di ALESSIA CANDITO
“I nuovi schiavi del pulito”. I migranti sfruttati per i servizi negli hotel
Non persone, ma «macchine da lavoro » . Anzi, scrivono i magistrati: « schiavi del pulito » . Per anni, ad occuparsi che tutto fosse perfettamente in ordine in alcuni dei più rinomati alberghi di Palermo e di Castelvetrano erano donne e uomini costretti con l’inganno o le minacce a lavorare per oltre dieci ore al giorno per salari da fame. Quattrocento euro al mese, spesso meno, di certo mai versate puntualmente. Sempre che venisse fatto. Perché per il consorzio di pulizie Diadema « la quantità del profitto era direttamente proporzionale alla quantità e qualità dello sfruttamento dei più deboli».
Era una vera e propria filiera del lavoro illegale basata sulla violazione dei più elementari diritti quella scoperta dalla Squadra mobile di Palermo, coordinata dal pm Giorgia Righi. Per ordine del giudice per le indagini preliminari Annamaria Tesoriere, cinque persone - capi e luogotenenti di un’impresa di pulizie Francesco Centino, Luca Cardella e Kayode Johnson Newworld Adeteye e le direttrici di due centri di accoglienza, Monica Torregrossa e Lamia Tebourbi- sono finite ai domiciliari perché accusate a vario titolo di associazione a delinquere, truffa, estorsione.
Il sistema era semplice. Al vertice c’era il consorzio Diadema, colosso delle pulizie spezzettato in più cooperative e sigle, di fatto per i magistrati tutte riconducibili a Francesco Centino. Era lui, secondo quanto emerso dalle indagini, a occuparsi di ramazzare appalti e commesse,mettere a posto i documenti, far sì che tutto sembrasse regolare. Suo fondamentale braccio destro, Luca Cardella, formalmente presidente di una delle cooperative consorziate, ma in realtà “ direttore operativo” dell’intera filiera dello sfruttamento, con “Mr. Johnson” Kayode a fargli da factotum, traduttore e “ uomo d’ordine”. Erano loro a reclutareaddetti, usando come “ terreno di caccia” privilegiato centri d’accoglienza come “ La mano di Francesco” e “Donne Nuove”.
Per legge, tutti gli ospiti avrebbero diritto a un pocket money per le spese personali, più un kit con prodotti per l’igiene personale e altri beni di prima necessità. E invece, ha messo a verbale Peace, a lei non arrivavano più di 75 euro al mese, troppo poco per aiutare la famiglia rimasta in Nigeria. Gift invece - ha raccontato agli investigatori - era costretta a comprare persino il sapone. E tutte erano in attesa di un responso sulla loro richiesta di asilo politico. Traduzione, erano vulnerabili e ricattabili. La preda perfetta per il “sistema Diadema” che irretiva tutti i lavoratori promettendo contratti e regolarizzazioni, ma al massimo dava al sistema una patina di legalità registrando un part- time da una o due ore al giorno. E di ore le ragazze ne lavoravano almeno dieci.
« Ero molto stanca, perché iniziavo al mattino e finivo la sera. C’erano più di cento stanze da sistemare racconta Ester agli investigatori Quando l’hotel era pieno, riposavamo su materassi gettati davanti all’ascensore » . Non era un’eccezione, ma la regola. «Per una settimana mi hanno fatto dormire su una sedia in veranda, senza neanche la possibilità di fare una doccia » denuncia Tosin. Inutile chiedere aiuto, rivendicare un trattamento decoroso. “Big Mama” Monica, spiega Faith, « mi diceva che se non fossi andata a lavorare avrebbe scritto cose brutte su di me alla commissione di Trapani». Un ricatto a cui è impossibile sottrarsi per chi, pur di avere asilo, ha messo a rischio la propria vita, affrontando il Mediterraneo su una tinozza.
Ma proprio dalla commissione è partita la denuncia che ha fatto partire l’indagine e i racconti delle vittime hanno confermato. Un terremoto per la Diadema e la fine di un business calcolato a spanne e per difetto in più di duecentomila euro l’anno.
La Repubnlica Palermo, 22/7/2022
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