di GIORGIO MANNINO
Il mercato di Ballarò, il quartiere
è diventato un'importante piazza dello spaccio di crack
A Palermo scorrono fiumi di droga. Il mercato è dominato dai "pezzi" di crack, diffusissimi tra i giovani, fumati a tutte le ore del giorno e della notte. «Me ne sono innamorata sin da subito, arrivavo a farmi 25 pezzi al giorno per sballarmi. Non riuscivo più a farne a meno». Lo sguardo si abbassa, il timido sorriso scompare. Gaia, 25 anni, studentessa in scienze dell'educazione, ha iniziato a drogarsi sette anni fa. «Era un momento di grande fragilità. La droga è stata una fuga dai problemi familiari». Ha assunto ogni tipo di sostanza stupefacente. Poi ha scoperto il crack. «Per comprare le dosi ho fatto cose terribili nei confronti della mia famiglia. Cose di cui mi vergogno, mi fanno sentire una merda. Non riesco a parlarne».
Quartiere Ballarò, a pochi passi da piazza Pretoria, nel cuore del centro storico di Palermo dove traffico e consumo di stupefacenti spezzano vite e dilaniano famiglie. Al circolo Arci Porco Rosso
ogni lunedì si danno appuntamento i ragazzi di Awakening (Risveglio), un gruppo di mutuo aiuto nato tre anni fa nell'ambito del progetto In&Out, l'unità mobile di strada dell'azienda sanitaria provinciale che seminava la consapevolezza dei rischi connessi alle dipendenze. Il progetto è finito ma il gruppo ha continuato a vivere. Oggi è l'unico servizio sociale per la tossicodipendenza a Ballarò. I ragazzi si raccontano la difficoltà di restare "puliti" o di provare a uscire dalla droga.Aiutarsi da soli
«È come guardarsi allo specchio», dice Gaia toccandosi il viso, «in questa stanza ho capito quali sono le cose veramente importanti della vita. Non riuscivo più ad apprezzarmi come donna, mi vedevo brutta ed emaciata in volto e sapevo che la causa era la droga». Nel gruppo a nessuno viene chiesto di non drogarsi. «Ci si confronta, si condividono esperienze. Dire ad un tossico di smettere subito, di non drogarsi più è una fesseria. Piuttosto bisogna lavorare sulla prevenzione, stare accanto a queste persone». Durante gli incontri c'è chi rimane in silenzio, chi ha timore addirittura di pronunciare il proprio nome. Si entra anche solo per ascoltare, per trovare la forza nel coraggio degli altri. Per sentire una parola di conforto.
Gli occhi di Gaia incrociano quelli di Marco, 24 anni, manutentore di impianti antincendio. Fidanzati da quattro anni, la droga li ha fatti conoscere e l'amore, dicono, li ha salvati. Si sono conosciuti su un gruppo Facebook dedicato a tossicodipendenti, insieme hanno deciso di smettere. Marco ha cominciato a drogarsi a 14 anni. Spacciava e consumava. «Voglia di provare e amicizie sbagliate, il mix letale». Molti di quegli amici sono morti, uno a 20 anni. «Sono stato in comunità tre volte, sono scappato sei volte. Sono andato al SerD (Servizio per le dipendenze, ndr) ma raramente vedevo psicologi». Ma c'è un giorno della sua vita che non dimenticherà mai. «Ho toccato il fondo quando in un impeto di rabbia ho rotto due dita della mano a mio padre, dopo che ha deciso di gettare nel water alcune dosi di droga che avevo conservato. Era la mia unica fonte di guadagno e non ci ho visto più. Lì ho capito che le cose dovevano cambiare».
La storia di Gaia è un po' diversa. «Per Gaia, invece, sono stati fondamentali la mia famiglia che nonostante tutto mi ha sempre sostenuto e il mio cane. Sì, prendersi cura di un essere vivente mi ha aiutato. Il tossicodipendente ha una sua routine, assume le dosi più o meno allo stesso orario. Portare il cane a fare i bisogni mi è servito a spezzare la routine», C'è una data che per Gaia e Marco separa il prima dal dopo, il 26 novembre 2021, l'ultima volta che si sono fatti di crack. «Avevano arrestato a Ballarò il nostro pusher di fiducia e così, dopo l'ultima dose comprata qualche giorno prima, abbiamo deciso di aspettare prima di acquistarne altre. Rinviavamo sempre l'appuntamento con la droga e intanto frequentavamo il gruppo qui». Il rinvio è diventato un addio.
Gaia, oggi referente di Awakening, controlla il cellulare sperando che qualcuno abbia confermato sulla chat la sua presenza. Guarda la porta sperando che entri qualcuno. Ma oggi al Porco Rosso non verrà più nessuno. In tanti hanno preferito la strada o qualche posto abbandonato dove farsi di crack. «Siamo abituati anche a questo. Non possiamo costringere nessuno, non possiamo fare di più».
Sperone, Zen, Ballarò, Borgo Vecchio, Zisa. Il crack nei quartieri di Palermo è uno sballo continuo. Una dose non costa più di 15 euro. I pusher a volte la regalano ai più giovani, sicuri che torneranno. C'è chi si prostituisce per pochi euro. Ci sono genitori che, per non fare inghiottire i figli dalla strada, comprano la dose e consentono loro di farsi in casa. Nel 2021 i nuovi ingressi nei SerD sono raddoppiati rispetto agli anni precedenti raggiungendo quota 700, e sono solo quelli che è stato possibile registrare. Per Giampaolo Spinnato, direttore dei servizi delle tossicodipendenze dell'Asp di Palermo, «sono i numeri che avevamo negli anni Novanta, quando imperversava l'eroina». La mafia con il crack dà lavoro. Come raccontano recenti inchieste, sono interi nuclei familiari a produrre il crack in casa. I genitori cucinano la cocaina da cui deriva la sostanza e i bambini impacchettano le dosi. Chi spaccia vive gomito a gomito con chi ha un lavoro, tutti sanno ma nessuno parla. «Io non so niente», taglia corto un ambulante. Un suo collega gli intima il silenzio.
