Pippo La Barba
Nel saggio “Pintacuda e Sorge il cammino personale e comune, il confronto” edito dalla San Paolo, Pino Toro e Nuccio Vara mettono a fuoco due dei protagonisti del risveglio di coscienza dei palermitani negli anni dal 1985 al 1990, comunemente connotati come “la primavera di Palermo” Pintacuda e Sorge. Gli anni della “primavera”, secondo gli autori, hanno generato una sincera tensione al cambiamento e grandi speranze poi ampiamente deluse.
E’ nell’ottobre del 1985 che il gesuita Bartolomeo Sorge, allora direttore della rivista “La civiltà cattolica”, approda a Palermo. L’approdo avviene con l’incarico di nuovo responsabile del centro di formazione politica “Pedro Arrupe”.
Nei locali del centro risiedeva in quel periodo un confratello gesuita, Ennio Pintacuda, animato da grande passione politica. Entrambi, Pintacuda e Sorge, masticavano di politica, L’uno analista di vicende nazionali e internazionali. L’altro teorico di politica locale e regionale. E’ il contesto storico che, almeno per un certo tempo, li fa convergere.
Già nel 1980 all’interno della D.C. alcuni giovani esuberanti, Leoluca Orlando, Enrico La Loggia, Vito Riggio e altri si mostrano insofferenti verso la conduzione del partito. Quel partito che, con la sua azione soporifera, garantiva lo status quo e il più assoluto immobilismo. Non solo, ma come sottolineano Toro e Vara, “la stagnazione politica costituisce l’humus più adatto all’espansione della criminalità organizzata e al suo inserimento nei gangli vitali della società”.
Una città per l’uomo
Parallelamente, nel mondo cattolico e in movimenti di ispirazione cristiana come le ACLI prende piede una contestazione radicale dell’unità politica dei cattolici. Una contestazione che tende a teorizzare il pluralismo nella rappresentanza. Da questa esigenza nasce il movimento “Una città per l’uomo”. I primi fondatori del movimento furono Nino Alongi, Giorgio Gabrielli e due gesuiti: Francesco Paolo Rizzo, al tempo direttore del citato Centro Arrupe, ed Ennio Pintacuda, suo alter ego.
Il movimento si proponeva all’inizio una presenza attiva nei quartieri di Palermo, anche in vista della istituzionalizzazione dei Consigli circoscrizionali da affiancare al Consiglio comunale.
Questa nuova ottica politica riceve l’approvazione dell’Arcivescovo Metropolita, il Cardinale Salvatore Pappalardo. Ma nel 1985, quando ci si appresta alle elezioni amministrative, a sorpresa Città per l’Uomo presenta una propria lista anche per il Consiglio Comunale ottenendo poi due consiglieri. Questa scelta non viene condivisa da Pappalardo, mentre è incondizionatamente sostenuta da Pintacuda. I giovani contestatori interni alla DC rimangono invece al loro posto e Leoluca Orlando viene nominato Sindaco di Palermo. Tutto sembra procedere per il meglio. Ma a un certo punto il ritorno in scena di vecchi figuranti della DC costringe Orlando a dimettersi, spianando la strada a due gestioni commissariali.
La Rete
Nel gennaio del 91, Orlando fonda il movimento “La Rete”. Così, esce dal partito. Alle successive elezioni amministrative del 1993 sbaraglia il campo, raggiungendo il massimo fulgore. Ma nel tempo, le alterne vicende di Leoluca Orlando – sottolineano gli autori – pur confermandolo personaggio carismatico, non delineano il percorso sperato.
La cittadinanza si intiepidisce e non nasce l’auspicata nuova classe dirigente. Pur con tutte le ribellioni popolari alla tracotanza mafiosa culminata nelle stragi del 1992, oggi a Palermo, come del resto nell’intera Sicilia, si registra un clima sociale avvelenato. La politica è immiserita da personalismi e da squallide logiche di compensazione e monta sempre più la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni.
giovedì 17 Marzo 2022
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