Caro Sami, non è la prima volta che scrivo una lettera, ma è la prima volta che una mia lettera è indirizzata a un reale destinatario e sono contenta che il mio primo destinatario reale sia lei. Prima di spiegarle perché le sto destinando queste parole vorrei rispondere per correttezza alle domande che presumo mi avrebbe rivolto se ci fossimo incontrati di persona. Mi chiamo Federica, ho raggiunto la maggiore età da appena due settimane, ho una sorella più piccola di nome Elena, frequento il quarto anno del liceo classico "Don G. Colletto" di Corleone (Palermo) e, nel caso in cui se lo stesse chiedendo, vado bene a scuola o come dice lei "dò soddisfazioni ai miei genitori".
Ho scoperto di conoscerla da sempre, allo stesso modo in cui si scopre di avere un lontano parente straniero, solamente lo scorso lunedì, quando ho partecipato con la mia scuola all'incontro che lei ha tenuto con la Fondazione Museo della Shoah a noi ragazzi. Le dico questo perché mentre l'ascoltavo ho avuto la sensazione di rincontrare mio nonno dopo tanto tempo e di fermarmi a parlare con lui.
Nonostante le distanze formalizzino i dialoghi e rendano sempre più fredde e distaccate le conversazioni e le persone, soprattutto in questo periodo di pandemia, non mi sono mai sentita così coinvolta nell'ascolto.
Con le sue parole lei ha avuto la capacità di cancellare la distanza fisica, non facendomi sentire neppure la mancanza di quelle piccole cose di cui si può godere quando si parla con una persona di presenza, come il movimento delle mani, il colore degli occhi, le espressioni anche minime del volto e gli sguardi ricambiati.
Le sue parole bastavano a colmare tutto quel vuoto fisico che ci divideva.
Ho provato a immaginare tutto quello che raccontava: ho provato a visualizzare la sua vita da bambino, l'uomo che è stato suo padre, sua sorella e i gesti che vi scambiavate quando a dividervi non era la distanza bensì un filo spinato, ho provato a capire la vita semplice di un bambino e dell'affiatata comunità in cui viveva. Poi ho visto anche gli avvenimenti che l'hanno spezzata per sempre e hanno segnato la sua esistenza: il viaggio per mare e poi quello in treno, l'arrivo nel lager e gli avvenimenti che lo caratterizzano e infine anche il volto dell'infermiera che lo ha salvato.
Una delle motivazioni per cui le scrivo questa lettera è il fatto che mi sento in debito con lei, perché con fiducia ha condiviso la sua storia con noi ragazzi.
Sono abbastanza riservata come persona e comprendo benissimo quanto sia difficile raccontare qualcosa di sé stessi agli altri, soprattutto quando si tratta della propria storia, perché significa affidarsi completamente al giudizio di qualcuno che non sai se capirà le tue parole, le tue ragioni, le tue scelte, di qualcuno che magari può fraintendere e giudicare.
Naturalmente riconosco che sia ancora più difficile raccontare una storia dolorosa come la sua.
Ha detto molte cose che mi hanno colpito e mi hanno fatto pensare che noi giovani in generale, e io in prima persona, avessi bisogno di ascoltarla.
Ma una delle risposte date che mi sono rimaste più impresse è quando ha detto che una volta entrati nel lager non si esce mai più, eppure di voi testimoni si dice spesso che siete stati liberati, probabilmente sarebbe più corretto dire che siete voi che liberate noi.
Ci liberate con coraggio e con le vostre testimonianze dall'indifferenza e dalla paura.
Le confesso che le sue parole oltre ad avermi commossa mi hanno dato molta carica, mi hanno fatto venire voglia di impegnare le mie energie per dare il mio contributo al mondo. Mi sono sentita utile e le prometto che trasformerò questa sensazione in azione.
Lei, infatti, ha ripetuto tante volte che ci vuole bene e che siamo il futuro e mi sono resa conto che è una delle poche persone adulte che mi abbia mai rivolto queste parole, tanto che mi ero quasi dimenticata di associare al futuro la parola speranza e non preoccupazione.
Sicuramente mi viene naturale dirle che anche io ricambio sinceramente il suo affetto. La volevo ringraziare per questa testimonianza e ancora prima per aver rotto il suo silenzio, perché tutti noi avevamo bisogno che lei ci ricordasse cosa significa essere umani.
Tutti noi avremmo bisogno di incontrare più spesso persone autentiche come lei.
Ribadisco che mi sento molto in debito con lei, per questo le ho scritto, e mi piacerebbe poterle restituire almeno un po' di tutto quello che ha trasmesso a me, ma non penso di avere molto da condividere con lei vista la mia giovane età.
Spero però che almeno, tramite questa lettera, le siano giunti un po' dell'affetto e della stima che ho per lei.
Grazie ancora.
Corleone, 01/02/2021
Federica Grizzaffi
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