Giovanni Falcone e Paolo Borsellino |
GAIA ZINI
Il terrorista nero Stefano Delle Chiaie era a Capaci prima della strage che ha ucciso, il 23 maggio 1992, i giudici Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
La tesi è stata avanzata dalla trasmissione Report qualche mese fa e ha provocato la reazione della procura distrettuale antimafia di Caltanissetta che si è affrettata a smentire. Sulla pista nera indaga da tempo anche la procura di Firenze, ma adesso la seconda puntata dell'inchiesta, in onda questa sera su Rai 3 e curata da Paolo Mondani, rivela nuovi particolari.
«Questo stato non vuole conoscere la verità sulle stragi del 1992-1993», dice l'ex magistrato, Roberto Scarpinato, già procuratore generale di Palermo e ora senatore del M5s. Non vuole o non è stato in grado visto che di inchieste e processi, istruiti da magistrati, ce ne sono stati decine, ma alcuni sono finiti in un nulla di fatto, altri sono stati celebrati contro colpevoli innocenti e altri si sono chiusi perché senza prove.
Delle Chiaie, il boss e il Msi
Delle Chiaie, scomparso nel settembre 2019, è stato il capo di Avanguardia nazionale, coinvolto nel tentato golpe Borghese e nei processi per le stragi di piazza Fontana e della stazione di Bologna.
La moglie del pentito Alberto Lo Cicero lo colloca a Capaci nel periodo precedente la strage. Lo Cicero, cugino del boss Armando Bonanno e autista del boss Mariano Tullio Troia, ha raccontato a Walter Giustini, ex brigadiere dei carabinieri di Palermo, gli incontri di Delle Chiaie con personaggi di spicco di Cosa nostra pochi mesi prima della strage.
«Alberto mi ha detto che stavano organizzando, i Bonanno, i Troia e Stefano Delle Chiaie. Delle Chiaie io l'ho visto tre, quattro volte. Alberto pensava che Delle Chiaie fosse l'aggancio tra mafia e lo stato nel periodo pre stragi, il rappresentante di quelli di Roma», dice Maria Romeo, ex compagna di Lo Cicero e sorella di Domenico Romeo, fondatore nel 1990 di molte Leghe meridionali.
Le sue parole erano state messe a verbale dall'allora capitano dei carabinieri Gianfranco Cavallo. Report fa vedere il verbale inedito che dimostra come già allora i carabinieri sapessero della presenza del fondatore di Avanguardia nazionale a Capaci, poco prima della strage, ma non hanno fatto nulla, nessuna indagine.
«Nell'aprile del 1992, Stefano Delle Chiaie, accompagnato dal suo avvocato Stefano Menicacci (parlamentare del Msi prima e di Democrazia nazionale poi), ha preso contatti con il boss Troia e avrebbe parlato di recarsi a Capaci per procurarsi esplosivo», si legge nel documento.
Nel racconto spunta anche il nome di Guido Lo Porto, secondo Maria Romeo tra i referenti romani di Delle Chiaie, parlamentare del Msi e, nel 1994, sottosegretario alla Difesa nel primo governo Berlusconi, indagato e poi assolto per concorso esterno in associazione mafiosa.
Lo Porto conferma di conoscere il boss Mariano Tullio Troia, noto come 'u Mussolini, «era un simpaticone, aveva un certo fascino, un bell'uomo, un generoso, andavamo a casa sua e si beveva ottimo caffè, sapevo fosse figlio di mafioso», dice.
Delle Chiaie è stato indagato in passato nell'inchiesta "Sistemi criminali", condotta dagli allora magistrati Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia, ma è stato archiviato. Scarpinato racconta che a Palermo non hanno mai saputo, durante quell'indagine, che alla fine degli anni Novanta, un collaboratore di giustizia, Luigi Sparacio, aveva rivelato ai magistrati fiorentini che prima degli attentati e le bombe di Firenze e Milano si era incontrato a Roma con Stefano Delle Chiaie, il quale «dava delle strategie politiche da seguire a Cosa nostra» e che aveva consegnato una mappa dell'Italia con dei «segni fatti con la x che rappresentavano degli attentati da fare».
I cento miliardi
Nella puntata c'è anche il racconto inedito di un ex agente del Sismi, Massimo Pizza, uomo di Gladio, che ha parlato nel 1996 con la procura di Palermo, dichiarazioni ignorate. Conferma il disegno di destabilizzazione che vedeva protagonisti i cartelli criminali, la massoneria, la politica istituzionale e imprenditori privati.
