di Marco Patucchi
«Avevo sedici anni nel 1992, mi trovavo in casa dei miei nonni, a Terlizzi. Guardavo le immagini in tv della strage di Capaci e piangevo. Stavo in Puglia, ma era come se fossi lì a Palermo perché il Sud in certe cose è tutto uguale. Il Comune del mio paese era stato appena sciolto per infiltrazioni mafiose». Michele De Palma, leader nazionale dei metalmeccanici della Fiom-Cgil, è un uomo del Mezzogiorno e ogni volta che torna nella metà del Paese dove si soffrono più che altrove le emergenze sociali ed economiche italiane, si immerge di nuovo in un mare che conosce molto bene. De Palma è a Palermo per l’assemblea provinciale dei delegati Fiom, che si svolge nel nome di Giovanni Orcel, il sindacalista ucciso da Cosa nostra nel 1920.
De Palma, il passato che ritorna: in Sicilia chi combatte per i diritti dei lavoratori finisce nel mirino della criminalità. Adouda, l’operaio e mediatore culturale ivoriano scomparso nel Ragusano qualche mese fa, aveva diffuso dei video di denuncia sulle condizioni dei lavoratori…
«Con la crisi economica e i salari bruciati dall’inflazione, famiglie e piccole imprese per non naufragare rischiano di finire nelle mani dell’estorsione. Se non c’è sangue in terra di mafia non si parla, la politica se ne dimentica lasciando da sola la magistratura. Siamo in un’epoca nella quale, per dire, con i droni si è rintracciato un runner che, contro le regole, correva in spiaggia durante il lockdown o si sono scoperte lebarche degli oligarchi russi. Ma non si riescono più a seguire le tracce del denaro sporco come faceva Falcone con mezzi tecnologici meno raffinati degli attuali. E dico di più: oltre alla politica anche la grande industria può essere un’arma contro le mafie».
In che senso?
«Soprattutto al Sud senza la grande industria non c’è legalità, perché le imprese di maggiori dimensioni operano nel contesto dei contratti e delle tutele. Le filiere degli appalti e dei subappalti invece sono permeabili alla criminalità organizzata. Industria e antimafia sociale, dunque: servono scuola, sanità, servizi pubblici. Sono il riferimento, la leva».
La grande industria in Italia è in declino da decenni. Nel Sud, in particolare, a parte eccezioni come Stm o Fincantieri, è quasi scomparsa. I governi si sonosucceduti ma le crisi industriali sono sempre lì irrisolte, basti pensare qui in Sicilia alla ex Fiat di Termini Imerese…
«Non solo sono irrisolte, ma se ne aggiungono altre. Proprio il caso della Blutec di Termini Imerese dimostra l’assoluta necessità di una politica economica e industriale dello Stato, aggiungerei energetica, vista anche la crisi di Lukoil a Siracusa e di Eni a Gela, che eviti soluzioni in mano alla speculazione finanziaria. Cassa depositi e prestiti e Invitalia dovrebbero essere strumenti decisivi per questa strategia pubblica che produca prima di tutto occupazione. E qui torna il discorso dell’antimafia sociale, della leva del lavoro per sconfiggere l’anti Stato. In Sicilia aziende come Fincantieri e STMicroelectronics sono poli importanti su cui lo Stato deveinvestire».
All’ultima tornata elettorale il tasso di astensionismo in Sicilia ha superato la media nazionale, già di per sé molto alta. L’assioma, nel dibattito pubblico, è quello del non-voto di protesta. Non crede si tratti, invece, di un astensionismo di rassegnazione, da parte di quella maggioranza di italiani che ha ben altre emergenze economiche e sociali a cui pensare piuttosto che alle autoreferenziali dinamiche della politica attuale?
«In effetti ci sono tantissime persone, tantissime comunità che si sentono espulse dal perimetro della cittadinanza. E’ così dove non c’è istruzione, sanità, servizi. Non si pensa più che possa essere la politica a cambiare la situazione, come avveniva addirittura nella Prima Repubblica quando la gente andava a votare perché nelle filiere locali c’era una sorta dido ut des.La responsabilità maggiore per questa frattura è di chi, a destra e a sinistra, ha lavorato alla disintermediazione che ha fatto quasi scomparire il mondo dell’associazionismo e la cultura della partecipazione».
Una risposta all’emergenza sociale ed economica può arrivare dal salario minimo e dal Reddito di cittadinanza?
«Una legge sui minimi contrattuali aiuta la contrattazione e il Reddito di cittadinanza salvaguarda le persone dalla povertà. Però non basta: bisogna investire nella creazione di lavoro e nell’emersione di quello che c’è ma è sommerso».
La Repubblica Palermo, 14/10/2022
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