Papa Francesco |
MARCO POLITI
«È il momento di vincere le timidezze. Non basta essere pacifisti di testimonianza. La pace va costruita attivamente. È quello che pensano la Segreteria di Stato e il Papa stesso. Si vis pacem, para bellum, dicevano i Romani. Invece no. Se vuoi la pace, non devi attrezzarti per la guerra: devi costruire la civilizzazione». Stefano Zamagni, presidente dell’Accademia pontificia delle Scienze Sociali, ha pubblicato questo settembre un memorandum con un Piano di pace per l’Ucraina.
Economista specializzatosi a Oxford, docente alla Bocconi, alla John Hopkins University di Bologna, collegato con molteplici centri di ricerca internazionali, Zamagni ha per professione uno sguardo geopolitico.
Non bisogna avere paura della negoziazione – ha scritto – come appare dallo stato d’animo di alcuni settori degli Stati Uniti. Ci sono (ovunque) «politici e capi di governo che temono di essere percepiti dal proprio elettorato o come pacifisti ingenui oppure come opportunisti con secondi fini». Invece la mobilitazione della società civile per un’Alleanza per la Pace «è oggi una iniziativa urgente».
Professor Zamagni, dunque una mattina d’autunno lei scrive un “Piano per una pace giusta e duratura in Ucraina”. Così recita il titolo.
«Non scherziamo. L’iniziativa nasce nei primi mesi dell’anno in un gruppo di lavoro sulla pace dell’Accademia pontificia delle Scienze, guidato dall’economista statunitense Jeffrey Sachs. Nel corso delle riunioni è stato deciso a settembre di avanzare una proposta credibile di pace negoziata».
Papa Francesco nelle sue prese di posizione sottolinea sempre quanto la vicenda sia complessa e non possa essere ridotta ad un duello fra buoni e cattivi.
«In effetti emerge l’intreccio di due componenti. Una, ideologico-identitaria rappresentata dalle dichiarazioni del patriarca Kirill, incentrate sul contrasto con un Occidente privo di valori e dunque sul fatto che questa è una guerra santa, metafisica. Una dimensione più forte di quanto possiamo immaginare in Occidente, se già nell’Ottocento Fedor Dostoevskij – e altri intellettuali dopo di lui – sosteneva che un solo Paese al mondo sarà in grado di conservare l’eredità del cristianesimo: la Russia».
«È quella degli interessi espressa da Putin. La Russia è dal punto di vista economico strutturalmente povera. Non ha praticamente un’industria manifatturiera competitiva. Per le alte tecnologie dipende dall’estero. È forte nelle risorse naturali: gas, petrolio, uranio. Ma per quanto riguarda il gas, ad esempio, non sono stati scoperti nuovi giacimenti e dunque è stato calcolato che il Paese abbia un’autonomia di produzione di soli 60 anni. Il Donbass conteso, va ricordato, è una zona industriale importante con notevoli risorse minerarie. Quindi, nel momento in cui la componente ideologica e quella degli interessi convergono, è chiaro che la tentazione di usare lo strumento della guerra – e quindi l’invasione dell’Ucraina – è diventata forte. Anche con l’intento di costringere l’Occidente e specialmente gli Stati Uniti a tenere maggiormente in considerazione la Russia».
In realtà Putin ha sbagliato completamente i calcoli.
«Sperava di risolvere tutto in tre settimane e non è andata così. Non ha nemmeno tenuto conto che l’Ucraina si sarebbe sempre più legata all’Occidente e dunque per lui sarebbe diventata – come si dice – una minaccia alle porte della Russia».
Come se ne esce?
«Si tratta di distinguere tra razionalità e ragionevolezza».
Proviamo a farlo.
«La razionalità tende alla scoperta del Vero. Pensiamo alla razionalità della ricerca scientifica. La ragionevolezza invece mira alla ricerca e alla realizzazione del Bene, Perciò bisogna scegliere. Platone è il filosofo del primato del Vero sul Bene. Aristotele privilegia la ragionevolezza, cioè il primato del Bene rispetto al Vero. È una decisione strategica. Vuoi il trionfo della Verità? E allora l’obiettivo è di punire la Russia, sconfiggerla, fare fuori Putin…. Oppure preferisci la pace, che è il sommo dei beni in questo contesto, pur accettando piccoli compromessi come in ogni negoziato? La prima via è quella riassunta dal motto Fiat justitia pereat mundus, (‘Si faccia giustizia e sprofondi il mondo’), cioè non importano le distruzioni, non importa se scompaiono vite umane.
Io sto con Aristotele e Tommaso d’Aquino. Dalla parte della ragionevolezza: la tutela del bene delle persone e delle comunità. Il che non vuol dire rinnegare la verità dei fatti, perché sulla condanna dell’aggressione di Putin sono tutti concordi. Il problema è come uscire dalla situazione in cui ci troviamo».