A Ballarò la famiglia mafiosa di Palermo Centro dettava legge imponendo il pizzo agli ambulanti e dirigendo la gestione delle piazze di spaccio. «Nell'area di Palermo Centro le investigazioni confermano l'esistenza di una rigida regia mafiosa delle piazze di spaccio, dove operano solo i pusher autorizzati, i quali fanno capo ai capi piazza e vendono la droga fornita dal sodalizio», scrivono gli inquirenti.
Ballarò è l'ombelico di Palermo, l'anima e il cuore delle tradizioni della città. È un quartiere multiculturale, è pieno di esempi virtuosi ma resta un territorio difficile: dispersione scolastica, disoccupazione, pizzo e spaccio. Un ragazzo seduto sulle scale della biblioteca di Casa Professa, dove Paolo Borsellino il 25 giugno 1992 pronunciò il suo ultimo discorso pubblico, grida a un altro: «Non buttare la cenere, mettila sul collo della bottiglia sopra la stagnola». Fumano eroina e crack. La cenere serve per evitare che i cristalli di crack prendano fuoco e diventino inutilizzabili.
La droga sul bancone
Poco più distante una ragazza in preda a tic vaga ripercorrendo le stesse strade più volte nel giro di minuti: «Non voglio parlare, non ho bisogno dell'aiuto di nessuno». Nella movida del fine settimana il crack inonda le piazze del quartiere. «Adesso ti faccio vedere quanto è facile comprarlo», dice un ragazzo di 18 anni seduto sul motorino a pochi metri dal famoso mercato di Ballarò. Entra in un locale, chiede all'uomo al bancone se ha una dose, quello annuisce. Il ragazzo dà i 15 euro ed esce con la roba: «Semplicissimo e costa poco». I soldi li ha rubati dal portafoglio del padre. Il crack si fuma per strada, alla luce del sole, oppure in tuguri pieni di immondizia. Uno è in vicolo Trugliari, a due passi dalla piazza Bologni affollata di turisti. Dentro ci sono almeno dieci persone completamente fatte e Nino Rocca, volontario del Comitato Liberi Tutti che da anni combatte la droga, cerca Miriam, 42 anni. La madre Cinzia non la sente da giorni. Miriam lì dentro, però, non c'è. Cinzia racconta: «Mia figlia vive in letamai adibiti a dormitori. Anni fa, per trovarla e salvarla, mi sono finta tossica. Ho finto di avere una crisi d'astinenza e una persona mi ha offerto di andare a dormire allo Sperone sotto un palazzo dove ci sono dei garage aperti h24, veri e propri market della droga. Nel garage di fronte erano nascoste delle ragazze, buttate su un materasso sporco. Le prostituivano completamente drogate e mia figlia era tra queste. Ho passato la notte di fronte a questo garage nascosta nella mia macchina. Sono tornata dagli spacciatori per essere chiusa lì dentro. Era l'unico modo per stare accanto a mia figlia. Così sono riuscita a scappare e prendere Miriam. Ma non era finita. Un suo amico di infanzia la viene a trovare a casa. Col tempo le visite si fanno sempre più frequenti. Un giorno mia figlia mi dice che hanno una relazione. L'uomo le iniettava l'eroina e l'ha fatta scappare un'altra volta». Cinzia è disperata: «Non possiamo più perdere tempo, la vita di mia figlia così come quella di tanti altri è in pericolo. Serve un posto per curare questi ragazzi abbandonati».
Spinnato, l'uomo della sanità pubblica, allarga le braccia: «Siamo a corto di personale. Siamo passati da cinque SerD, ciascuno con quattro medici, quattro psicologi e quattro assistenti sociali, a tre SerD con due medici, due assistenti sociali e uno psicologo». Da 60 persone a 15, con il numero di tossicodipendenti in aumento e sempre più giovani: il primo uso si attesta già a 12 anni. «Servono servizi di prossimità che accolgano i tossicodipendenti. E le comunità terapeutiche specializzate nella doppia diagnosi, per pazienti affetti da dipendenze ma anche da disturbi psichiatrici. In Sicilia non ce ne sono».
Il prefetto fa un tavolo
L'ex magistrato Roberto Scarpinato, ora senatore in quota M5S, parla di "inferno civile": «In questo dramma sociale manca la politica che, se non vede immediata redditività elettorale, resta immobile. Da parte delle istituzioni c'è una totale sordità». Però, appena nominata, il prefetto Maria Teresa Cucinotta, ha convocato un tavolo tecnico per coinvolgere «oltre alle forze dell'ordine, anche servizi sociali, azienda sanitaria, comunità parrocchiali, scuola e le componenti che operano sul territorio». Le associazioni sono scese in campo. L'assemblea pubblica Sos Ballarò ha promosso, un mese fa, un corteo cittadino, «per manifestare contro il silenzio». Una mobilitazione sociale nata dalle recenti morti. L'ultima vittima, Serena, aveva poco più di quarant'anni.
Giorgio Mannino
domani.ti, 8 gennaio 2023
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