Valentina Chinnici
Umberto De Giovannangeli
C’è chi ha scritto di lei come l’ “Elly Schlein siciliana”. Oltre 7000 preferenze a Palermo, oltre 5000 a Catania come indipendente nelle elezioni all’Assemblea regionale siciliana, Valentina Chinnici spiega a Il Riformista le ragioni del suo sostegno a Gianni Cuperlo nelle primarie per la segreteria del Partito democratico.
Il Partito democratico è a un bivio: un vero rinnovamento o un inarrestabile declino. Basta cambiare segretario per evitarlo?
Ovviamente no, credo che, se vogliamo rifondare una Sinistra degna di questo nome, dovremmo guarire tutti dalla malattia del leaderismo, dell’attesa del personaggio salvifico, carismatico, che buchi lo schermo e seduca le folle. Perché anche quando questo è avvenuto, passata la meteora, il Partito si è ritrovato frantumato, scisso, in attesa di macinare un nuovo segretario.
Lei si è schierata a sostegno di Gianni Cuperlo. Perché?
Perché Cuperlo per me rappresenta un autentico costruttore di comunità, che poi è la caratteristica più importante di un vero leader. L’anteporre la costruzione del progetto comune all’affermazione narcisistica del proprio ego. Non a caso Cuperlo non ha una corrente e per questo, in un congresso pensato con la solita logica del conteggio delle tessere, parte svantaggiato. Ma rappresenta l’unica speranza per chi vuole ridare un’anima al Partito, un orizzonte ideale e una spina dorsale di valori forti. In questi anni in cui mi sono tenuta sempre lontana dal Partito, incapace di orientarmi nel cortocircuito delle correnti, ho trovato in Cuperlo l’unico interlocutore attento e sempre in ascolto del civismo politico e democratico che ho rappresentato come capogruppo in Consiglio Comunale a Palermo. Grazie a lui sono entrata in dialogo con la bella comunità di Radicalità per ricostruire, dove ho potuto confrontarmi con tantissimi esponenti nazionali del Partito Democratico e con decine di amministratori e attivisti non tesserati che fanno politica per passione e missione, non come mestieranti tesi solo a riprodurre posizioni di potere.
Identità. Una parola molto gettonata nel dibattito a sinistra. Provi lei a sostanziarla
Guardi, per me che sono siciliana, viene anche molto facile. Come dico sempre agli amici e ai compagni del Partito, per ritrovare l’identità perduta o forse mai davvero compiuta, bisognerebbe ritornare in modo radicale al pensiero di quelli che per me rappresentano i padri fondatori, almeno del Partito siciliano: Piersanti Mattarella e Pio La Torre. Mattarella, legatissimo ad Aldo Moro, sognava per la Sicilia una politica dalle carte in regola, che nella Dc di Lima, Gioia e Ciancimino era un’utopia rivoluzionaria; Pio La Torre, che buona parte del Pci non riconosceva come leader di caratura nazionale, ma derubricava a “bravo organizzatore” locale, era appunto un grande costruttore di comunità, che sul tema della Pace, contro i missili a Comiso, riuscì a creare una immensa mobilitazione di massa. Tra i due politici siciliani c’era un dialogo leale e una stima reciproca, nonché il disegno comune di costruire, come diceva La Torre, “un polo di attrazione a sinistra”, insieme al Cattolicesimo illuminato e progressista presente nella Democrazia Cristiana, che ne isolasse la parte corrotta e mafiosa. Furono uccisi, nel fervore più intenso della loro visionaria azione politica, a due anni di distanza, e a me convince molto la tesi dell’avvocato Sorrentino, che rappresentava allora il Pds nel processo agli assassini di La Torre, che nei loro omicidi individua con chiarezza una matrice politica e terroristica, oltre che mafiosa. Ucciderli entrambi, come avvenuto con Moro nel ‘78, significava abbattere la costruzione di questo “grande polo di centrosinistra”, come già lo definiva La Torre, che certo avrebbe scritto una pagina di Storia diversa per la Sicilia e per l’Italia tutta.
L’Opa di Conte e dei 5Stelle sul Pd. Lei ne sa qualcosa, vista l’esperienza delle regionali in Sicilia.
Avevo avuto modo di apprezzare le doti di Conte nella campagna elettorale per il Comune di Palermo a giugno scorso. Unico leader dell’allora coalizione di centrosinistra capace di entrare nel cuore delle periferie palermitane, apostrofato come “papà” (perché da noi si dice “chi ti dà il pane chiamalo padre”). Dunque è stata enorme la delusione nel vedergli usare con cinica spregiudicatezza questo consenso popolare per rompere a fine agosto un’alleanza sancita dalle primarie di luglio, consegnando di fatto, dopo il governo nazionale, anche quello siciliano alle Destre e alla Lega Nord (continuo a chiamarla così perché per me resta un abominio che i miei conterranei votino il partito secessionista di Bossi). E’ stato allora che ho accettato senza esitazione di candidarmi da indipendente nel Partito Democratico e sono stata la prima eletta a Palermo e l’unica donna in tutta la Sicilia (un dato, questo, che dovrebbe far riflettere, a proposito di parità di genere come tratto identitario).
Enrico Letta vorrebbe un Pd “pugnace”. Ma in questi primi mesi di opposizione lo è stato?
No, con tutta evidenza non lo è stato, o, almeno, sui media lo spazio dell’opposizione è spesso stato occupato dai 5stelle. Del resto anche le dichiarazioni di Bonaccini sul dialogare con Meloni come primo gesto da futuro segretario lasciano perplessi e rischiano di confondere un elettorato sempre meno appassionato dalle sorti di un partito sempre più “di governo” e troppo raramente “di lotta”. Non è un caso che tre dei candidati segretari vengano dall’Emilia Romagna, la regione dove si vive meglio in Italia, nonché la prima regione, insieme a Lombardia e Veneto, a firmare, per mano di Bonaccini, Zaia e Fontana, la bozza di accordo con lo Stato per l’autonomia differenziata nel 2018. Non sto dicendo che ci vorrebbe un segretario del Sud, tanto è vero che Cuperlo viene da Trieste, ma serve appunto un costruttore di unità e di coesione, che combatta le spinte centrifughe del Nord e aiuti a rilanciare uno sviluppo vero del Sud, ponte e porta del Mediterraneo, sostenendo i suoi uomini e le sue donne nel costruire una economia sana, con lavoro vero e diritti fondamentali per tutti. In questa sua tensione incessante verso la politica che vuole “sortirne insieme” e mai da soli, come diceva Don Milani, lo sguardo azzurro di Cuperlo incrocia per me gli occhi scuri e brillanti di Mattarella e La Torre. Solo per questa Politica, animata da grandi ideali e al contempo capace di calarsi nella concretezza delle fatiche quotidiane, vale la pena spendere la vita intera, da Trieste fino a Lampedusa.
Il Riformista, 28 Dicembre 2022
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