Giovanni Falcone |
di NICOLA CANDIDO*
A trent’anni dalla strage politico/istituzionale e mafiosa di Capaci è necessario fare un bilancio e una valutazione che si sottragga alla sola commemorazione.
L’uccisione di Falcone e della sua scorta si collocano in un continuum che inizia dalla fine della Seconda Guerra mondiale e che da Portella della Ginestra in poi ha visto sempre, per determinare gli assetti di potere in Italia, una convergenza di interessi politici ed economici, con una complicità esplicita o tacita, dello Stato Italiano (e USA). Ogni volta che qualcuno o un movimento (anche assai numeroso e popolare) ha provato a disturbare il dispiegarsi di questi interessi che potevano essere strategici (durante la guerra fredda), economici (durante gli anni ottanta) o di riorganizzazione e riposizionamento del potere (dagli anni novanta ai giorni nostri) sono stati eliminati, quasi sempre anche fisicamente.
I fatti che comprovano questo disegno sono innumerevoli, dagli omicidi di giudici, attivisti, giornalisti, sindacalisti, politici, esponenti delle forze dell’ordine che avevano intuito e stavano cercando di rivelare e mettere in discussione questo assetto di potere, fino alla repressione di movimenti come quello contadino, quello studenti/operai del 1968/1969, quello contro i missili a Comiso, quello del G8 di Genova o i movimenti di resistenza alle speculazioni economiche come quello No Tav.
Stragi, omicidi, repressioni in cui sono sempre emersi (a volte a distanza di anni) depistaggi, trattative, repressioni strumentali, infiltrazioni, complicità, connivenze tra poteri economici, politici ed istituzionali per svuotare qualsiasi forma di resistenza, tra questi poteri quello mafioso (che interagisce in più ambiti) è stato uno dei protagonisti.
Una élite, trasversale e ben ancorata nello stato profondo (deep state), ha gestito con visione e determinazione il dopo stragi, i cambiamenti istituzionali, le reazioni popolari, garantendo impunità e l’impossibilità ad arrivare alla piena conoscenza della verità. Tale è la situazione se dopo settant’anni o dopo trent’anni ancora non si conoscono i mandati, i fautori dei depistaggi, le coperture istituzionali di cui hanno goduto i mafiosi e non solo.
O almeno, come avrebbe denunciato Pasolini, noi sappiamo! ma tutto viene triturato in un vortice di verità, mezze verità, depistaggi, bugie che ogni cosa mescola e sbiadisce e alla fine tutto rimane immutato e immutabile.
La Sicilia, in questo contesto, è stato il terreno conteso per eccellenza (anche se non il solo) ma anche un luogo di una straordinaria resistenza civile e politica.
Le stragi di Capaci e di via d’Amelio sono state il sigillo della continuazione di questo scellerato e perdurante patto di potere. Tuttavia, queste élite, questo stato profondo che indirizza, governa, gestisce, influenza si affloscerebbe se una vasta mobilitazione popolare riuscisse a prenderne coscienza, organizzarsi, lottare e resistere.
Non è un compito facile, ma se vogliamo ricordare e far camminare sulle nostre gambe l’esempio di Falcone, Borsellino, Peppino Impastato, Giovanni Spampinato, Boris Giuliano, Ninni Cassarà, Mauro De Mauro, Mario Francese, Salvatore Carnevale, Pietro Scaglione, Mauro Rostagno, ecc. ecc. ecc. tutti noi, proprio a partire dalla Sicilia con le sue contraddizioni in negativo e in positivo, dobbiamo ricostruire un vasto movimento di coscienza e resistenza che parta dalle necessità materiali e intellettuali dei cittadini, sottraendoci alle cerimonie ipocrite e alle lusinghe di quella zona grigia che prospera nell’indifferenza e nelle complicità economiche con le élite.
* Segretario regionale Sicilia
Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea della Sicilia.
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