martedì, ottobre 25, 2022

LA TESTIMONIANZA. Il ’92 sul fronte delle stragi ma senza una redazione. “Basta, dobbiamo esserci”

La strage di via D’Amelio

di Roberto Leone

La mattina di lunedì 20 luglio 1992 non è quella di un giorno qualunque. Poche ore prima, alle 16,58 della domenica appena conclusa, Palermo si è trasformata di nuovo in Beirut. Un’autobomba è esplosa in via D’Amelio, una strada di una zona semicentrale, a poche centinaia di metri in linea d’aria da via Pipitone Federico, dove undici anni prima era saltato in aria il giudice Rocco Chinnici, ucciso assieme ai due carabinieri di scorta e al portiere dello stabile. 

Questa volta l’obiettivo è stato Paolo Borsellino, uno dei simboli della stagione e del pool antimafia. Borsellino muore con i cinque agenti che cercavano di proteggerlo mentre sta per bussare al campanello della casa dove abita l’anziana madre. Stessa tecnica, stesso fragore, stesso shock che 57 giorni la strage di Capaci hanno l’effetto di provocare una rivoluzione mai vista prima. In Italia e anche a Palermo. 


Quella mattina ha il prologo in una lunga notte vissuta da alcuni giornalisti di Repubblica in ordine sparso. Cronisti che si ritroveranno tutti nella prima riunione di redazione a Palermo: sarà il battesimo della redazione che adesso compie ben 25 anni. In quelle ore ognuno si era mosso in modo coordinato, con delle direttive precise. Le sedi del giornale erano chiuse, Repubblica non usciva il lunedì. «E ora...? Dobbiamo aspettare due giorni per scrivere. E qui non c’è nemmeno una redazione...». Più che rabbia era sconforto, un senso di frustrazione fortissimo, quello vissuto da Peppe D’Avanzo. «È incredibile — ripeteva Peppe, che era l’inviato di punta della cronaca nazionale — saremo gli ultimi». Ci eravamo incontrati quasi per caso nel giardino della prefettura. Quel pomeriggio ero arrivato in via D’Amelio cinque minuti dopo l’esplosione e per un’ora ero stato in giro tra le auto ancora in fiamme. Dalle sei avevo tentato di mettermi in contatto con il giornale. Allora lavoravo per Repubblica a Milano (seguivo la cronaca giudiziaria ed eravamo appena entrati nel ciclone di Mani pulite), ma sia nella redazione di via De Alessandri che in quella di piazza Indipendenza a Roma, i centralini squillavano a vuoto. Come abbiamo detto infatti Repubblica nel ’92 non usciva il lunedì e gli uffici la domenica erano deserti. E quasi nessuno ancora aveva il cellulare. Alla fine ero riuscito a rintracciare Mino Fuccillo, il capo della redazione di Milano: «So che hanno cercato di organizzare un’edizione straordinaria ma non c’erano i tempi. Ci sentiamo domani». «Ok, io continuo a seguire quello che succede qua». 
Un paio d’ore più tardi vidi spuntare nel buio del giardino di villa Whitaker, la sede della prefettura, Giuseppe D’Avanzo e Alessandra Longo, due colleghi della redazione della cronaca nazionale sbarcati a Palermo con l’ultimo volo da Roma. Erano arrivati lì anche loro perché a sera un improvvisato corteo delle scorte, partito dalla squadra mobile, aveva attraversato il centro della la città, corso Vittorio Emanuele e via Roma sino a via Cavour. E gli agenti esasperati dopo il nuovo attentato, appena 57 giorni dopo la strage di Capaci, avevano rotto l’esile protezione al cancello e fatto irruzione negli uffici del prefetto. «Non ne possiamo più di essere carne da macello» avevano urlato salendo di corsa le scale. 
