Pene pesanti per i presunti capi del mandamento del quale fanno parte anche lo Zen, Tommaso Natale e Partanna. Due assolti. Sedici anni a Giulio Caporrimo, ritenuto il boss
Virgilio Fagone
Stangata alla mafia di San Lorenzo al processo Bivio celebrato in abbreviato al bunker di Pagliarelli davanti al giudice Giuliano Castiglia. Un procedimento nato da un blitz del gennaio dello scorso anno per una lunga storia di estorsioni e danneggiamenti, tentati omicidi e regolamenti di conti. L’accusa, rappresentata dai pm Dario Scaletta e Felice De Benedittis, nel corso della requisitoria aveva chiesto condanne per oltre un secolo di carcere. Ieri il verdetto con quindici condanne e due assoluzioni e pene abbastanza pesanti nonostante lo sconto di pena previsto dal rito.
A Giulio Caporrimo, considerato il nuovo capo del mandamento, sono stati inflitti 16 anni.
Le pene più alte: 18 anni e 4 mesi per Antonino Vitamia, 18 per Francesco Palumeri e 17 anni e 4 mesi per Giuseppe Cusimano. Quattordici anni e 8 mesi a Francesco Adelfio, dodici anni e quattro mesi a Francesco L’Abbate. Nove anni e 4 mesi a Sebastiano Giordano, otto anni e 8 mesi a Salvatore Fiorentino, tredici anni ad Andrea Mancuso, 10 anni e 8 mesi a Michele Zito, 12 anni a Fabio Gloria e Vincenzo Taormina, sei anni a Fabio Ventimiglia, otto anni e otto mesi a Giuseppe Rizzuto, dieci anni a Vincenzo Billeci. Assolti Francesco Caporrimo e Pietro Ciaramitaro. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Rosanna Vella, Maximilian Molfettini, Leredana Gemelli, Vincenzo Giambruno e Giulio Bonanno, Domenico La Balsca, Gianfranco Giunta, Francesco Lo Nigro, Giovanni Castronovo Roberto Riggio e Salvatore Agrò, Giuseppe Giambanco e Paolo Seminara, Giovanni Di Benedetto e Jimmy D’Azzò, Rosa maria Salemi, Carmelo Franco e Angelo Formuso.Alcune vittime delle estorsioni, assistite nel loro percorso di denuncia dalle associazioni antiracket, tra le quali Addiopizzo, si sono costituite parte civile e hanno ottenuto provvisionali come ai fini dei risarcimenti. I condannati dovranno pagare anche multe per diverse migliaia di euro.
Il processo nasce dall’inchiesta sfociata nel gennaio dell’anno scorso nell’operazione Bivio, un blitz condotto dai carabinieri con una ventina di fermi. Un’indagine su mafia, estorsioni e danneggiamenti, affari di droga e sparatorie nell’area della città un tempo dominata dai boss Lo Piccolo, una vasta zona tra Tommaso Natale, Sferracavallo, Pallavicino, lo Zen e San Lorenzo. Tredici i taglieggiamenti contestati, cinque gli imprenditori che hanno denunciato. Nel mirino dei boss c’erano come spesso accade ditte edili e di movimento terra, ma anche un’agenzia funebre, una friggitoria, una macelleria. Il colpo grosso volevano farlo mettendo sotto pressione l’impresa che sta svolgendo in via Nicoletti a Tommaso Natale i lavori per il collettore fognario, un tentativo di estorsione sfociato in un incendio ad un mezzo pesante della ditta. Un attentato svelato in diretta, anzi prima, dato che gli investigatori attraverso le intercettazioni avevano sentito le discussioni degli affiliati sul metodo migliore per spremere denaro all’azienda.
Alla guida del gruppo criminale ci sarebbe stato Giulio Caporrimo, personaggio più volte coinvolto in indagine antimafia e con una lunga storia di detenzioni. A spalleggiarlo, secondo la ricostruzione degli investigatori e dei magistrati della Dda, sarebbero stati Francesco Palumeri, che avrebbe diretto la famiglia di Partanna Mondello, Giuseppe Cusimano, indicato come il capo dello Zen assieme a Francesco L'Abbate, Antonino Vitamia, al vertice di Tommaso Natale. Nelle pagine dell’inchiesta c’è spazio anche per turbolente contese allo Zen, spesso sfociate in regolamenti di conti e duelli in strada a colpi di arma da fuoco. È il caso di Andrea Barone, spalleggiato dal padre Carmelo che il 23 settembre del 2020 avrebbe impugnato contemporaneamente due pistole per far fuoco contro Letterio e Pietro Maranzano (i Corona non erano imputati nel processo giunto a sentenza ieri). Solo per un caso nessuno venne raggiunto dai proiettili. Il movente del contrasto fra le due famiglie sarebbe nato dai «soldi della percentuale». «Se non mi danno i soldi abbuscano», era stata la minaccia. I conti in sospeso avrebbero riguardato 2.000 euro che Maranzano pretendeva da Andrea Barone per una macchina ma Barone, a sua volta, reclamava altri 5.000 euro per una multa inflitta alla moglie per un ciclomotore che «di fatto Maranzano aveva venduto a una persona senza regolarizzare il passaggio di proprietà». Ma, di fondo, ci sarebbe stata l’insofferenza, non solo dei Baruneddi, nei confronti dei due fratelli e del ruolo che volevano ritagliarsi allo Zen, perché «con i loro comportamenti rendevano la vita impossibile a tutti...». Scene da far west in un territorio perennemente in fibrillazione per storie di droga e di controllo del territorio, dove sparatorie e agguati non sono rari.
GdS, 12/10/2022
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