ANTONINO CANGEMI
Nel 1906 l‘autore di «Cuore» torna nell’Isola: «Si attraversa in treno!», lo colpiscono gli occhi degli isolani
Per i più è lo scrittore di Cuore, croce e delizia di tante generazioni, uno dei romanzi più popolari in Italia. Ma Edmondo De Amicis andrebbe ricordato anche per altro, come autore di letteratura da viaggio in particolare. Girò il mondo e scrisse interessanti reportage, sul Marocco, Costantinopoli, l’Argentina tra gli altri. Sua meta fu anche la Sicilia.
Si trovò nell’Isola nel 1865 da dove, ufficiale di fanteria presso il distretto di Messina, l’anno dopo partì per partecipare alla Terza Guerra d’Indipendenza. Vi ritornò a distanza di oltre quarant’anni, nel 1906, ormai sessantenne, per visitarla. E per scrivere il suo diario di viaggio, pubblicato nel 1908, nello stesso anno in cui si spense, per i tipi dell’editore Giannotta col titolo Ricordi d’un viaggio in Sicilia. Che qualche anno fa la casa editrice palermitana Il Palindromo ha avuto la felice idea di ridare alle stampe. Un diario, il suo, che per quanto succinto, risulta piuttosto interessante ricco com’è di riflessioni psicologiche e sociologiche perspicaci sebbene, di tanto in tanto, e specie nel finale, vi affiori quel sentimentalismo e quella declamazione retorica di cui la prosa dell’autore di Cuore non fu indenne.
Il tour di De Amicis parte da Messina, dove De Amicis è sbalordito dalle trasformazioni intervenute dal suo primo soggiorno: «… quali mutamenti in questi quarant’anni! Basta dire che nel 1865 non c’era ancora in tutta l’isola un chilometro di strada ferrata in servizio… Ora, venendo dal continente, si attraversa lo stretto senza discendere dai vagoni ferroviari, che sono trasportati da una riva all’altra sopra un piroscafo». L’entusiasma la «movida» dei messinesi alla Marina: «Il movimento della popolazione, specialmente sulla grande strada della Marina, su cui si stende una lunga schiera di grandiosi edifizi uniformi, è pari – in apparenza – a quello delle più popolose e floride città marittime del continente».
Lo scrittore è stregato dall’espressività degli occhi dei siciliani: «Oh quegli occhi siciliani così profondi, così acutamente scrutatori, così pieni di sentimento e di pensiero, e pur così misteriosi quando il loro sguardo non è spiegato dalla parola». E sono proprio gli occhi a rivelargli la complessità e le contraddizioni dei siciliani spiccatamente individualisti e refrattari a ogni forma di associazionismo, ingegnosi ma incapaci di far fronte comune.
Da Messina De Amicis raggiunge Palermo, città che ammira per dinamismo e vitalità («è un formicolio che vi confonde la vista, uno strepitio che vi introna la testa…») e per la sua struttura architettonica: le «due interminabili vie dritte – Maqueda e Vittorio Emanuele – che s’incrociano nel suo centro» e convergono nello splendore barocco dei Quattro Canti. Da scrittore non privo di acume sociologico, De Amicis di Palermo coglie la dualità: il contrasto tra il lusso ostentato e la povertà, la magnificenza dei suoi palazzi e la fatiscenza di quartieri in stato d’abbandono e degrado. Questa duplice e contraddittoria condizione di Palermo - che De Amicis in una filastrocca sulle città italiane riportata in «Cuore» definisce «terribile» – se tuttora ne è un tratto distintivo, lo era ancor di più negli anni della Belle Époque.
Lasciata Palermo, De Amicis ritorna nella Sicilia orientale percorrendo lunghi tratti in treno che gli offrono la panoramica di distese di terre sterminate e incolte. Ciò gli fa intuire come uno dei mali principali che affligge la Sicilia e che spiega la diffusissima emigrazione è il latifondo.
Per De Amicis Catania, che anche nei monumenti vive di due culti (quello per Sant’Agata e quello per Bellini), è la città più prosperosa della Sicilia, sia per la fertilità delle sue campagne sia per lo spirito intraprendente dei suoi abitanti. A Catania De Amicis incontra Mario Rapisardi, poeta a lui vicino per sensibilità sociale e comuni trascorsi militari. Seppure afflitto da infermità che ne limita il travaglio intellettuale («- un sepolto vivo – egli chiamava se stesso»), il poeta di «Lucifero» ha gli occhi vivaci ed è pieno di sdegno nel profetizzare «che la viltà della borghesia liberale, clericaleggiante per terrore dello spettro rosso, finirà col dare l’Italia nelle mani del partito cattolico…».
Nel commiato la tristezza del presagio che i due non si rivedranno più: «Ci rivedremo ancora? – La mia risposta fu l’espressione d’una speranza che non avevo nel cuore. Ci baciammo come si baciano due amici che partono in direzioni opposte per un viaggio senza ritorno».
Ultime tappe del tour di De Amicis sono Siracusa, città divenuta troppo piccola per reggere il confronto con il suo passato glorioso ma che conserva nell’archeologica gli antichi fasti, e Taormina, di cui magnifica le bellezze del teatro greco e della natura.
La conclusione di Ricordi d’un viaggio in Sicilia è un omaggio all’ospitalità dei siciliani in cui prevale, a discapito di pagine piene di spunti e di argute considerazioni, l’enfasi e lo spirito di autocommiserazione.
GdS, 8/8/2022
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