MARIO PINTAGRO
È morto a 83 anni l’ultimo testimone della fotografia analogica Gli inizi negli anni ’ 50, la militanza a “L’Ora”, i servizi con De Mauro
diMario PintagroPrimi anni ’ 50, c’è un ragazzo coi calzoni corti a bottega dai fotografi Scafidi, con la pesante macchina a tracolla Indossa un giubbino impermeabile, di quelli col bavero di pelliccia. Sorride felice davanti all’obiettivo. È un classico, il fotografo che riprende un altro fotografo. Quella immagine dice tutto di Gigi Petyx, che ci ha lasciato ieri quasi alle soglie degli 84 anni ( i funerali domani alla 10 ai Padri Rogazionisti di via Castellana). Racconta del suo entusiasmo per la fotografia, della passione che non conosceva ostacoli, orari, problemi, incombenze. Qualche anno più tardi, dopo varie esperienze negli studi fotografici di mezza città, c’è l’ingresso al giornale L’Ora. A Palermo, mandato dalla dirigenza comunista, è arrivato Vittorio Nisticò che cambia letteralmente i connotati al giornale. Ne fa un foglio di battaglie e di denuncia sociale, dove per la prima volta si affronta il tema della mafia senza tanti giri di parole. In quel giornale degli anni ’60-70 Petyx trova la sua collocazione e un partner di cronaca d’eccezione, Mauro De Mauro, con il quale stabilisce un fruttuoso tandem.
«Andavamo sui luoghi degli omicidi — raccontava sornione sotto i baffi Petyx — e dovevamo fare prima degli altri perché era così potevi avere le foto migliori, spazzolavi tutto quello che trovavi sul comò. Alla concorrenza non lasciavi nulla e si dovevano accontentare delle foto della carta d’identità o della patente. Poca cosa visto che una bella foto valeva tutto il pezzo» .
Il sodalizio umano e professionale con De Mauro è così duraturo che Petyx lo vuole accanto a sé sull’altare mentre sposa Giovanna Marrone. Da quel matrimonio nascono Ivana, Tatiana e Igor, che raccoglie il testimone paterno. Ci sono reportage che hanno segnato la carriera di Petyx: a cominciare dalla riunione con Lucky Luciano all’Hotel delle Palme. Visto il gran movimento dinanzi all’albergo, Petyx, allora ventenne, si introdusse anche lui con tanto di macchina fotografica nella hall, ma fu subito afferrato e accortamente rinchiuso in uno sgabuzzino, E poi il Treno del sole, il terremoto del Belìce, l’omicidio del boss Michele Navarra, i digiuni del sociologo Danilo Dolci, le scene dal Gattopardo, la sciagura aerea di Montagna Longa, la lunga rincorsaa Ninetta Bagarella sulle scale del palazzo di Giustizia. Su tutti regna l’immagine di una sicilia perennemente segnata dal lutto e dalla mafia: le vedove inconsolabili di mafia, finita sulla prima pagina dell’Espresso nel 1971 a corredo di un’inchiesta sull’attività della Commissione parlamentare antimafia.
«Gigi, ma è vero che sei barone e che c’hai un palazzo?» , gli chiedeva qualche collega in vena di sfottò. Lui sorrideva sotto i baffi e rispondeva: «Così dicono». E in effetti i Petyx, originari di Casteltermini, nobili lo erano per davvero. Ma Luigi sembrava non dare molto peso alla cosa. Quanto al palazzo, c’era perdavvero ed era così frammentato fra vari eredi che erano solo rogne e guai. Eppure, una capatina Luchino Visconti ce la fece in quel palazzo, mentre cercava la sede per il gran ballo del film “Il gattopardo”. Ma dalla smorfia di disapprovazione si capiva che cercava altro.
A Petyx le colleghe Claudia Mirtoe Laura Grimaldi hanno dedicato un bel libro di memorie, edito qualche anno fa fa da Sergio Flaccovio. In copertina Petyx è in compagnia di una Hasselblad mentre controlla dal pozzetto la messa a fuoco. «Ed ecco le immagini fissate nell’occhio di carne e di ferro di Gigi Petyx — scrive Dacia Maraini nell’introduzione — una Sicilia colta nel suo respiro quotidiano, dagli anni ’ 50 in poi. La povertà, la mancanza d’acqua. La gente che si arrabatta per sopravvivere. I bambini che giocano nonostante tutto» . Un fil- rouge narrativo che è un impasto di critica e denuncia sociale che viene raccolta dalle associazioni culturali Arci, Aics, Endas, Enars. Acli, quando nel ’ 76 Olindo Terrana dà alle stampe “Palermo: appunti di mappa e visuali sulla città murata”. È l’anno del boom dei comunisti alle elezioni politiche e il libro è una denuncia sull’abbandono del centro storico più grande d’Europa, sul risanamento mille volte annunciato e mai realizzato. Petyx, con la sua inseparabile Nikon, fotografa la cupola sbertucciata del Teatro Massimo e quella di San Saverio. Gli scatti accendono la fantasia dello scultore Giacomo Baragli che scrive nell’introduzione: «Vi è una fotografia che esprime in modo icastico e ironico l’idea del risanamento diffusa tra i palermitani: un putto acefalo cavalca una spirale barocca; a fianco un altoparlante emette segnali stereotipi e ripetitivi. Se ne ricalca la sgradevole sensazione del movimento di una lumaca, animale proverbialmente lento, viscido e, scherzosamente, cornuto, al suono di complicate ed interessate diatribe».«Scompare un altro importante testimone silenzioso di una città e di un’isola che alla fotografia hanno dato tanto — dice Tony Gentile, il fotografo del celebre scatto che ritrae sorridenti Falcone e Borsellino aggiunge: è stato uno degli ultimi testimoni dell’era analogica» . Dello stesso avviso Franco Lannino: «È’ stato un pioniere, innamorato del suo lavoro. A me ricordava molto nello stile Arthur Fellig» . E il centro storico rimaneva nel suo cuore. Così, appena qualche anno fa, spiazzò chi scrive, impegnato in un pezzo di “colore” e si presentò alla trattoria “Il bersagliere” per scattare le foto: «Igor non è potuto venire, va bene se le faccio io le foto, Mario?».
La Repubblica Palermo, 29/6/2022
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