In concreto quali sono le proposte di pace, nate in quello che potremmo definire il laboratorio vaticano?
«Sono sette punti. In primo luogo la neutralità dell’Ucraina che rinuncia a far parte della Nato, ma entrerà nell’Unione europea con tutto quello che ne consegue. Poi un sistema di garanzie internazionali su sovranità, indipendenza e integrità territoriale dello Stato ucraino. Garanzie assicurate dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu nonché dall’Unione europea e dalla Turchia».
Questa è la parte generale. Ma la Crimea?
«Si congela la situazione. La Russia ne conserva il controllo de facto per un certo numero di anni, poi le due parti negozieranno una soluzione permanente».
Rimane la questione del Donbass, la cui popolazione si chiama generalmente russofona ma in realtà sono russi e basta.
«Il modo intelligente con cui si risolvono questi nodi ce lo ha mostrato Alcide De Gasperi con la sistemazione dell’Alto Adige. L’accordo De Gasperi-Gruber è la quintessenza di ciò che abbiamo definito la “ragionevolezza”. È un accordo che ha funzionato bene! Bolzano è sempre in cima alla classifica delle città che si distinguono per qualità della vita. Perciò le regioni di Lugansk e di Donetsk continueranno a fare parte integrante dell’Ucraina, ma a loro sarà garantita autonomia economica, politica e culturale. Contemporaneamente andrà assicurato sia all’Ucraina che alla Russia l’accesso ai porti del Mar Nero per le loro attività commerciali».
Il Piano affronta anche la questione delle sanzioni occidentali alla Russia?
«Andranno rimosse gradualmente, in parallelo al ritiro delle truppe e degli armamenti russi dall’Ucraina. Ma soprattutto…»
Soprattutto?
«Si propone la creazione di un Fondo Multilaterale per la Ricostruzione e lo Sviluppo delle aree distrutte e danneggiate dell’Ucraina. Un specie di Piano Marshall. E naturalmente la Russia è chiamata a concorre a questo Fondo».
Papa Francesco ha visionato questo Piano?
«Tutti i risultati e le proposte dell’Accademia pontificia delle Scienze e dell’Accademia delle Scienze Sociali vanno direttamente alla Segreteria di Stato e quindi all’attenzione del pontefice. Di più non posso sapere. Ma per fare un esempio concreto, tanta parte dell’enciclica Laudato si’ si è basata proprio sulla produzione dell’Accademia delle Scienze».
L’elemento nuovo del conflitto russo-ucraino, che ormai è diventato russo-americano come riconoscono gli analisti più concreti, consiste nel suo carattere globale. Papa Bergoglio non a caso lo ha definito una «guerra totale».
«Questa è la prima guerra globale della storia dell’umanità. Perché le guerre che chiamiamo “mondiali” riversavano le conseguenze perverse soltanto sui Paesi belligeranti, pochi o molti che fossero. In questa guerra globale, invece, le conseguenze negative ricadono su Paesi terzi, su popolazioni – diciamo così –innocenti. Se manca il grano, muore di fame anche chi non c’entra niente con il conflitto. È questo che i fautori della “razionalità” non capiscono. Ecco perché deve prevalere la “ragionevolezza” al fine di tutelare il bene comune».
In altre parole non si può più dire: se la vedano quelli che si fanno la guerra!
«Perché il danno è globale, danneggia i Paesi in via di sviluppo, produce mancanza di cibo e di conseguenza produrrà ulteriori migrazioni. Naturalmente Putin lo fa apposta. Pensa: li affamo e così loro scappano e vanno verso Italia, Grecia, Francia, Spagna… Ciò detto, la distinzione tra i due tipi di guerra rimane importante. Perché ogni mese in più di questa guerra, produrrà disastri tali che ci vorranno anni per riassorbirli. Per non parlare delle armi impegnate che richiedono risorse, che potrebbero essere impiegate diversamente. Rispetto a questi disastri ecco il valore del negoziato, in cui ciascuno rinuncia a qualcosa per ottenere un bene superiore. Non a caso la nostra proposta di pace indica una sorta di Piano Marshall».
Il memorandum, frutto del lavoro dell’Accademia, affronta anche la questione della lobby delle armi?
«Certamente. Vi sono lobby belligeranti che non vogliono che il conflitti abbiano termine. Spingono per bloccare ogni proposta di negoziato tra Russia e Ucraina. Troppo alti sono i profitti dell’industria bellica. Guardi qua cosa dichiarò Giovanni Paolo II all’Angelus del 1. Gennaio 2002…».
Da tre mesi gli Stati Uniti avevano attaccato l’Afghanistan in risposta all’attentato delle Torri Gemelle, perpetrato da Al Qaeda.