Riferisce di un incontro che avvenuto nel 1990 all'hotel Visconti dove c'erano rappresentanti di tutte queste componenti e non poteva mancare Stefano Delle Chiaie. C'è il mistero di 100 miliardi, raccolti per il progetto delle leghe e provenienti da imprenditori vicini alla mafia, che poi vengono «drenati verso lo Ior e poi impiegati, una parte, nell'attività politico istituzionale di ambienti vicino ad Andreotti, tipo Sbardella (Vittorio, già deputato della Dc ndr ) che finanziava Comunione e liberazione», aggiunge D'Andrea.
Le testimonianze
La seconda puntata sulla pista nera e le stragi raccoglie anche il racconto di Armando Palmeri, consigliere e braccio destro del boss Vincenzo Milazzo di Alcamo, che già nel 1998 aveva dichiarato ai magistrati di Palermo che poco prima della strage di Capaci due uomini dei servizi segreti avevano chiesto di parlare con il clan, famoso per le sue capacità militari. Per chiedere cosa?
«Ci furono tre incontri con il boss Milazzo, mi ha riferito che chiedevano attentati, inquinamenti acquedotti, bombe e Milazzo era contrario», racconta Palmeri. Il boss, per la sua contrarietà alle stragi, è stato ucciso il 14 luglio 1992, cinque giorni prima della strage di via D'Amelio, dal suo più caro amico, il boss Antonino Gioè, mentre le rivelazioni di Palmeri fatte nel 1998 ai magistrati non hanno portato da nessuna parte.
Antonino Gioè era un ex paracadutista, uomo di destra, l'anello di collegamento tra Cosa nostra e i servizi.
«Il Gioè, che aveva con Giovanni Brusca il telecomando per azionare la bomba di Capaci, mi ha detto che l'impulso era arrivato da altri, quel dispositivo era fasullo, un giocattolo», dice Palmeri che parla di operazione militare.
La tesi è che la strage non ha avuto solo una matrice mafiosa, ma che un pezzo di stato abbia ordito l'attentato e usato la criminalità organizzata come braccio armato.
Purtroppo Gioè non ha potuto raccontare nulla ai magistrati perché, quando ha deciso di parlare, è stato trovato impiccato in carcere, in modalità anomale e inspiegabili, nella notte tra il 28 e il 29 luglio del 1993.
«Gioè voleva parlare ai magistrati anche di un traffico di materiale nucleare», dice Palmeri che non aggiunge altro perché ci sono indagini in corso.
La Commissione parlamentare d'inchiesta sulle mafie, alla fine della scorsa legislatura, scrive che ad Alcamo, in provincia di Trapani, c'è stato un traffico di materiale fissile verso la Libia in atto dal 1976 e durato almeno fino al 1993.
I documenti spariti
L'inchiesta solleva nuovi dubbi sulla morte, ufficialmente per suicidio, del maresciallo Antonino Lombardo, che veniva trovato senza vita, il 4 marzo 1995, in una Fiat Tipo bianca, con una Beretta calibro 9 nella mano destra e una lettera vicino a lui. I figli dopo 27 anni dicono che è stato un omicidio, c'è un perito e un collega che riaprono il caso.
Da ultimo si torna a parlare dell'indagine della procura di Firenze sulle stragi del 1993 che vede coinvolti Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri come mandanti esterni, esponenti politici già indagati e archiviati in passato per accuse analoghe. «Sparirono 14 faldoni interi dalla direzione nazionale antimafia, erano in un solaio del palazzo di via Giulia, e contenevano atti delle indagini sulle stragi di mafia, tra queste la pista nera. È stato un furto mirato», dice una fonte istituzionale.
«Nella strage di Firenze alle cariche portate dai mafiosi altri hanno aggiunto esplosivo ad alto potenziale di tipo militare», dice Gianfranco Donadio, ex magistrato e relatore in commissione Antimafia del documento sulla strage mafiosa di Firenze, compiuta nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993. Una strage che ha provocato la morte di cinque persone, tra queste le bambine Nadia e Caterina Nencioni, la prima di nove anni e la seconda di 50 giorni.
Gaia Zini
domani.it, 2/1/2023
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