DI STÉPHANE COURTOIS
Nel suo discorso di guerra del 21 febbraio, Vladimir Putin ha fatto un’affermazione che ha lasciato sbigottiti gli storici. Ha detto che «l’Ucraina contemporanea è stata completamente e interamente creata dalla Russia, per la precisione dalla Russia comunista e bolscevica. Questo processo è iniziato quasi subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi compagni hanno agito in modo davvero scorretto con la Russia, arraffandole e strappandole una parte dei suoi territori storici».
Contestualizzando così la nascita dell’Ucraina, Putin “dimentica” che essa era una realtà storica a sé da più di 1200 anni, quando fu creato ilRus,il primo stato slavo, in quell’ampio territorio che si estendeva dal mar Baltico al Mar Nero, delimitato dal Dnepr e dal Dnestr, con capitale Kiev — quando San Pietroburgo e Mosca non esistevano nemmeno. L’Ucraina fu riannessa a forza nell’impero zarista soltanto alla fine del XVIII secolo e vide emergere alla metà del XIX secolo, come in tutta l’Europa del 1848 e la sua “primavera dei popoli”, un potente movimento nazionalista incentrato sulla sua lingua, la sua letteratura e la memoria delle grandi rivolte cosacche contro ogni forma di oppressione.
Ebbene, evocando il 1917, il “professor” Putin “dimentica” che nel 1917 vi furono due rivoluzioni: quella democratica nel mese di febbraio e quella di ottobre che consentì a Lenin, il 7 novembre, di creare il primo regime totalitario della Storia. L’abdicazione di Nicola II il 15 marzo aveva provocato il crollo dell’impero zarista, conosciuto allora come “la prigione dei popoli”. I cittadini di etnia russa rappresentavano appena il 44 della sua popolazione. Tutte le altre identità nazionali si emanciparono: i polacchi, i finlandesi, gli estoni, i lettoni, i lituani, i bessarabiani, i georgiani, gli armeni, gli azeri. Quanto agli ucraini, il 17 marzo crearono una Rada, un’assemblea, presieduta da Mykhailo Hruchevski, che il 23 marzo proclamò la sua indipendenza rispetto al governo centrale. Poco dopo, fu creato un governo autonomo diretto da Volodymyr Vynnychenko.
Poiché Lenin l’8 novembre aveva creato il Consiglio dei commissari del popolo, la Rada il 3 dicembre proclamò la Repubblica popolare di Ucraina. Lenin reagì con rabbia e brutalità. Sapeva che se l’Ucraina si fosse sottratta al suo potere, avrebbe perso il granaio d’Europa e una forte industria carbonifera e metallurgica. Ma, più di ogni altra cosa, da vero marxista radicale, Lenin sapeva che la potenza del sentimento nazionale ucraino avrebbe fatto esplodere il principio della guerra di classe che improntava ogni sua azione. Così il 5 dicembre annunciò: «Oggi siamo testimoni di un movimento nazionale in Ucraina e diciamo: sosteniamo senza riserve la libertà totale e incondizionata del popolo ucraino. (…) Tuttavia, tendiamo una mano fraterna agli operai ucraini e diremo loro: “Con voi lotteremo contro la vostra e la nostra borghesia”». Era già Orwell! Il 16 dicembre, la Rada reagì con un manifesto e regalò la terra ai contadini, fissò la giornata lavorativa a otto ore e proclamò un’amnistia politica generale. Lenin contrattaccò sulle pagine della Pravda il 18 dicembre con un “Manifesto al popolo ucraino” accompagnato da un ultimatum. Dopo aver ricordato, per mantenere le apparenze, il diritto di tutte le nazioni «a staccarsi dalla Russia», attaccò frontalmente con un fantastico “politichese”: «Noi accusiamo la Rada ucraina di portare avanti, celata sotto frasi patriottiche, una politica borghese doppiogiochista che si esprime da molto tempo con il rifiuto a riconoscere i soviet e il loro potere in Ucraina. (…) Questo doppio gioco, che ci impedisce di riconoscere la Rada in qualità di rappresentante plenipotenziario delle masse operaie sfruttate della Repubblica di Ucraina, l’ha condotta in questi ultimi tempi a prendere provvedimenti che, di fatto, eliminano qualsiasi possibilità di intesa».
La conclusione era senza appello: «Nel caso in cui entro 48 ore non pervenga una risposta soddisfacente alle nostre domande, il Consiglio dei commissari del popolo considererà la Rada di Ucraina in stato di guerra dichiarato contro il potere dei Soviet in Russia e in Ucraina». Il Sovnarkom (Consiglio dei commissari del popolo dell’Unione Sovietica) interferiva in modo invadente negli affari interni dell’Ucraina e accusava la Rada di essere responsabile della guerra che lui stesso dichiarava! Ecco un prototipo di menzogne, disinformazione e minacce che avrebbe avuto una bella discendenza totalitaria. In assenza di risposte, il 25 dicembre Lenin fece proclamare a Kharkov una Repubblica Sovietica di Ucraina che riconobbe all’istante. Poi alcuni reparti di Giubbe rosse si impadronirono di Kiev l’8 febbraio 1918. E così, a meno di sei settimane da quando aveva preso il potere, il capo bolscevico aveva dichiarato la sua prima guerra a una nazione di cui ufficialmente riconosceva il diritto all’indipendenza. Ancora una volta Orwell! Nonostante ciò, l’Ucraina a novembre partecipò alle prime elezioni organizzate in Russia a suffragio universale maschile e femminile che portarono alla formazione dell’Assemblea costituente, invocata da più di mezzo secolo tanto dai democratici quanto dai rivoluzionari. L’Assemblea costituente, riunitasi a San Pietroburgo il 18 febbraio 1918, fu dispersa con la forza il giorno dopo, su ordine diretto di Lenin. In reazione a ciò, la Rada il 22 dicembre proclamò l’indipendenza definitiva dell’Ucraina e il 29 aprile Hruchevski fu eletto presidente della Repubblica popolare di Ucraina. A partire da quel momento, e fino al 1991, il potere sovietico non smise di combattere con il terrore di massa le aspirazioni nazionali degli ucraini, cercando, col ferro e col fuoco, di obbligarli a sottomettersi all’Urss: nel 1920, in occasione dell’offensiva dell’Armata rossa su Varsavia; nel 1932-1933 in occasione di una carestia genocida organizzata da Stalin contro i contadini (circa 4 milioni di persone morirono di fame per la carestia detta Holodomor); nel 1937-1938 con il Grande terrore guidato da Krusciov; nel 1939-1941 con l’annessione dell’Ucraina occidentale in occasione della distruzione dello Stato polacco da parte di Stalin e Hitler; nel 1944 e nel 1956 con lo sterminio di tutti i partigiani nazionalisti antisovietici per mano degli uomini del Kgb. Quel Kgb di cui Vladimir Putin è rimasto tenente colonnello fedele. Quello stesso Vladimir Putin sulle pagine deLe Figaro del 7 maggio 2005 dichiarò che era indispensabile «affermare i principi della tolleranza e del rispetto dei popoli gli uni verso gli altri, inculcare l’idea che l’unità degli esseri umani è indispensabile per venire a capo delle difficoltà comuni e delle minacce. Creare, in fin dei conti, un’atmosfera di comprensione attorno all’idea che i popoli hanno i medesimi diritti, siano o no più o meno numericamente importanti, ivi compreso il diritto di decidere la strada da seguire per il loro sviluppo. Che metta dunque in pratica i principi che ha proclamato!
La Repubblica, 4/3/2022
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