Antonio Mumolo
L’intervista all’avvocato di strada che aiuta i senzatetto. È facile precipitare nel baratro: un licenziamento, le rate di un mutuo non pagate, un divorzio. E da una vita dignitosa si finisce nei dormitori
di Maria Novella De Luca
BOLOGNA — L’avvocato Antonio Mumolo dice che la fortuna va restituita. «I miei nonni erano migranti del Sud espatriati in America, tornati in Puglia hanno comprato e lavorato la terra. Mio padre è stato il primo a poter studiare, ci ha insegnato a prenderci cura di chi ha meno di noi».
Per questo si occupa di clochard e di cause (apparentemente) perse?
«Per dimostrare, al contrario che non esistono cause perse. Dietro chi dorme su un cartone o in un ostello, c’è un essere umano che ha perduto i propri diritti. Noi riannodiamo i fili di queste vite smarrite».
Arriva in giacca e cravatta in via dei Malcontenti numero 4, Antonio Mumolo, 59 anni, avvocato giuslavorista, nato e cresciuto a Brindisi, “emigrato” a Bologna a 19 anni, presidente dell’associazione “Avvocato di strada”, consigliere regionale del Pd. «La sinistra? Per me è la passione politica di Berlinguer e Sandro Pertini, il volontariato la lezione di don Gallo e Gino Strada».
«Siamo lo studio legale più grande d’Italia e il più povero: mille soci volontari e fatturato zero euro. Da noi non paga nessuno. Il nostro cliente-clochard numero uno si chiamava Antonio. Con lui abbiamo vinto la prima causa per la residenza.
Era gennaio del 2001. Ne sono seguite altre 40mila di cause».
Due stanze, una sala d’aspetto in un vecchio palazzo nel cuore storico di Bologna, i codici e le magliette per l’autofinanziamento, con lo slogan “Non esistono cause perse”. Qui gli avvocati volontari cuciono una tela che recupera affetti, patrimoni, dignità. Una graphic novel ricorda Mariano Tuccella, senzatetto che morì nel 2007 per le botte disumane di tre ragazzini. «Era un nostro amico».
Com’è diventato un avvocato di strada?
«Da volontario dell’associazione Piazza Grande assistevo i clochard nelle notti fredde di Bologna. Nel tam tam si era sparsa la voce su quale fosse il mio mestiere. Così, ogni notte, appena arrivavo c’era qualcuno che mi chiedeva aiuto legale. “Avvocato, ho perso la residenza”. “Mi hanno portato via la casa, non posso più vedere i miei figli”».
Come i suoi nonni ha lasciato il Sud.
«A Brindisi torno sempre ma Bologna è la mia casa. All’università ho incontrato Paola, mia moglie, senza la quale non avrei realizzato tutto questo. Anche lei pugliese, anche lei studiava legge, tutti e due un po’ emigranti. Abbiamo due figli, di 25 e 23 anni, Giovanna e Carlo. Viviamo in periferia e condividiamo tutto: famiglia, impegno sociale. Io sono ateo, lei cattolica, ma ci siamo sposati in chiesa con il rito misto tra credenti e non credenti».
Il primo caso?
Antonio. 40 anni. Veniva da Napoli, aveva perso la casa, il lavoro, era alcolizzato. La notte la passava al dormitorio Sabatucci. Voleva ricominciare il suo mestiere di pranoterapeuta. Senza residenza non poteva riaprire una partita Iva. E il Comune continuava a negargliela».
Una trappola. Non hai un indirizzo e non ti do la residenza. E il contrario.
«Abbiamo fatto causa al Comune di Bologna e abbiamo vinto. Antonio è rinato. Ha smesso di bere, ritrovato i legami familiari. Tutto ruota in Italia attorno alla residenza. Esistere o diventare fantasmi».
I fantasmi sulle griglie del metrò, con il tetra pack di vino accanto?
«Tra i sessantamila senzatetto che vivono in Italia, una piccolissima parte dorme effettivamente all’aperto. Gli altri sono invisibili».
Come si finisce sulla strada?
«Trent’anni fa i clochard erano alcolisti, drogati, con problemi psichici e stranieri. Oggi sono poveri e italiani. È facilissimo precipitare nel baratro. Un licenziamento, un mutuo non pagato, un divorzio e da una vita dignitosa ci si ritrova nei dormitori, alle mense, con i vestiti di qualcun altro indosso».
Lei diceva invisibili. Perché?
«Camminano accanto a noi, bussando a ogni centro per il lavoro, sono vestiti in modo decente, ma tutto ciò che gli resta è in una busta di plastica. Operai licenziati, padri e madri separati, pensionati alla fame, imprenditori falliti. Quando arriva lo sfratto è finita».
I parenti, gli amici?
«Si diventa clochard quando oltre alla povertà si polverizzano i legami. Anziani isolati, genitori che si vergognano di farsi vedere dai figli».
Voi ricostruite questi legami?
«Noi ricostruiamo soprattutto diritti.Il primo è la residenza. Senza non puoi avere una carta di identità, non puoi lavorare, avere una casa, il medico di base. Facciamo tremila cause ogni anno, contro Comuni e datori di lavoro, enti previdenziali e familiari disonesti».
Dal mondo di sotto al mondo di sopra. Le storie più belle?
«Giuseppe. Siamo grandi amici.
Operaio specializzato era finito in strada perché la sua azienda, dopo una lunga malattia lo aveva licenziato. Il matrimonio era in frantumi, le figlie non volevano più vederlo, aveva dovuto lasciare la casa. Sembrava non avesse più nulla. Dopo avergli fatto ottenere la residenza presso il dormitorio, abbiamo ricostruito i suoi contributi, ha ottenuto la pensione, poi una casa popolare e adesso dopo il divorzio ha una nuova compagna». Un giorno è arrivato allo studio: “Voglio pagarvi”. Abbiamo naturalmente rifiutato, allora Giuseppe ci ha regalato un computer».
Le donne che vivono in strada?
«Giulia e Alessandra, giovanissime, mi sono rimaste nel cuore. Tossicodipendenti, vivevano nei dormitori, a entrambe avevano tolto i figli. Con grande fatica abbiamo rintracciato i genitori di Giulia, non sapevano di essere nonni, e il fratello di Alessandra. Siamo riusciti a bloccare i decreti di adottabilità dei bimbi che sono stati affidati ai parenti, sia Giulia che Alessandra oggi sono fuori dalla droga».
Successi legale e affettivi.
«Francesca. Italiana, 40 anni, dormiva in auto dopo una separazione, la perdita del lavoro, le figlie affidate ai nonni paterni. Dalla dignità di una vita semplice al buio della povertà. Grazie alla residenza ha ritrovato un’occupazione, una casa popolare e il rapporto con le sue bambine».
In Emilia i senza dimora hanno il medico di base.
«Sapete come li ho convinti?
Ricordando i focolai di Covid nei dormitori pubblici».
Avvocato dei poveri. E per vivere cosa fa?
«Legale della Cgil, oggi anche consigliere regionale».
Berlinguer, Pertini, Gino Strada.
«I miei riferimenti. Passione politica e impegno per gli ultimi».
Quando non lavora?
«Giro l’Italia per aprire sportelli di avvocato di strada. Siamo già a 56. Suono la chitarra e l’armonica. Leggo “Il trono di spade”. La mia citazione preferita è da John Grisham: “Prima di tutto sono un essere umano. Poi un avvocato. È possibile essere entrambe le cose”».
La Repubblica, 8/8/2022
Nessun commento:
Posta un commento