Minatori della miniera di Cozzo Disi
di ELIO DI BELLA
Siamo in grado di ricostruire cosa avvenne in quella tragica mattina di quel maledetto 4 luglio del 1916 a «Cozzo Disi» ed a «Serralonga» grazie ad un documento rintracciato presso l’archivio di Stato di Agrigento, inventario 9, fascicolo 53, fondo tribunale di Agrigento. Sentenze penali, anno 1919.
La miniera più grande nella zona di Casteltermini, in provincia di Agrigento, è certamente quella di «Cozzo Disi» e qui è stato versato dagli zolfatai il maggior tributo di sangue e di sofferenze. Non molti sanno che proprio a «Cozzo Disi» si è verificata purtroppo la più grave sciagura mineraria italiana, con la morte di 89 operai e il ferimento di altri 34.
Oggi siamo in grado di ricostruire cosa avvenne quel maledetto 4 luglio del 1916 a «Cozzo Disi» e a Serralonga grazie ad un documento che abbiamo rintracciato nell’archivio di Stato di Agrigento inventario 9, fascicolo 53, fondo tribunale di Agrigento. Sentenze penali, anno 1919. Si tratta della Sentenza nella causa penale contro i presunti responsabili della tragedia di «Cozzo Disi». L’atto giudiziario è stato emesso il 3 luglio 1919 dal Tribunale penale di Girgenti, composto dai signori Argento Salvatore, presidente ed estensore, e dai giudici Bagarella Giuseppe e Alabiso Alfredo.
Alla sbarra Cordaro Giuseppe, di 62 anni di Caltabellotta, direttore della miniera, il cav. Parisi Attilio di anni 67 di Casteltermini, esercente della miniera; Cordaro Antonino, di anni 63, di Casteltermini, capomastro; Papalino Ignazio, di anni 53 di Casteltermini, capomastro; Palumbo Macrì Vincenzo di anni 68 di Casteltermini, esercente della miniera. Dovevano rispondere dell’accusa di negligenza ed imperizia nella propria professione e per inosservanza di regolamenti, avendo cagionato il disastro della miniere Cozzo Disi e Serralonga, in conseguenza del quale il 4 luglio 1916 perirono 89 persone.
Durante il dibattimento vennero sentiti, oltre gli imputati, anche numerosi testi e vennero lette le relazioni dei molti ispettori ed esperti chiamati dal Tribunale a studiare le cause della tragedia. I quindici fogli ormai ingialliti del manoscritto ci raccontano con precisione cosa avvenne quel caldo giorno di luglio in quelle maledette gallerie.
“4 luglio 1916 – esordisce la sentenza – verso le ore 13 e trenta, mentre gli operai – in numero di oltre cinquecento – delle due miniere di Cozzo Disi e Serralonga di Casteltermini lavoravano si udì un primo formidabile boato con un violento colpo d’aria, contemporaneo sviluppo di idrogeno solforato (agro) e di grisou (antinomio) il quale a contatto delle lampade a fiamma libera degli operai diede luogo a ripetute esplosioni.
Gli operai che lavoravano al primo e al terzo livello della Cozzo Disi, spaventati fuggirono; molti di essi riuscirono a mettersi in salvo per la via di sicurezza e gli altri che presero vie diverse vennero fuori per lo più ustionati dal grisou. Gli operai che lavoravano nella sezione Giambrone, in numero di 66 perirono, com’è da ritenere, per ustioni, per asfissia, per avvelenamento prodotto dall’idrogeno solforato e per traumi. Gli operai che, in numero di ventitré, lavoravano nella vicinante e comunicante miniera di Serralunga, al primo fragore della Cozzo Disi, fuggirono pel piano inclinato e percorsi appena 90 metri incontrarono il grisou dal quale furono investiti e perirono. In tutto le vittime furono novantanove (n.d.r. qui l’autore ha commesso un errore: le vittime furono 89, si comprende anche sommando 66 e 23) oltre 34 feriti. “.
