di Maurizio Muraglia
La manifestazione svoltasi a Ballarò nei giorni scorsi attorno alla tragedia del crack diffuso in quel quartiere e in tutta la città fa venire in mente le liturgie che parallelamente si celebrano negli avamposti educativi e culturali dei nostri quartieri, cioè le scuole statali.
Due mondi che non possono parlarsi più: la scuola e il territorio. Ciascuno suona la sua musica. A scuola si suona la musica delle materie, dell’educazione civica, dei piani di miglioramento, dei monitoraggi sulla dispersione scolastica, dei test standardizzati, mentre fuori dai cancelli si dissipano vite di ragazze e ragazzi in età scolare. La scuola non è più il luogo di rielaborazione di quel che avviene nella strada, e men che meno la strada è il luogo in cui ciò che è ragionato a scuola trova la sua forma civica.
Che questo avvenga può sorprendere solo gli ingenui. La scuola nonpuò arginare l’alluvione di insensatezza esistenziale che sorregge la prassi autodistruttiva dell’assunzione di crack. Può solo allargare le braccia. I suoi strumenti educativi e culturali sono muti di fronte alcupio dissolvi diffuso tra i ragazzi e determinato dal fallimento di ogni parola adulta, pubblica e privata.
Energia spropositata, euforia, senso di onnipotenza, oblio della realtà, per quanto stati effimeri della mente, rappresentano l’ultima speranza di chi non ha speranza. La speranza nella sospensione del tempo. Chi assume crack racconta di percepire un rallentamento del tempo ed una sensazione di piacevolezza derivata dal sentire cheogni cosa è al suo posto, che si sovrappone alla percezione ordinaria delle cose ormai sentita come insopportabile.
Invocare l’intervento delle istituzioni sanitarie, degli enti locali, ditutti i possibili supporti educativi è sacrosanto, ma non può far perdere di vista che siamo davanti al tragico portato di un’assoluta irrilevanza sociale di questi giovani, strumentalizzata criminosamente da chi può lucrarne il proprio tornaconto. Solo la scuola possiede gli strumenti della consapevolezza e della ragionevolezza. Ma ormai il disagio sociale non è più pertinenza della scuola.
La scuola ha alzato bandiera bianca, cosciente che per poter aprire un dialogo con questi ragazzi dovrebbe deporre completamente le consuete liturgie e a aprire con loro un canale comunicativo del tutto inedito, privo di rilevanze valutative e classificatorie. Diventare essastessa strada per portare nella strada l’istanza principale della scuola, cioè l’istanza di umanizzazione.
A scuola si impara l’umanità. Quella che il territorio calpesta. A scuola e soltanto a scuola ci sono gli strumenti per progettare una vita sensata. Ma se niente, al di fuori della scuola, ti offre un briciolo di speranza e di futuro, e se l’ipertrofia burocratica delle nostre scuole, che ormai ha reso più importante quel che si dichiara e si rendiconta piuttosto che quel che si fa, comunque ti attende ai risultati, cosa ti rimane se non qualche frammento di finto paradiso venduto da gente che bazzical’inferno?
La Repubblica Palermo, 6/11/2022
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