Poco prima di mezzanotte la situazione era ancora tesa ma più calma e riconobbi tra la piccola folla i due colleghi. «Siamo appena arrivati, purtroppo non è stato possibile fare una edizione straordinaria» racconta D’Avanzo. «Lo so — gli rispondo — ho parlato con Mino a Milano». «Domani ci vediamo. Arriva Cerasa per organizzare il lavoro, ma non so dove e come. Qui non c’è la redazione, eppure ci vorrebbe eccome: siamo in prima linea». E così l’indomani mattina il 20 luglio sulla terrazza di Villa Igiea, si svolge la prima riunione di una redazione di Repubblica a Palermo. Sino ad allora l’unico sul fronte Sud era stato Attilio Bolzoni, compagno di banco per la cronaca nera all’Ora, diventato corrispondente del giornale di Scalfari all’inizio degli Anni ’80. 
Giuseppe Cerasa è il vice capo della cronaca nazionale, anche lui cronista all’Ora. Oltre ad Attilio ci sono Franco Viviano (allora all’Ansa) e Alessandra Ziniti che lo affiancano da tempo a Palermo, D’Avanzo e Longo inviati da Roma, insieme a Umberto Rosso, altro ex L’Ora assunto da Scalfari, e io che ero in ferie e che vengo arruolato sul posto. Una settimana di servizi e reportage, poi farò rientro a Milano. E così tutti gli altri tranne ovviamente Bolzoni, Viviano e Ziniti che vivono a Palermo. La prima esperienza di redazione palermitana di Repubblica va in archivio. Ma è proprio da quei giorni che al giornale comincia a crescere la doppia spinta per avere il numero del lunedì e aprire le redazioni che mancano dopo l’ultima aperta a Napoli nel 1990, Palermo e Bari. 
Il primo risultato viene raggiunto presto. All’inizio del ’94 oltre all’introduzione del colore in prima pagina, il quotidiano di Eugenio Scalfari arriva in edicola anche il lunedì. Si parte con un’edizione leggera, venti pagine, che via via andrà crescendoe alla quale si aggiungerà il supplemento economico Affari e finanza. Il fronte Sud, però, non è abbandonato. Anzi sia Scalfari che poi Ezio Mauro, direttore dal 1996, lo considerano fondamentale e più volte ripetono che la presenza di Repubblica in Sicilia e in Puglia è decisiva non solo per la qualità dell’informazione ma anche per una reale crescita democratica di questa area del Paese. La Sicilia è il fronte più delicato con la sfida che Cosa Nostra ha lanciato tra il ’92 e il ’93, ed è qui che Repubblica deve essere ancora più presente. Per l’edizione di Palermo e poi di Bari però i tempi saranno più lunghi. Alla fine, dopo diverse assemblee si raggiunge, un accordo. L’azienda investirà ma servirà anche il sacrificio dei nuovi colleghi. L’intesa infatti prevede un taglio sui livelli di reddito (gli assunti avranno stipendi inferiori del 30 per cento in base ad un accordo nazionale per tutte le nuove iniziative editoriali). 
Così all’inizio del ’97 c’è il via libera. Nel frattempo, da un anno al timone è arrivato Ezio Mauro e a dirigere il “traffico” tra le allora otto redazioni di Repubblica Alfredo Del Lucchese, livornese, capace del gioco delle tre carte più di un napoletano. Le mie incursioni a Palermo diventano un continuo consulto a casa di Attilio che vado a trovare ogni volta che torno: il suo appartamento in largo Villaura è a due passi da quello di mia madre in via dei Cantieri e per anni e anni è stato l’avamposto di Repubblica a Palermo. Seguo passo passo la costruzione della redazione che esordisce con alla guida Federico Geremicca il 27 ottobre 1997. Sono passati cinque anni dalla notte della strage Borsellino: le lacune più grosse di Repubblica sono state colmate, il numero del lunedì dell’edizione nazionale e la redazione di Palermo sono realtà. Per quella di Bari bisognerà aspettare il 2000. Resto ancora a Milano sino al ’99, poi arriva la telefonata del livornese: «Dè, ma tu non hai mica voglia di ritornare a Palermo...?». Sarà un ritorno breve con Giustino Fabrizio, a fine duemila mi richiamano a Milano. Ma ci sarà una terza volta con Enrico del Mercato, e sarà quella in cui si festeggeranno i 20 anni di una redazione ormai cresciuta e consolidata. 

La Repubblica Palermo, 25/10/2022

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