di Salvo Palazzolo
«Quando arrivai alla procura di Palermo, nei mesi terribili che seguirono la stagione delle stragi, sembrava impensabile che una donna potesse raggiungere una posizione di vertice nell’ambito di un ufficio giudiziario importante».
Marzia Sabella sorride: «Non immaginavo davvero che un giorno sarei diventata procuratore aggiunto e che avrei retto la procura di Palermo, sembrava una cosa fuori dalle possibilità».
Invece, lei è la prima donna al vertice dell’ufficio inquirente del capoluogo dopo la partenza di Franco Lo Voi, resterà fino alla nomina del nuovo procuratore.
«Devo ringraziare per l’attestazione di stima il procuratore Lo Voi che prima di lasciare Palermo per assumere il nuovo incarico a Roma mi ha nominata suo vicario».
Quanto è stato difficile arrivare sin qui?
«All’interno dell’ufficio non ho mai percepito su di me una mancata valorizzazione collegata al mio essere donna. Le difficoltà, tante, sono arrivate piuttosto dall’esterno, nel momento in cui ho iniziato ad occuparmi di inchieste di mafia».
Chi la guardava con diffidenza perché donna?
«In quella stagione facevi fatica ad essere considerata come interlocutrice dai collaboratori di giustizia e dai mafiosi. Qualcuno non ti chiamava neanche dottoressa, ma signora, o peggio signorina. Anche qualche avvocato in aula ti chiamava signora».
Quando ha superato le resistenze dei collaboratori di giustizia?
«Quando hanno capito che io come le altre donne pm comprendevamo il loro linguaggio. Poi, intanto, alla procura di Palermo arrivavano anche delle procuratrici aggiunte: prima Annamaria Palma, poi Teresa Principato. Oggi, l’ufficio ne ha tre: oltre a me, le colleghe Annamaria Picozzi, che si occupa di criminalità economica, e Laura Vaccaro, che coordina le indagini sulle fasce deboli».
Nella sua lunga esperienza in procura – dall’arresto del superlatitante Provenzano alla caccia ai patrimoni di Cosa nostra – si è imbattuta in tante donne di mafia. Con Cetta Brancato ha anche scritto una pièce teatrale che ripercorre diverse figure: “Mafia: singolare, femminile”. Che ruolo hanno avuto e hanno le donne nell’universo mafioso?
«Sono l’altra metà del cielo di Cosa nostra, non può essere diversamente. Sono le depositarie dei segreti più profondi dell’organizzazione, almeno nelle linee essenziali. Se le donne di mafia decidessero di collaborare con la giustizia, avremmo veramente uno squarcio totale e completo sui misteri che ancora restano».
Eppure, per tanto tempo, c’è stata una sottovalutazione del ruolo della donna nell’ambito dei clan. Perché?
«Negli anni Ottanta e Novanta le donne di mafia venivano condannate per favoreggiamento, oppure per la detenzione di qualche arma, mai per la partecipazione a Cosa nostra. Perché la magistratura applicava anziché il codice penale i canoni di Cosa nostra: la donna formalmente non fa parte dell’organizzazione, ma le condotte messe in atto dal punto di visto giuridico non hanno alcuna differenza rispetto al comportamento degli uomini».
Quante sono le donne che oggi si rivolgono al vostro ufficio per denunciare abusi e violenze?
«Siamo in un’altra epoca rispetto agli anni in cui ho iniziato. Nel 1993, non c’era neanche un settore dedicato alla tutela delle fasce deboli. All’epoca, mi resi conti che era necessario riunire tutti i fascicoli sulla materia, per creare un gruppo specializzato. In quel periodo, le denunce delle donne erano davvero poche, sia per quanto riguarda i maltrattamenti in famiglia che le violenze sessuali. Oggi, invece, c’è una maggiore predisposizione culturale a denunciare, e anche a sostenere le accuse nel processo. Ma spesso le situazioni più pericolose continuano ad essere nascoste. E quando arriviamo è troppo tardi. Allora, è necessario che si mobiliti la società a tutti i livelli, per individuare le zone d’ombra dove si coltiva il silenzio».
Quando vedremo più donne in ruoli di responsabilità all’interno della società civile e delle istituzioni?
«Nessuna legge esclude le donne dalle cariche istituzionali più importanti. Spesso si creano degli alibi dell’essere donna, che poi costituiscono anche l’autostrada per chi una donna non la vuole in un settore di comando. Non mi piacciono neanche le quote rosa.
Dovremmo essere noi donne ad avere maggiore fiducia e a imporci, per le capacità che esprimiamo. Magari ci vorrà più tempo per vederci riconosciute queste capacità. Ma se si va tutte in questa direzione, avremo anche una presidente della Repubblica».
La Repubblica Palermo, 9/3/2022
1 commento:
Molto interessante!!! Questa intervista dimostra a mio giudizio come noi uomini abbiamo paura che le donne sappino fare meglio di noi!!!!!! Riflettiamo!!! Alla ultima votazione per lo o il president-essa del Republica io ero in favore di una DONNA!!! anche se il Nostro è una persona fuori di ogni dubbio io avrei preferito una donna!!¨Un saluto dalla Svizzera Leoluca Criscione! Anche se l mio nome finisce per -a- sono un uomo....ahahahah!!!
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