martedì, ottobre 25, 2022

L’INTERVISTA. Paolo Bianchini: “Il sogno di Danilo Dolci è una storia attuale”


di 
Mario Di Caro

La rivoluzione di Danilo Dolci era il lavoro: costruire una strada senza appalto e senza ditte per sopperire all’inerzia dello Stato in una Sicilia che letteralmente moriva di fame. Era lo sciopero al rovescio, lavorare per chiedere, al quale si unirono i numerosi digiuni di protesta. Del resto quando Dolci arriva in Sicilia dalla sua Trieste, nel 1952, assiste alla morte di un bambino per inedia. 
Troppo, allora come oggi, per non cominciarea lottare. Adesso le battaglie di questo indomito sociologo che si mise alla testa degli ultimi, a Palermo, al cortile Cascino, come a Partinico, saranno raccontate dal documentario di Paolo Bianchini “Il profumo delle zagare”, in onda il 4 novembre su Rai3 e in anteprima giovedì pomeriggio nell’auditorium del liceo delle Scienze umane intestato a Dolci. Una produzione di Alveare cinema in collaborazione con Rai Documentari e Rai Teche che si avvale della testimonianza preziosa di chi visse quegli anni di lotta e di speranza. 


Bianchini, perché ha sentito l’esigenza di raccontare Danilo Dolci venticinque anni dopo la sua morte? 
«Ho avuto la bella avventura nella mia vita di conoscerlo quando avevo vent’anni: mio padre era un medico “peripatetico” che andava dietro alle tribù nomadi nei deserti persiani, in Congo, e in una pausa di queste sue peregrinazioni ha conosciuto Dolci che era all’inizio della sua avventura siciliana ed è andato con lui a costruire il primo ambulatorio a Partinico. Poi sono tornati insieme e quindi è stato un giorno a casa nostra a Roma. Durante la giornata si parlò di questo sogno in Sicilia che cominciava a prendere corpo e da allora ho continuato a seguirlo come potevo e non l’ho più abbandonato. 
Uno dei progetti che sognavo di realizzare era proprio la storia di Danilo Dolci. E quando la Rai mi ha chiamato per la prima volta proponendomi dei lavori attraverso Fabrizio Zappi, direttore Rai documentari, io ho proposto la storia di Dolci». 
Chi è per lei Danilo Dolci? 
«Dolci è un esempio di attualità, è stato nove volte candidato al Nobel per la pace: quando arrivava la nomina era una festa perché facevano sogni bellissimi su come utilizzare i soldi, è stato fra i fondatori della marcia della pace e tutto il lavoro pedagogico, il lavoro di partecipazione dal basso è di straordinaria attualità . La vera politica è quella: la diga che oggi dà l’acqua a Palermo fu costruita grazie al suggerimento di un contadino analfabeta che disse “ci vulissi un grande bacile”. È un film attuale che dovrebbe essere di nutrimento per tutti». 
Chi sono i testimoni che ha scelto per raccontare la sua azione civile? 
«Quelli che allora erano i bambini entrati a far parte del suo centro che poi sono andati a insegnare portando avanti quello che è stato il loro primo nutrimento. Il film finisce con l’ex bambino che racconta di aver mangiato per la prima volta ilformaggio in vita sua nel Borgo di Dio, il latte condensato: è stata l’ultima persona che gli ha poggiato la testa sul cuscino e lo ha accompagnato verso la fine, oggi è un pescatore. I protagonisti sono Amico e Chiara due dei dieci figli, cinque naturali avuti da Vincenzina e cinque adottati». 
Che cosa l’ha impressionata maggiormente ricostruendo la storia di Dolci? 
«È stato emozionante girare il documentario: ho inserito un altro elemento di comunicazione, il linguaggio della musica che Danilo ha usato moltissimo. Invitava i professori dell’orchestra del Massimo che andavano a suonare a Partinico, la musica era uno strumento di lotta. Portò un giradischi che suonava Bach durante lo sciopero dei pescatori sulla spiaggia: su quella stessa spiaggia ho fatto venire un giovane violoncellista per eseguire una suite per violoncello di Bach e questa musica che si spandeva nel mare l’ho immaginata ascoltata da centinaia di pescatori e dalle loro famiglie. Fu arrestato dopo il primo sciopero alla rovescia, era una minaccia politica rispetto all’immobilità a cui eradestinata la Sicilia». 
E poi c’è un documento sonoro, la prima radio libera siciliana, per quanto effimera… 
«Sì, c’è la registrazione della Radio dei poveri cristi, l’appello della prima radio libera, poi la polizia fece irruzione ma la sentirono fino in Alaska. C’era il flauto suonato da Amico». 
A Palermo il cortile Cascino, altra battaglia di Dolci, non esiste più: dove avete girato? 
«Ho girato al liceo Dolci a Brancaccio, a pochi passi da dove hanno ucciso don Puglisi: il documentario inizia dentro quella scuola con un laboratorio di ragazzi che studiano il percorso di Dolci di cui non sapevano niente. Una ragazzina durante una ricerca sui dolci di Pasqua volle approfondire il nome della sua scuola, Dolci appunto: il documentario inizia così, col suo racconto. Quanto ai luoghi, il film inizia e finisce al teatro Massimo con il violoncellista che suona, un allievo di Chiara Dolci». 
Che cosa resta oggi di Danilo Dolci? 
«A Trappeto c’è l’associazione che fa capo ad Amico, e poi c’era il progetto di riaprire e restaurare il Borgo di Dio». 

La Repubblica Palermo, 25/10/2022

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