Ecco quindi in queste poche righe come si scatenò quel giorno l’inferno, secondo quanto è emerso nell’aula del tribunale penale di Girgenti.
La sentenza immediatamente descrive i primi improvvisati tentativi di portare soccorso agli operai. I soccoritori non poterono procedere oltre la sezione Giambrone per la presenza di idrogeno solforato. Tra i primi a scendere nella miniera e avventurarsi nella zona da dove provenivano le grida di aiuto, la sentenza ricorda il capomastro Todaro Giovanni, che purtroppo pagò con la vita quel suo coraggioso sacrificio. Continuarono per ore i boati ed un’alta colonna di fumo si levò dal ciminiere di Serralonga.
Nel primo pomeriggio, alle ore 15.00 si formò una prima squadra di salvataggio, ma anche questa si fermò al secondo livello perché si avvertì chiaramente la presenza di idrogeno solforato. Ma alle 17.00 “poiché qualcuno (della squadra) riferì che nel fuggire aveva udito dei lamenti, si formò una seconda squadra di salvataggio – racconta la sentenza – che entrò per la galleria principale e stava per introdursi nella direzione della settima traversa, quando, aperta la porta, avvenne una forte esplosione di gas grisou che ustionò i componenti la squadra, due dei quali in conseguenza poi morirono”. Un ultimo tentativo, infine, quel giorno venne fatto dai minatori della vicina zolfara Scironello, che accorsero appena uditi i boati. Ma anche questo tentativo fu vano.
Il giorno seguente giunsero a Cozzo Disi i funzionari dell’Ufficio minerario di Caltanissetta, fra cui il direttore l’ing. Pompei e l’ing. Mazzelli, ispettore superiore delle miniere. Venne allora organizzato un nuovo tentativo di salvataggio e finalmente vennero trovati vivi due operai. Uno di questi però nelle ore successive spirò. Nove giorni dopo i tecnici capirono che si era sviluppato nella miniera un incendio e da allora si ritenne inutile organizzare altri tentativi di salvataggio. Pertanto il 13 luglio fu eseguita la chiusura della buche della miniera per impedire che l’incendio prendesse proporzioni più ampie e pericolose.
Alla pagina quattro la sentenza ci dice che ”Un ragazzo, certo Bufera Vincenzo, che era riuscito a passare dalla Cozzo Disi alla Serralunga si era rifugiato nella sala caldaia, praticando un foro nella muratura dell’imbocco, all’undicesimo giorno, uscì fuori miracolosamente vivo“. Lo storico di Casteltermini Francesco Lo Bue molti anni dopo ha raccolto la toccante testimonianza di questo sopravvissuto (che in realtà si chiama Vutera Vincenzo ) e possiamo leggerla nelle ultime pagine del primo volume del suo libro “Uomini e fatti di Casteltermini nella storia moderna e contemporanea”.
Anche le successive pagine della sentenza sono di grande interesse perché descrivono i danni subiti dalle strutture della zolfara,che erano immediatamente evidenti e furono facilmente constatati dai tecnici dell’ufficio delle miniere. Leggiamo poi le dure accuse di testimoni contro gli esercenti della miniera che ”per ingordigia di lauti guadagni non avevano condotto la miniera a regola d’arte ed eseguiti i necessari riempimenti dove si lavorava ad esaurimento”, per cui ”da qualche tempo sì erano fatte sinistre previsioni”.
Venne ricordato tra l’altro che tre mesi prima, in aprile, si era staccato un blocco di minerale per un crollo, tredici operai erano rimasti feriti e uno di essi pochi giorni dopo era morto. Ma numerosi testi a discarico vennero in soccorso degli imputati, soprattutto autorevoli esperti come il presidente del Sindacato per gli infortuni delle miniere, gli ingegneri del reale corpo delle miniere, e tutti quegli ispettori che nei mesi precedenti avevano visitato la miniera e durante il dibattimento ”hanno unanimemente assicurato che (la miniera) era condotta regolarmente ed in perfette condizioni di stabilità“, né vi era stato alcun segno premonitore.
