MARCELLA CROCE
Provenendo dall’Atlantico per riprodursi nel Mediterraneo, i tonni venivano intercettati in Sicilia da un centinaio di tonnare. In maggio passavano in grandi branchi a nord dell’isola (tonnare da corsa) per poi tornare verso Gibilterra in giugno passando lungo la costa meridionale (tonnare di ritorno).
Quando la quantità dei tonni era giudicata sufficiente, il rais dava l’ordine di iniziare la mattanza, e la rete orizzontale era tirata dai tonnaroti al canto delle antichissime ciamòle tradizionali. Questi due termini, rais “capo” in arabo e mattanza “uccisione” in spagnolo, la dicono lunga sulla diffusione di questo che era quasi un rito tribale condiviso con gran parte del Mediterraneo e perfino con il Portogallo.
A circa 20 km. da Trapani si impone sulla costa tirrenica la tonnara di Bonagia che nel XIII secolo i sovrani normanni elencavano tra i beni della Corona. Espugnata e incendiata nel 1624 durante un’incursione dei pirati barbareschi, la tonnara fu ricostruita nel 1626.
Dall’attiguo bar Il Signore delle Tonnare si accede al baglio su cui si affacciano gli antichi magazzini, le stalle, le cucine, il forno, un mulino, e la chiesetta del SS. Crocifisso dove il rais si raccoglieva in preghiera prima della mattanza. Negli ultimi decenni tutto ciò è stato trasformato nell’omonimo resort a quattro stelle, tranne l’antica Torre d’avvistamento che ospita il Museo della Tonnara. Massiccia e elegante al tempo stesso, la torre è ingentilita da robusti costoloni in tufo. Ogni tonnara aveva una torre per l’avvistamento del branco: Teocrito in un suo idillio paragona il turbamento dell’anima di un innamorato a quello del mare osservato dall’avvistatore (tunnoskòpos), mentre Eschilo nei Persiani paragonò lo scempio di Salamina alla mattanza dei tonni. Nel marfaraggio era ospitata la ciurma per tutto il periodo della pesca.Nel museo sono oggi esposti vari attrezzi, utensili e coltelli per la pesca del tonno e del pescespada, accanto ad altri strumenti per riparare e calatafare le barche. Il museo ospita anche il modellino del complesso sistema di reti che attendeva il passaggio dei tonni, in pratica una grande trappola dove essi entravano senza potere uscire fino ad arrivare alla «camera della morte», l’unica zona con una rete orizzontale. Sulle pareti di pietra del museo, si susseguono disegni esplicativi per la pesca con il palangaro per la pesca di fondo, e per quella a circuizione, o tonnara volante. All’esterno si disfanno lentamente al sole alcune grandi muciare, le barche che venivano usate per la tonnara, mute testimoni di un mondo perduto. Il museo è aperto tutti i giorni dalle 7 alle 20 in concomitanza con il suddetto bar Il Signore delle Tonnare.
All’estremità della falce di Trapani, detta drepanon in greco, tutta protesa verso le isole Egadi, tre gioielli si stagliano sull’azzurro accecante del mare. Fortezza di avvistamento e di segnalazione, la torre di Ligny, costruita nel 1671, serviva a difendere l’isola contro i pirati turchi. Una delle città più a rischio era proprio Trapani, e quindi fu innalzata questa torre, che faceva parte di un progetto complessivo di fortificazione curato dall’architetto Grunenberg; era collegata alla città da un braccio di terra che fu colmato e appianato nel 1806 e poi trasformato in una magnifica passeggiata chiamata Carolina in onore della moglie di Ferdinando III.
Al centro della facciata una grande aquila marmorea e gli stemmi del regno spagnolo incorniciano una lapide che conferma la data di costruzione. All’interno, nel Museo Civico sono esposti un rostro della battaglia delle Egadi avvenuta il 10 marzo 241 a.C., una serie di modellini di navi famose, tra cui il Titanic e le caravelle di Colombo, e pannelli dedicati ai disegni preistorici della Grotta dei Cavalli a San Vito lo Capo e di quella di Cala dei Genovesi a Levanzo in cui sono stati individuati anche tonni.
«Il Mediterraneo, crocevia di civiltà, rinasce costantemente nella realtà, ma anche in noi stessi che abbiamo il privilegio di ‘sentirlo’ scorrere nelle nostre vene spirituali. Civiltà che si incarnano in noi nell’immanente dilemma tra lo struggente attaccamento alla vita e il ferale silenzio della morte». La bella citazione di Sebastiano Tusa, incorniciata su una parete del museo, è un’ottima introduzione all’esposizione.
