Da sx: Federico Geremicca, Eugenio Scalfari, Attilio Bolzoni |
Il ricordo dell’unica donna della squadra di corrispondenti
di ALESSANDRA ZINITI
Posso dire, e con orgoglio, di aver letteralmente posato la prima pietra di questa splendida redazione che si appresta a festeggiare i suoi 25 anni. E a cui, anche se sono ormai lontana da diversi anni, resterò sempre profondamente legata. Sì, perché a Repubblica ho fatto davvero di tutto. Anche il “capomastro”. Anzi, dopo otto anni di esaltante quanto totalizzante rapporto di collaborazione negli anni che hanno forgiato decine tra i migliori cronisti italiani chiamati a misurarsi per strada negli anni della guerra di mafia, dei delitti eccellenti, delle stragi, dei “corvi” all’interno di Palazzo di giustizia, della Primavera di Palermo che rivoluzionò la politica della città, alla fine dell’estate del 1997 arrivò la notizia che in tanti aspettavamo, ma che direi la città aspettava da molti anni: Repubblica apriva finalmente una redazione a Palermo, scendeva in campo per combattere con la parte migliore della città le battaglie per la liberazione dalla mafia ma anche dal giogo della politica corrotta e del clientelismo.
Un forum con Giancarlo Caselli |
E toccò a me, ultima ma anche unica donna della squadra dei corrispondenti dalla Sicilia (Attilio Bolzoni, Umberto Rosso, Francesco Viviano ed io) cominciare ad occuparsi dei problemi pratici, su tutti quello della redazione che avrebbe ospitato la “squadra”, composta da colleghi che sarebbero arrivati da Roma per portare a Palermo l’imprinting del giornale ma anche da un bel gruppo di giornalisti palermitani che mostravano di possedere quello che Eugenio Scalfari, fino all’ultima sua indimenticabile visita in redazione, ha sempre definito il Dna diRepubblica, il tratto che ha sempre contraddistinto la nostra comunità di giornalisti.
La sede, dunque: bei locali in via Principe di Belmonte, nel cuore della città, ma tutti da ristrutturare e da adeguare alle esigenze di un giornale. In una corsa contro il tempo visto che il battesimo dell’edizione locale era fissato meno di un mese e mezzo dopo, a fine ottobre. Fui la prima ad essere assunta, in data 15 settembre 1997, quindici giorni prima di tutti gli altri colleghi, proprio per seguire i lavori. Fianco a fianco con la ditta di costruzioni. Certo, non era proprio ilmio mestiere, ma confesso che la sensazione di “fondare” quella redazione tanto attesa mi diede un senso di vertigine che ricordo bene ancora 25 anni dopo. Nel frattempo che i muratori lavoravano non potevamo però stare ad aspettare. E allora scegliemmo come nostro “ufficio” temporaneo i tavolini del bar sottostante in via Principe di Belmonte. Con il capo appena arrivato da Roma, Federico Geremicca, con Attilio Bolzoni ( che era già da anni inviato per la Sicilia dell’edizione nazionale), con Francesco Viviano, fummo incaricatidi formare la squadra. E questo, lasciatemelo dire, è un altro punto d‘orgoglio. Perché l’allora direttore Ezio Mauro si affidò interamente a noi, ai nostri suggerimenti, al nostro scouting alla ricerca di colleghi che avevano i profili giusti per i ruoli che occorreva ricoprire. Nessuno, e dico nessuno, è stato assunto per raccomandazione o indicazione arrivata dall’alto.
Anzi, per la verità, di segnalazione ne arrivò una sola: un giornalista palermitano che aveva trovato il modo di far arrivare il suo nome ad Eugenio Scalfari. Ma il fondatore silimitò a girarci quel nome, dicendo: valutate liberamente. E liberamente decidemmo che quel nome sarebbe rimasto fuori.
