di Maurizio Crosetti
Le sei lunghissime, velocissime ore di Esterno notte che hanno imbullonato davanti alla tivù tre milioni di spettatori, ogni sera moltiplicata tre, per Moro e per quel lontano inferno italiano, ci dicono qualcosa di antico, dunque di modernissimo.
A dispetto dei tempi lenti a cui non siamo più abituati, una durata mentale che scavalla alla grande i 50 minuti classici delle serie televisive (ma la Tataranni, ottimo prodotto, dura ogni volta un’ora e venti circa, e ancor di più durano Rocco Schiavone o Montalbano: ma i loro sono episodi conchiusi), a dispetto anche della profonda diversità di ritmo e cura dei dialoghi offerti da un’opera autoriale come quella di Marco Bellocchio, un maestro del cinema, la domanda è: com’è potuto accadere?
Per tre sere quasi consecutive, a parte il mercoledì “saltato” per ragioni calcistiche (l’imperdibile amichevole degli azzurri in Albania), è come se un meteorite ci fosse precipitato in salotto.
La forza tellurica della fragilità di quell’uomo prigioniero e già quasi morto, della sua scorta trucidata, della sua famiglia agonizzante nell’attesa certa dell’ineluttabile, dei politici che lo volevano eliminato, del Papa impotente, ha scardinato molte sicurezze della tivù contemporanea: Aldo Moro si è insinuato tra chiacchiere e dibattiti, ha sconfitto la monotonia di format e ospiti sempre uguali, ha surclassato in ascolti Iene eGrande Fratello.
Padrone di tre nostre sere, il grande cinema adattato alla “serialità seria”, dunque impegnativa, ci ha fatto pensare, ricordare, in molti casi riscoprire. Ha spalancato un libro mai davvero chiuso, il “caso Moro” e i suoi misteri tombali, le sue collusioni e collisioni. Ha proposto al pubblico più giovane l’Italia tesa e sconvolta di quegli anni. E ha offerto alla platea degli over-cinquanta la strana sensazione di essere già un capitolo di storia contemporanea, non quella raccontata da genitori e nonni ma quella vissuta quando avevamo quindici o vent’anni, e quasi ogni giorno c’erano un morto o un gambizzato dai terroristi, alcuni dei quali sotto casa. Il film di Bellocchio non ha truccato o rifatto quegli anni: è,quegli anni. Fabrizio Gifuni non ha interpretato Moro: lui è, Moro. Un terremoto emotivo, questo Esterno notte, ma anche un rovesciamento di paradigma. A conferma che la qualità non solo è sempre più necessaria ma ancora interessa molto, coinvolge, premia.
Forse la stessa Rai non si aspettava un simile risultato di ascolti, che pure non sono l’unico parametro, l’unico indicatore. E quanta densità in quei volti, in quei gesti, negli abiti cupi delle terribili maschere grottesche dei potenti, negli oggetti di un tempo non così lontano — le automobili di allora, i maglioni a collo alto, le cabine telefoniche, il monoscopio che danza nel teleschermo a inizio e fine programmi.
Poteva sembrare un’operazione di teche, di nicchia o nostalgia, invece ci ha buttato in faccia la modernità: il vasto pubblico esiste, chiede e applaude. Offrire qualità non è un esterno notte, ma un bellissimo giorno.
La Repubblica, 19/11/2022
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