Il piano terra della torre era in origine magazzino, deposito per le munizioni e cisterna; non esisteva l’attuale porta di ingresso ma vi si entrava dal primo piano, accessibile solo attraverso una scala a pioli esterna. Sulla torre prestavano servizio tre torrari che si davano il turno giorno e notte e che usavano la brogna, una conchiglia di grosse dimensioni o i fani, cioè fumo di giorno e fuoco di notte, per comunicare con le torri di Bonagia e di Nubia e così via con le altre torri. Un messaggio di allerta faceva il giro della Sicilia in tre ore. Il museo è aperto tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19.
Tra la Torre di Ligny e la Colombaia, vero gioiello Art Nouveau è il Villino Nasi, che sorge sulla sottile lingua di terra, detta Lo Scoglio. La costruzione della villa, che la città di Trapani volle donare al suo concittadino, l’ex ministro Nunzio Nasi, iniziò nel 1898. In bugnato rustico, elegante e solenne, il prospetto è scandito da pilastri angolari, con due ali sporgenti chiuse da decorazioni. L’interno era arredato con opere d’arte e mobili d’epoca, alcuni dei quali sono ancora in situ, tra cui un busto di Nasi, opera dello scultore Ettore Ximenes. Le decorazioni parietali e i soffitti, alcuni dei quali purtroppo versano in cattive condizioni, mostrano tutti gli elementi tipici del gusto liberty: chinoiserie con risonanze esotiche, linee curve con il tipico colpo di frusta. Il mare, presente a 360°, trasforma ogni finestra del villino in un autentico quadro. Nel 1960 il villino fu donato dai figli Virgilio e Emma Nasi, dietro rendita vitalizia e con l’obbligo di riservarlo a attività culturali, al Libero Consorzio Provinciale di Trapani che offre fino alla fine di ottobre 2022 visite guidate gratuite il mercoledì dalle 17 alle 19 e il giovedì dalle 11 alle 13.
Dulcis in fundo, la Colombaia, uno dei migliori esempi di architettura militare in Sicilia, abbandonata negli anni ‘60 e normalmente chiusa al pubblico. La fortezza sorge su un’isoletta che può essere raggiunta solo in barca partendo dal Lazzaretto, oggi sede della Lega Navale di Trapani, costruito nel 1906 per iniziativa del tenente generale Giovan Battista Fardella sull’isola di Sant’Antonio, oggi unita alla terraferma. Nella chiesa nel XIII sec. venivano accolti gli equipaggi sospettati di portare infezioni e nel 1624 venne costruito un ospedale per curare le persone sospette di avere contratto la peste che imperversava in quegli anni. I documenti più antichi fanno risalire la Colombaia, o Torre Peliade, alla Prima Guerra punica. Il nome Colombaia verrebbe dalle colombe sacre che venivano rilasciate da Erice verso Cartagine e viceversa durante le feste in onore di Venere Ericina e delle sue ierodule, prostitute sacre. Sotto Carlo V divenne fortificazione per difendere la città; tra il 1821 e il 1860, sotto i Borbone, fu destinato a carcere e qui vennero rinchiusi protagonisti del Risorgimento siciliano, patrioti, malfattori e politici. La visita, recentemente curata da «Le vie dei tesori», comprende le due chiese, gli spazi per la mensa, per le visite dei familiari e per le cucine, e le ex celle, in ciascuna delle quali erano stipate 20 persone con un angolo adibito a ‘servizio igienico’. La bellissima torre ottagonale con tetto interno a stella suggerisce un’influenza di Federico II di Svevia per l’evidente somiglianza con la torre di Enna e con il Castel Del Monte in Puglia. Da un articolo del Giornale di Sicilia del 19-9-22 apprendiamo che da 20 anni l’Associazione ‘Salviamo la Colombaia’ si batte per il restauro e l’apertura regolare della Colombaia, un’impresa per la quale dovrebbero battersi i trapanesi e i siciliani tutti. Ciascuno degli edifici menzionati, se adeguatamente valorizzato, sarebbe un’ottima attrazione turistica e culturale.
Il vero padrone a Trapani è il mare. Nelle stradine limitrofe ci si imbatte nel mercato ittico, si passano ristoranti di pesce e pescatori che riparano le reti. Tra i siti menzionati il Villino Nasi sembra sorgere dal mare, quasi galleggiare nel mare, gli altri tre sono sovrastati da tetti spettacolari che un tempo avevano lo scopo di permettere un ampio controllo della costa e che per lo stesso motivo offrono oggi panorami mozzafiato.
GdS, 3/10/2022
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