Indimenticabili, provate a chiederlo a qualsiasi collega che entrò a far parte quell’anno della redazione di Repubblica, furono le “audizioni” per formare la squadra. Funzionava così: noi palermitani che conoscevamo meglio i colleghi su piazza proponevamo i nomi al caporedattore Federico Geremicca.
Se le caratteristiche da noi enunciate lo convincevano, convocavamo i colleghi al bar di via Principe diBelmonte o a quello di Villa Igea e tra un caffè e un cornetto o un aperitivo partiva il fuoco di fila di domande: curriculum ovviamente, scambio di idee sul giornalismo e sul modo di affrontare questo mestiere. E poi una raffica di domande, chiamiamole così di cultura generale o del settore di cui il collega avrebbe dovuto occuparsi, che finivano anche nello sfociare in momenti di pura e indimenticabile ilarità quando l’interrogazione virava su temi a sorpresa, a volta anche solo per burla, giusto per vedere la reazione dell’esaminando. Che, a volte, per lanaturale tensione del momento rimaneva interdetto perché chiamato a decidere all’istante se si trattava di una burla o di una trappola. Così sono entrati a Repubblica fior di colleghi che hanno raggiunto ruoli di vertice nel nostro giornale, da Enrico Del Mercato ( oggi caporedattore dell’ufficio centrale) a Carmelo Lopapa ( oggi capo del settore politico): lui per la verità fu convocato da me in un altro bar storico di Palermo, il Roney di via Libertà, aveva solo 25 anni e aveva lavorato per alcuni mesi con me in un avventuroso giornale locale e aveva mostrato tuttala sua stoffa. Ricordo che arrivò in motorino e quando sul marciapiedi gli dissi a bruciapelo: “Ti interessa venire a lavorare a Repubblica?” mi guardò con gli occhi sgranati. E ovviamente superò subito l’esame con Geremicca. La redazione finalmente era pronta, erano arrivati anche Piero Melati, palermitano emigrato da molti anni a Roma, che sarebbe stato il vice di Geremicca, e Enzo D’Antona ( anche lui siciliano d’origine ma a Milano da anni) che insieme a me avrebbe composto il desk di Palermo.
Seguirono giorni convulsi per preparare il primo numero: atteso daalmeno cinque anni, da quando — dopo le stragi di mafia del ’92 — il risveglio delle coscienze della Sicilia onesta e migliore aveva invocato la presenza di una voce dell’informazione autorevole e altra rispetto a quella, spesso addomesticata, dell’unico giornale locale rimasto dopo la chiusura dello storico giornale L’Ora.
Ci toccò anche imparare ad usare quello che sarebbe stato il nuovo sistema editoriale di tutta Repubblica che la redazione di Palermo avrebbe sperimentato in anteprima: una tragedia. Che il pomeriggio e la sera del 26 ottobre 1997 ci fecero passare delle ore di vero e proprio panico.
Perché mentre Ezio Mauro e tutti i vertici del giornale parlavano alla città nella gran soirèe inaugurale al Teatro Massimo, noi rimasti ovviamente in redazione a lavorare, rischiammo di non vedere uscire il primo numero. Il sistema editoriale rimase bloccato per un tempo che ci apparve infinito ma alla fine andò.
E quando la mattina dopo ci ritrovammo per la prima volta in mano quel giornale di carta con il cuore di Palermo dentro avevamo tutti gli occhi lucidi. Da allora, e sono passati 25 anni, Repubblica ha sempre offerto alla città, alla Sicilia, tutta la sua intelligenza e il suo impegno per combattere insieme tutte le battaglie che vale la pena di portare avanti per liberare questa terra da quella palude di cui parlava Giampaolo Pansa, allora vicedirettore di Repubblica, per raccontare cosa era Palermo nel febbraio 1986 alla vigilia dell’apertura dello storico maxiprocesso nato dal monumentale lavoro di Giovanni Falcone e di tutto il pool antimafia.
La Repubblica Palermo, 23/10/2022
Nessun commento:
Posta un commento