Così il Regio ufficio minerario il 24 luglio 1916 presentò al tribunale una dettagliata relazione che spiegava che centro del movimento e dello sviluppo del gas solforato (agro) fu la sezione Giambrone della Cozzo Disi, mentre nessuna notizia si potè avere intorno al punto in cui si sviluppò il grisou (antinomio).
In ragione di tempo prima avvennero i boati, poi comparve l’idrogeno solforato e in ultimo il grisou che dovette essere in enorme quantità…
I colpi d’aria succeduti durante il movimento e più di tutto gli scoppi di grisou scompaginarono le correnti d’aria del sotterraneo, ruppero e distrussero le separazioni fra i diversi circuiti, le varie discenderie, accomunate per tal fatto alla ventilazione del sotterraneo perdettero la loro primitiva efficacia e le ispezioni perciò non potevano completarsi senza mettere in serio pericolo la vita delle persone”. Detto ciò, la conclusione era scontata: “conseguentemente impossibile un sicuro giudizio sulle cause del disastro”.
Altre relazioni vennero presentate nei mesi successivi e una di queste venne ordinata dal Pretore di Casteltermini e giunse ai giudici del Tribunale penale di Girgenti il 31 dicembre 1917. Anche questi esperti ammettevano di non avere ”tale sicurezza di fatti da poter con coscienza giudicare sulle cause del disastro”. Non era neppure chiaro per gli ingegneri e i geologi se “grisou fu causa o conseguenza del crollo della miniera” e se il gas si sia sprigionato per “fenditura prodotta dal lavoro di qualche operaio o per franamento generale della miniera”.
Ma in quest’ultima relazione però si esprimeva almeno il dubbio che la miniera Cozzo Disi fosse stata in precedenza coltivata razionalmente e probabilmente mancava “di una perfetta stabilità” e poteva non avere integri i pilastri e sufficienti riempimenti. Se fosse stata stabile, “gli effetti del grisou non avrebbero potuto essere così disastrosi come furono”. Sostenevano infatti quei periti che “la miniera non era affatto in condizione di perfetta stabilità, che i vuoti erano irrazionali e contro legge e quindi anche ammesso che il disastro fu dovuto a sviluppo di grisou, tale gas non trovò nella miniera quella resistenza che avrebbe dovuto altrimenti trovare e il disastro sarebbe stato più limitato”. Ma queste considerazioni, secondo i giudici esprimevano solo ipotesi perché i periti che avevano redatto questa relazione non avevano potuto in realtà costatare quali fossero le condizioni della miniera prima del disastro e si erano lasciati forviare da contraddittorie testimonianze dei familiari dei minatori morti nel disastro.
È evidente nella sentenza piuttosto il fatto che i giudici credono che il disastro sia avvenuto per cause naturali e ricordano che molto probabilmente quel giorno per abbassamento barometrico ed elevata temperatura (il bollettino meteorologico indicava nel giorno del disastro una temperatura massima di 43 gradi e mezzo) il grisou “dall’alto potè abbassarsi ed accumularsi anche nelle parti alte del piano inclinato della Serralonga, determinando a Cozzo Disi… al contatto colla fiamma libera delle lampade (degli operai), una prima formidabile esplosione, seguita da forte scuotimento della montagna, su cui perciò apparvero nuove fenditure, da boati violenti, colpi d’aria … I cadaveri e i feriti presentavano le tracce dei terribili effetti del grisou, di idrogeno solforato, di violenti atterramenti e di traumi”. Viene ricordato infine che un’ora prima del disastro, era avvenuta una violenta eruzione dello Stromboli e ciò può avere esercitato ”una sua influenza nello sprigionamento del grisou nella miniera di Cozzo Disi”.
In conclusione quindi ”gli elementi del processo non sono sufficienti a far ritenere che il disastro della Cozzo Disi sia da attribuire ad imperizia, negligenza ed inosservanza di regolamenti da parte di alcuni degli imputati nella sfera delle rispettive mansioni direttive e di vigilanza”. Gli imputati vennero assolti per insufficienza di prove.
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