Dopo la morte dell’operaio dell’indotto viaggio nella filiera degli appalti e subappalti
di Gioacchino Amato
Al cantiere navale di Palermo negli ultimi quindici anni non è stato assunto un solo nuovo operaio. Così, lentamente, lo stabilimento Fincantieri ha cambiato pelle: 487 dipendenti dei quali ben 180 sono amministrativi, tecnici e ingegneri mentre gli operai sono rimasti in 307, malgrado le commesse da anni abbiano ripreso a crescere. A lavorare gomito a gomito con le tute blu col marchio bianco del colosso della cantieristica c’è un esercito di oltre 1.000 operai di una ventina di ditte esterne locali, che nei momenti di picco di produzione quasi raddoppiano. Operai come Angelo Salamone, morto dopo un’incidente al cantiere mercoledì scorso. Le ditte locali ricevono direttamente le commesse da Fincantieri, ma lavorano spesso anche in subappalto per altre aziende del resto d’Italia incaricate di realizzare alcune opere direttamente dalla sede centrale di Trieste. Un groviglio di appalti e diverse situazioni contrattuali dove si nascondono diseguaglianze economiche e di tutela della sicurezza sul lavoro.
Lavoro uguale, paghe diverse
Dentro allo stesso troncone di nave convivono operai Fincantieri che hanno visto di recente migliorato il contratto integrativo, quelli delle ditte esterne più grosse che applicano qualche incentivo rispetto al contratto nazionale base e altri ancora che devono accontentarsi solo di quello. E poi i precari, i contratti a tempo determinato, in alcuni casi anche di appena un mese e che, quando il lavoro è tanto, possono arrivare a coprire l’ 80% della forza lavoro esterna. Differenze che nella busta paga alla fine pesano fino a 2.700 euro in un anno e che non sono le uniche. « Inutile negare che questo avviene per risparmiare sul costo della manodopera – spiega Antonio Nobile, Fim Cisl – le lavorazioni ad alta redditività rimangono agli operai Fincantieri, le altre all’indotto. Ma questo ha effetti anche sulla sicurezza del lavoro sia per il sovrapporsi di più ditte in uno stesso cantiere che per la minore tutela che hanno gli operai esterni».
C’è un altro groviglio che riguarda le mansioni considerate usuranti e la possibilità di andare in pensione in anticipo. Il gruista rientra nella lista, il saldatore no, con il risultato che anche fra quei 307 operai Fincantieri, fra i quali l’età media supera i 50 anni, alcuni devono essere esclusi da lavorazioni particolarmente pesanti che passano all’indotto.
Il puzzle del lavoro
Un quadro che si riflette plasticamente nei capannoni e nei bacini dove avvengono tre tipi di interventi. C’è il lavoro di costruzione di intere navi o di tronconi, quello di trasformazione con l’allungamento e riparazione di imbarcazioni e quello di manutenzione. Il puzzle fra ditte e maestranze si ripropone in ognuno di questi settori, ma soprattutto nella costruzione. «Il lavoro iniziale – racconta Giovanni Gerbino, Uilm – è il più delicato ed è affidato soprattutto agli interni. È il taglio delle lamiere e la realizzazione del bulbo, la parte frontale. Una volta realizzata la sezione intervengono le varie ditte» . Come nelle costruzioni Lego il primo mattoncino, ad alta tecnologia, è realizzato da maestranze interne poi i mattoncini insieme diventano pian piano un troncone di nave e lì iniziano a operare saldatori, carpentieri, elettricisti, tecnici: « Più si va avanti – sottolinea Gerbino – più aumentano le ditte, fino a dieci in contemporanea sullo stesso troncone» . I tempi, spesso, sono strettissimi: «Spesso di appena 40 giorni – conferma Francesco Foti, Fiom Cgil – il che obbliga a attività contemporanee ed a volte in contrasto che fanno nascere le criticità. Da anni denunciamo questi ritmi di lavoro oltre che l’abnorme ricorso all’indotto che prima non superava il 40% del totale di operai» .
In cerca di stabilità «Il problema è la mancanza di continuità nelle commesse – sottolinea Gerbino – che impedisce alle ditte dell’indotto di rafforzarsi ed evitare il ricorso ai precari che vengono comunque formati anche sulle norme di sicurezza ma non hanno le stesse garanzie». Quando il lavoro scarseggia alcune ditte palermitane accettano lavori in altri cantieri italiani: «Un modo per non perdere il rapporto con Fincantieri – spiega Nobile – ma che spesso porta le aziende a lavorare quasi sotto il margine di guadagno ed espone al pericolo di contratti irregolari, come è accaduto a Porto Marghera con il caso della paga globale. Buste paga senza tfr e contributi in favore della retribuzione ma che possono nascondere irregolarità e truffe. Solo la metà delle aziende ha rappresentanze sindacali, se i lavoratori non si rivolgono a noi nonpossiamo sapere se esistono casi del genere».
I controlli aumentano
I controlli, confermano anche i sindacati, si sono fatti più stringenti. «Il ricorso all’appalto – chiarisce l’azienda - corrisponde a un’esigenza comune a tutta la cantieristica mondiale. Fincantieri verifica tutto il ciclo della commessa, dalla selezione delle ditte all’assegnazione degli ordini con adesione al “codice etico”, fino al controllo della corretta esecuzione degli stessi». Contratti e buste paga sono monitorati ogni mese da personale che «sovrintende anche agli accessi e alla permanenza all’interno di ogni cantiere dei lavoratori delle ditte in appalto ». A Palermo quest’anno Fincantieri ha 6.500 ore di formazione sulla sicurezza, 2000 per l’indotto ma evidentemente non bastano ancora.
La Repubblica Palermo, 10/12/2022
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