GIOVANNI VILLINO
Il silenzio può essere più forte di un urlo. Ma le parole non dette pesano come piombo. Soprattutto quando a mancare è la verità.
Selima Giuliano, figlia di Boris e oggi sovrintendente ai Beni culturali, ha preso ieri parte alle commemorazioni per l’assassinio del padre, il vicequestore capo della Mobile. Quest’anno sono due le parole chiave che hanno accompagnato gli anniversari degli omicidi di mafia: silenzio e verità.
Come vive la giornata in cui si ricorda suo padre, Boris Giuliano, a partire dal silenzio?
«In questi 43 lunghissimi anni abbiamo scelto sicuramente la strada del silenzio, quella del non rilasciare dichiarazioni, di non urlare il nostro dolore. Abbiamo un grandissimo senso delle istituzioni e dello Stato. Anche se sono profondamente convinta che in tutti i delitti di mafia ci sia sempre stata qualche verità non detta, qualche indagine non fatta. Non so se sia il caso di parlare di depistaggio per tutti. Di certo questi uomini sono stati lasciati soli dallo Stato. Da quello Stato che, invece, avrebbe dovuto proteggerli. Devo dire che quest’anno, a differenza degli altri anni, viene voglia proprio di urlare, urlare per chiedere la verità. Non si può più attendere una verità che ha sporcato di sangue questa terra e che ha ucciso uomini importanti».Boris Giuliano
Da donna che crede nelle istituzioni, alla luce di questa assenza di verità, come viene vissuto poi l’impegno?
«Ognuno, naturalmente a seconda del proprio ruolo, ha il compito e il dovere di portare con orgoglio questo senso delle istituzioni, un senso che credo tutti noi abbiamo. Tuttavia è anche chiaro e siamo consapevoli del fatto che sicuramente c’è una parte dello Stato che ha abbandonato questa terra e che oggi non può sicuramente non essere ascoltata».
Di Giorgio Boris Giuliano colpisce l’aver costruito una dimensione familiare in cui poco trapelava, in termini di preoccupazioni e timori, della vita professionale. Da figlia come vive questo giorno di memoria?
«Ho avuto la fortuna di avere un padre veramente eccezionale, oltre che essere un uomo eccezionale. Sono tante le assenze nella mia vita che chiaramente non potranno mai essere più colmate. Così come nella vita di tutti coloro che da figli hanno perso i padri in questo modo. Penso che l’orgoglio che noi abbiamo e che ci portiamo dentro riesca in qualche modo a colmare questo grande dolore. E così anche nelle nostre vite da genitori abbiamo e portiamo dentro questa voglia di separare il lavoro dall’affetto familiare. E di dare ai nostri figli tutto quello che lui dava a noi, una vita serena. Noi non avevamo idea di tutto quello che c’era fuori...».
Il trentesimo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio è stato segnato anche da polemiche. Che considerazione ha in merito?
«Per natura sono lontana dalle polemiche e penso che ci siano vari modi per ricordare. C’è un modo di ricordare, come si sceglie di fare il 23 maggio, che prevede una grande partecipazione della città, partecipazione sincera, spontanea... non parlo di quella delle cosiddette passerelle. E poi c’è, invece, un’altra scelta che io condivido pure che è quella di fare silenzio. Perché a volte il silenzio può essere più forte di qualsiasi urlo». (*givi*)
GdS, 22/7/2022
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