venerdì, aprile 08, 2022

I L DOSSIER. “È fronda a Messina Denaro” Nuovi equilibri secondo la Dia

di Alessia Candito


Cosa nostra paga ancora i colpi ricevuti in passato e non supera quelli recenti. Ma è viva, pericolosa, sta cambiando pelle e modi. Persino su Matteo Messina Denaro, tuttora indiscutibile e principale punto di riferimento, si addensano le nubi «di uno strisciante malcontento». Ma l’ennesima evoluzione — avverte nella sua ultima relazione semestrale, la Dia di Maurizio Vallone — non la rende meno pericolosa. 

Più silente, ma ancora in grado di asfissiare i quartieri con le estorsioni, più incline a stringere alleanze che a versare sangue, Cosa nostra oggi ha difficoltà a dotarsi di un vertice, ma con una gestione orizzontale del potere purtroppo funziona ancora benissimo. Ai vecchi boss questa nuova mafia non piace. E — sottolinea la Dia — non riconoscono nè autorità, nè carisma criminale ai nuovi reggenti. Di ritorno nei loro antichi feudi dopo decenni di detenzione, vorrebbero indietro — intatti — peso e ruolo. 

«Sono i portabandiera — si legge nella relazione — di una ortodossia difficile da ripristinare a fronte di una visone più fluida del potere mafioso declinato in chiave moderna» . E non si può escludere — avvertono gli investigatori — che lo scontro generazionale con i nuovi capi non si trasformi in conflitto concreto. 

Esito? Impossibile da definire. Ma di certo, oggi, soprattutto in Sicilia occidentale, Cosa nostra funziona già in modo diverso. E persino capi assoluti come Messina Denaro — un fantasma che governa da trent’anni — pagano lo scotto di arresti, condanne e sequestri che ne hanno ciclicamente smantellato la rete di protezione. Iddu rimane un’ombra ma frai suoi c’è «insoddisfazione connessa con le problematiche derivanti dalla gestione della lunga latitanza». 

Il nuovo comandamento è “non fare rumore”. Anche per questo la difesa armata di territori e affari, annota la Dia, sono il passato. Oggi Cosa nostra, che in Sicilia convive con altre mafie come Stidda, arriva persino a condividere o delegare porzioni di territorio e settori di business. È così che, soprattutto a Palermo, è cresciuta la mafia nigeriana, con iCultsche hanno imparato in fretta a capitalizzare l’esperienza maturata nella filiera della tratta di esseri umani, “ reinvestendola” nel mondo della droga. « Sono in grado di governare l’offerta e la domanda, i flussi di sostanze stupefacenti e soprattutto i cospicui proventi derivanti da un mercato che si conferma tuttora fiorente nonostante la pandemia». 

Anche per Cosa nostra gli anni del Covid sono stati un affare. Per ramazzare imprese e attività in difficoltà, certo. Ma soprattutto per alimentare la “fame” di mafia dei tanti che la crisi ha messo in ginocchio, fra i quali i boss hanno distribuito posti di lavoro nell’economia legale e illegale, alloggi, favori, persino generi alimentari. È abc della tirannia mafiosa che concede briciole per reclutare schiavi e « rappresenta oggi — avvisano gli investigatori — il miglior investimento possibile per garantirsi in futuro il perpetuarsi del controllo sociale e territoriale » . Le famiglie però non “ lavorano” solo nei quartieri. Anzi, del tutto intatta è rimasta la capacità di costituire « comitati crimino- affaristici » che condizionano gli enti locali, addomesticano appalti, ramazzano commesse e fondi grazie a funzionari e amministratori locali collusi». E ora puntano al bottino grande del Pnrr. 

La Repubblica Palermo, 8/4/2022

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