Girolamo Li Causi
Negli Atti relativi ai mandanti della strage di Portella della Ginestra, vi furono le Conclusioni del Pm Pietro Scaglione, datate 31 agosto 1953, con la richiesta di archiviazione delle denunce del giornalista Vincenzo Caputo contro il leader comunista Girolamo Li Causi e contro l’avvocato della sinistra separatista Antonino Varvaro, nonché la richiesta di archiviazione delle querele di alcuni parlamentari monarchici contro il deputato comunista Montalbano per calunnia e diffamazione.
Dalle Conclusioni emerge come Scaglione (ucciso nel 1971 a Palermo dopo 9 anni alla guida della Procura della Repubblica) smentì in 2 parti l’allora ministro degli interni Mario Scelba: nelle accuse contro i comunisti e nella vicenda dell’attestato di benemerenza per Gaspare Pisciotta, luogotenente del bandito Salvatore Giuliano.
Il sostituto procuratore generale Pietro Scaglione chiese l’archiviazione - per assoluta infondatezza - delle denunce contro l’avvocato Nino Varvaro, uno dei leader della sinistra separatista siciliana che poi aderì al Blocco del Popolo, il fronte unitario delle forze socialiste e comuniste, bersaglio degli attentati.
Nelle Conclusioni del Pm Pietro Scaglione del 31 agosto 1953 negli Atti relativi ai mandanti della strage di Portella della Ginestra, Scaglione scrisse: “Rimane così ampiamente provato come sia priva di ogni e qualsiasi fondamento la denuncia presentata dal giornalista Vincenzo Caputo contro l’avvocato Nino Varvaro…perchè Salvatore Giuliano aveva sempre ostentato la sua più tenace avversione contro i comunisti e si orientò genericamente verso i partiti anticomunisti, come risulta dalle deposizioni dei suoi familiari”, quindi non avrebbe mai potuto stringere accordi con il Blocco del Popolo.
Il sostituto procuratore generale Pietro Scaglione archiviò per assoluta infondatezza anche la denuncia di Caputo contro il senatore Girolamo Li Causi, leader storico del Pci siciliano e impegnato nella ricerca della verità su Portella della Ginestra: “Ad analoga conclusione deve pervenirsi per quanto riguarda la denuncia del giornalista Vincenzo Caputo contro il senatore Gerolamo Li Causi. Già che il fatto stesso della strage di Portella della Ginestra e i sentimenti di astiosità e di odio notoriamente nutriti dal bandito Giuliano contro i comunisti sono tali da indurre ad escludere a priori ogni possibilità di interferenza e intese tra il bandito ed uno dei più qualificati esponenti del Partito Comunista come il senatore Li Causi. Ma è d’uopo aggiungere che nulla, ma proprio nulla è emerso a conforto della denunzia del Caputo che pretende peraltro di far leva soltanto su alcune dichiarazioni fatte dal ministro Scelba in sede parlamentare e che provocarono allora in quella stessa sede un’inchiesta eseguita da una commissione di deputati e senatori e conclusasi in senso del tutto favorevole al Li Causi”.
“Giuliano non strinse mai intese con il Partito comunista, verso cui mostrò sempre la più irriducibile avversione e l’odio più tenace”
Scaglione aggiunse che “sia dallo stesso Pisciotta sia dai suoi principali coimputati è stato escluso che incontro [tra Li Causi e Giuliano] ebbe luogo”.
Nelle sue Conclusioni, invece, il PM Scaglione parlò di “crisma della verità” per le sconvolgenti rivelazioni di Gaspare Pisciotta, luogotenente di Salvatore Giuliano, in relazione ai rapporti tra banditismo, mafia e forze dell’ordine. Un ritratto inquietante degli anni in cui il Ministero degli Interni concesse un singolare “attestato di benemerenza” per Pisciotta. In particolare, un Ispettore generale di Pubblica Sicurezza intrattenne “amichevoli incontri con il capobanda Giuliano, allietati da soffici panettoni e liquori”; un ufficiale dei carabinieri concesse a Pisciotta “generosa ospitalità e amichevoli attenzioni”; un generale dell’esercito offrì allo stesso Pisciotta “un regolare passaporto perché potesse liberamente espatriare e sottrarsi così alle sanzioni della legge per tutti i gravissimi delitti commessi”.
Infine il Pm Pietro Scaglione archiviò la querela presentata dai parlamentari monarchici Alliata, Cusumano Geloso e Leone Marchesano contro il professore Giuseppe Montalbano, deputato comunista. I reati per i quali i parlamentari monarchici chiedevano il rinvio a giudizio di Montalbano erano la calunnia (per il contenuto di un esposto presentato da Montalbano in data 25 ottobre 1951) e la diffamazione aggravata a mezzo stampa (per il contenuto di una lettera di Montalbano pubblicata dal quotidiano L’Unità il 14 ottobre 1951, nella quale preannunciava una mozione nell’Assemblea Regionale Siciliana contro i deputati monarchici in relazione alla strage di Portella della Ginestra).
Scaglione chiese alla Sezione Istruttoria di archiviare le querele contro Montalbano perché non sussistevano “elementi soggettivi e oggettivi” per configurare i reati di diffamazione e calunnia.
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