di Salvo Palazzolo
Anche Totò Riina, il capo dei capi ormai in carcere, si chiedeva che fine avesse fatto. «Ma cosa fa per ora questo Matteo Messina Denaro, che non so più niente?». Così diceva al compagno dell’ora d’aria anni fa, e non sospettava di essere intercettato dalla Dia. «Se ci fosse suo padre… questo figlio lo ha dato a me per farne quello ne dovevo fare. È stato qualche quattro o cinque anni con me. Impara bene, minchia, e poi tutto in una volta... ». Tutto in una volta, dopo avere partecipato alla stagione delle stragi, l’unico erede della dinastia Corleonese rimasto in libertà, sparisce.
Matteo Messina Denaro, classe 1962, trapanese di Castelvetrano, condannato all’ergastolo per le stragi di Capaci, via D’Amelio e per quelle di Firenze, Milano e Roma, è diventato un fantasma dal giugno 1993. Ma resta un punto di riferimento per la Cosa nostra che non si rassegna ad arresti, processi e sequestri.
«Io penso che se n’è andato all’estero» , diceva ancora Riina in carcere. E, intanto, non riusciva a trattenere la collera per quel suo pupillo che ormai sembrava disinteressato a proseguire la strategia stragista: «È l’unico ragazzo che avrebbe potuto fare qualcosa perché era dritto, gli ho fatto scuola io» , insisteva il capo dei capi. E disprezzava il suo unico interesse, per gli affari. «Per i pali», diceva Riina. I pali eolici e l’energia pulita, che sono stati il grande business della primula rossa di Castelvetrano, attraverso una rete di fidati prestanome. Altro che fantasma. «È vivo e vegeto» , diceva qualche tempo fa Piero Di Natale il braccio destro di Luppino, anche lui finito in manette nel blitz dei carabinieri. Vito, vegeto e introvabile, nonostante l’impegno della procura di Palermo e delle forze di polizia. «Un impegno che dal 2011 ad oggi ha portato ad eseguire oltre 140 misure cautelari sulla provincia di Trapani — spiega il generale Pasquale Angelosanto, il comandante del Ros — e sono stati sequestrati beni per 250 milioni di euro» . Ma lui riesce sempre a farla franca. Eppure, non ha più squadre di killer a difenderlo. Quello che nessuno può strappargli sono i segreti che conserva. Sulle stragi e le complicità del passato. Ecco la vera forza di Messina Denaro. Un segreto (e un complice) per certo glielo aveva affidato il boss Bernardo Provenzano. «Per il nome del politico lo scriva a parte — gli diceva Messina Denaro in un pizzino poi ritrovato nel covo dell’altro capo corleonese, l’11 aprile 2006 — e lo fa avere al numero 121, poi sarà 121 a dire a me». Un mese dopo, un secondo biglietto: «Ho ricevuto il nome del politico». Il mistero lo conosce anche “121”, lo zio prediletto di Matteo, Filippo Guttadauro, oggi recluso in una casa di lavoro. La vera forza dell’ultimo fantasma di Cosa nostra, i suoi segreti. Il pentito Giuffrè ha detto: «Messina Denaro custodisce l’archivio di Riina. Lui ha i documenti che sono stati portati via dal covo di via Bernini dopo l’arresto del capo dei capi di Cosa nostra». Forse, con quei documenti, ancora ricatta. Oppure, ha un canale privilegiato per avere informazioni riservate sulle indagini. Nel 2016, fu addirittura un agente segreto a mettere in guardia un avvocato romano: «Ascolta bene — gli disse — ti devi allontanare da zio per un periodo, io già ci ho parlato». Lo “zio” era il boss gelese Salvatore Rinzivillo, in quel momento la punta più avanzata delle indagini per provare ad arrivare a Messina Denaro.
Forse, questa è ancora una partita truccata. Ogni blitz, ogni segnalazione sembra sciogliersi come neve al sole. «Non è il capo di Cosa nostra, ma la provincia mafiosa di Trapani è saldamente nelle sue mani» , dice ancora il comandante del Ros. Le indagini proseguono, mentre si riascoltano le ultime voci che hanno fatto capolino nelle intercettazioni.
Qualche anno fa, i carabinieri sentirono il figlio di uno storico mafioso che diceva: «Iddu veniva a Trapani… lo accompagnava Mimmo alla stazione». Mimmo Scimonelli, l’imprenditore che andava ad esporre il suo Cataratto Chardonnay “Il Gattopardo” al Vinitaly e poi pure in Svizzera.
Forse, la primula rossa torna ogni tanto nella sua Sicilia. E si fida soltanto dei vecchi amici. Magari, prima o poi, questa regola lo tradirà.
La Repubblica Palermo, 7/9/2022
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