«Diceva papa Wojtyla: “Forze negative, guidate da interessi perversi, mirano a fare del mondo un teatro di guerra”. Parole non solo profetiche ma un atto di accusa politica. Aggiungiamo anche un’altra cosa: le armi come le medicine vanno in scadenza. Perciò devono essere usate! Sono in ballo interessi fortissimi».
Molto presto Francesco ha sottolineato che l’attuale conflitto non può essere affrontato meramente come una partita tra due blocchi politico-militari, ma deve sfociare in nuove regole di governance mondiale.
«Anzitutto va eliminato il diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Chi detiene il veto, ha un potere di monopolio che limita la libertà degli altri. È un elemento di pressione e corruzione. Inoltre andrebbe aperta la strada alla partecipazione della società civile, dell’associazionismo, del volontariato. Naturalmente con regole e standard precisi. Ma perché presenze internazionali come la Comunità di Sant’Egidio o Medici senza frontiere non devono potersi esprimere alle Nazioni Unite? Inoltre vanno riformate istituzioni come il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione mondiale della sanità, la Banca mondiale, l’Organizzazione mondiale del commercio. Sono nate a Bretton Woods nel 1944 con statuti in funzione degli interessi occidentali, in un’epoca in cui esistevano ancora le colonie».
Un programma corposo.
«Se si parla di una nuova Helsinki, bisogna affrontare la questione di un nuovo ordine economico internazionale. Servono nuovi organismi a livello Onu: per la gestione degli aiuti, per affrontare il flusso delle migrazioni, per dedicarsi alla questione dell’ambiente. E ancora, vanno eliminati i paradisi fiscali che alimentano la speculazione finanziaria. (Esistono anche nella Ue: Malta, Irlanda, Olanda, Lussemburgo). Infine va proibito l’accaparramento delle terre coltivabili e delle risorse di acqua».
Insomma, lei insiste nel dire che la pace è il risultato di uno sforzo complessivo, in molteplici dimensioni.
«Lo affermava già Paolo VI nella sua enciclica Populorum progressio del 1967. Lo sviluppo è il nuovo nome della pace. Si badi bene, lo “sviluppo” non la “crescita” in quanto tale».
Tra poche ore si terrà a Roma la prima grande manifestazione nazionale per la pace. Sono già scoppiate le polemiche sul pacifismo. I “razionalisti”, come li chiama lei, non vogliono saperne oppure proclamano che “tutti vogliamo la pace”. E quindi nulla deve muoversi.
«Non a caso io parlo di “costruttori di pace” come dice il Vangelo di Matteo. Io rispetto pienamente il pacifismo di testimonianza, che serve a mobilitare le coscienze. Ma non basta. Esiste nella storia anche il diritto all’autodifesa. Il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, sostenitore del pacifismo etico, è poi passato all’impegno attivo nella resistenza a Hitler. Perciò la pace va costruita, mattone su mattone, eliminando anche le cause della guerra. Le proposte, che abbiamo appena discusso, sono l’esempio di come si mette pietra su pietra. Vorrei anche aggiungere che dobbiamo ricordare che la Russia appartiene all’Europa, ovviamente con le sue caratteristiche. O vogliamo rischiare di gettarla in braccia alla Cina? Teniamo conto che personalità come Obama e Kissinger in questi giorni si spendono per ricordare che ci sono cose che si possono fare e altre che è meglio non fare».
Un nodo politico è anche la posizione di Zelensky, che ha firmato un decreto per vietare di trattare con Putin. Un recente editoriale dell’Avvenire rimarca la necessità di far capire a Zelensky che l’aiuto occidentale non significa avallare atteggiamenti di intransigenza e il rifiuto di chiudere la guerra.
«Sono d’accordissimo. Un conto è rilevare che la colpa del conflitto è della Russia. Sua è la responsabilità di avere infranto le regole. Ma questo non deve impedire la ragionevolezza. Non deve sfociare nel rifiuto del negoziato».
La manifestazione del 5 novembre si propone di premere per un cessate-il-fuoco. Lo stesso obiettivo indicato ai primi di ottobre da papa Bergoglio. Concretamente, c’è una soluzione?
«È il momento di affidare ad un mediatore super partes, dotato di caratteristiche di ragionevolezza e rispettabilità da tutti riconosciute, il compito di avanzare una proposta di negoziato (che può anche essere diversa da quella che ho illustrato). Se questa personalità, sostenuta dalla stima di tutti, si rivolgesse a Putin e Zelensky e allo stesso tempo a Biden e Xi Jinping, dicendo “Vi chiedo di discutere questa proposta”, a quel punto nessuno potrebbe tirarsi indietro. E si potrebbe avviare un processo di pace».
Il nome?
«In questo momento di personalità con questo tipo di qualità ce n’è solo una. Una personalità che non ha interessi in gioco e quindi è super partes, che ha un capitale reputazionale universalmente attestato e infine la necessaria saggezza. Papa Francesco».
tpi.it 4/11/2022
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