di Alessia Candito
La protesta. Il sindacato di base Usb, con cui Daouda Diane collaborava, ha deciso di sfilare ieri ad Acate, nel Ragusano: “Uno dei territori a più alto tasso di sfruttamento di tutta la Sicilia, se non d’Italia”. Era il 2 luglio quando il trentasettenne ivoriano Diane, mediatore culturale, scompariva nel nulla dopo aver denunciato in due video le condizioni di lavoro in un cementificio. Le indagini proseguono in salita
«La polizia dov’è? La Prefettura dov’é?». Nella piccola Acate, lo slogan scandito da più di trecento lavoratori e attivisti che sfilano in corteo per il paese, si ascolta distintamente in tutte le vie del centro. «Così nessuno può far finta di non sapere» , commentano i manifestanti. Amari. E arrabbiati. Perché Daouda Diane, 37 anni, è scomparso da cinque mesi esatti, poche ore dopo aver denunciato con due video l’assoluta mancanza di sicurezza nel cantiere in cui lavorava. E della sua sorte non si sa più nulla.
Per questo l’Usb, con cui il mediatore culturale ivoriano collaborava, nel giorno dello sciopero generale dei sindacati di base, ha deciso di sfilare ad Acate. «Questo è uno dei territori a più alto tasso di sfruttamento di tutta la Sicilia, se non d’Italia - spiega Michele Mililli, della Federazione del sociale- Usb di Ragusa -. Nonostante tavoli tecnici e incontri in Prefettura, piogge di finanziamenti per non meglio precisati progetti anti-caporalato, nelle serre si continua a faticare fino a dieci ore al giorno, senza contratto, né tutele». Anche Daouda il 2 luglio, l’ultimo giorno in cui è stato visto, alla SGV calcestruzzi srl lavorava a nero. E in quel cantiere, nella pancia di una betoniera e con un martello pneumatico in mano, non aveva a disposizione alcun tipo di protezione, se non una mascherina ridotta a un cencio e un paio di vecchie cuffie. Lo ha mostrato lui stesso nei video che ha inviato alla famiglia in Costa d’Avorio, che di lì a venti giorni si preparava a riaccoglierlo dopo anni di assenza, e al suo amico e coinquilino Marciré Doucoure. Da allora, mai più un segno di vita. Anche il suo cellulare si è spento dopo qualche ora, senza aver mai smesso di agganciare la cella che copre tanto la SGV, come il centro di Acate.
«Daouda era un lavoratore che la mattina è uscito di casa per guadagnare qualcosa in più da portare alla famiglia e non è mai tornato dice Coly, anche lui mediatore culturale - Ed era uno integrato, conosciuto. Adesso tutti abbiamo paura: se è successo a lui, può succedere a chiunque» . Un timore che in piazza si mischia alla rabbia. «Tocchi uno», urla un delegato al megafono. «Tocchi tutti» , risponde come un solo uomo il corteo. Che sfila e chiede verità su Daouda, o almeno un corpo da restituire alla famiglia. Fra le bandiere rosse dell’Usb e gli striscioni che chiedono “facciamo pagare la crisi ai padroni”, si affaccia il viso del mediatore culturale riprodotto su decine di cartelli, che invocano giustizia. «Anche i lavoratori migranti ne hanno diritto». L’inchiesta prosegue e si indaga per omicidio volontario e occultamento di cadavere. «Possibile che in cinque mesi non si sia arrivato ancora a nulla? - chiede un bracciante - Acate è piccola, non può averlo inghiottito la terra». O almeno non da sola. «Crediamo che questa non sia una battaglia di Usb, ma di tutti i lavoratori. Per questo spiega Mililli - avevamo invitato tutti a partecipare a questa mobilitazione, come alla raccolta fondi che abbiamo promosso per sostenere la famiglia di Daouda» . Ma in corteo, le bandiere dei sindacati confederali e di associazioni più o meno blasonate non ci sono. E neanche, magari solo a titolo personale, i loro attivisti e tesserati.
La Repubblica Palermo, 3/12/2022
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