti, patti non rispettati, accordi di un passato lontano ai quali nessuno crede o probabilmente nessuno vuole credere.
Sono finiti tutti questi mafiosi che volevano comandare anche sulla politica. Schiacciati, fatti fuori inesorabilmente uno dopo l’altro, attirati nel tranello, comprati e venduti.
Restava ormai soltanto lui, trapanese di Castelvetrano, capitale di mafia dove più di settant’anni fa la mafia ha portato a termine uno dei suoi capolavori cedendo il cadavere del bandito Salvatore Giuliano al ministero dell’Interno e ai reparti speciali dell’Arma dei carabinieri. L’hanno sempre chiamato “Diabolik“ o “Testa dell’Acqua” o anche “‘U Siccu”, che a vedere le prime immagini a pochi minuti dalla sua cattura tanto secco non sembra, più che grasso è gonfio, dilatato dai farmaci per la sua malattia, un po’ simile agli identikit e ai fotofit diramati in questi anni dai gabinetti di polizia scientifica e un po’ diverso.
Ma ci sta, fantasma dal giugno 1993 adesso ha sessantuno anni, non è più il ragazzo che pendeva dalle labbra di Totò Riina e che Totò Riina fino a un certo momento aveva indicato come suo erede per prendere le briglie della Cosa nostra siciliana.
Poi le cose sono andate come sono andate, Matteo ha imboccato un’altra strada, molto personale. Ha dovuto provvedere alla sua latitanza, ha preferito curare i suoi affari nella provincia trapanese, si è disinteressato alle sorti dell’organizzazione per sopravvivere nella clandestinità.
L’hanno avvistato in Sudamerica, qualcuno diceva che era fuggito in Tunisia, l’hanno cercato in Olanda e in Versilia, riconosciuto in tribuna d’onore alla stadio della Favorita durante una partita del Palermo, hanno sentito il suo odore nei vicoli di Castelvetrano e in una casa della borgata palermitana di Aspra, era dappertutto e in nessun luogo.
Era onnipresente e introvabile. Era l’alibi perfetto per uno stato che combatte con foga e irruenza la mafia del passato ed è un po’ più distratto con la mafia del presente.
LA NUOVA SFIDA
L’operazione del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri è certamente di grande valore (scopriremo dettagli e retroscena nelle prossime ore e nei prossimi giorni) ma adesso comincia la vera sfida.
Chiusa con la capitolazione di Matteo Messina Denaro l’era dei Corleonesi che è durata pressappoco quattro decenni (una parentesi spaventosa ma relativamente breve nella secolare storia della mafia siciliana), ora sta arrivando il momento della verità su come lo stato vuole contrapporsi alle grandi organizzazioni criminali.
Non ci sono più capi di spessore elevato, Cosa nostra siciliana più che alla ricerca di una guida è alla ricerca di sé stessa. Non ha più una cupola, un governo. Non ha più un piano a lungo termine, non ha almeno per ora un “progetto politico”. Si sta accontendando di resistere.
La cattura di Matteo Messina Denaro è già passato, ma la mafia verosimilmente già vede il suo futuro oltre i nomi che noi oggi conosciamo.
Domani.it, 16 gennaio 2023
Giornalista, scrive di mafie. Ha iniziato come cronista al giornale L'Ora di Palermo, poi a Repubblica per quarant'anni. Tra i suoi libri: Il capo dei capi e La Giustizia è Cosa Nostra firmati con Giuseppe D'Avanzo, Parole d'Onore, Uomini Soli, Faq Mafia e Il Padrino dell'Antimafia.
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