Luigi Pirandello
di LINO BUSCEMI
A proposito del film di Taviani sulle peripezie per il funerale dello scrittore Il corpo fu cremato assieme ad altre salme, come testimoniò l’esame del Dna
Nelle sale cinematografiche si proietta “ Leonora addio” del regista Paolo Taviani. Un film il cui soggetto è costituito da una toccante novella ( “Il chiodo”) di Luigi Pirandello e dalle incredibili vicissitudini relative all’esecuzione delle ultime volontà dello scrittore, compresa la destinazione delle sue ceneri. Al di là del film, proviamo a fare un po’ di chiarezza sui contrastati funerali e sull’esistenza integrale delle ceneri dell’autore di “Uno, nessuno e centomila”.
Pirandello è morto a Roma il 10 dicembre 1936. Il 13 dello stesso mese, il corpo dello scrittore venne cremato . Le ceneri furono versate in un vaso bianco e conservate al cimitero del Verano fino al dicembre del1946, cioè poco prima di finire in una fossa comune. Il regime fascista vietò ai familiari la “dispersione” dei resti con le modalità dettate dal loro illustre congiunto.
Nel 1936 i forni crematori non erano come quelli di oggi e poco si faceva per ammodernarli. La maggioranza degli italiani considerava la cremazione una pratica anticristiana. Quello di Prima Porta era un antiquato inceneritore che spesso veniva usato per cremare in contemporanea più salme. Nei primi mesi del 1939 , il podestà fascista di Agrigento si rivolse a Mussolini per ottenere il trasferimento delle ceneri dello scrittore nella città natìa. Il duce, per riguardo verso il Vaticano, informò della richiesta la Segreteria di Pio XII. Il 3 maggio 1939, il sostituto monsignor Giovan Battista Montini ( futuro papa Paolo VI) scrisse una dettagliata lettera al vescovo della città dei templi monsignor Giovan Battista Peruzzo ( vedi libro di Enzo Papa “ La vera storia delle ceneri di Pirandello”, Lombardi Editore). Nella missiva si evidenziava al prelato che la manifestazione religiosa « dovrà essere subordinata all’assicurazione che le ceneri dello scrittore siano composte in una cassa funebre, come si usa per ogni salma, e che la notizia dell’avvenuta cremazione sia tenuta nascosta».
Frattanto la situazione politica era precipitata con l’entrata in guerra dell’Italia. A conflitto concluso, nel 1946, il sindaco di Agrigento, il Dc Giovanni Lauricella, si attivò, con successo, per acquisire le ceneri di Pirandello che intanto, per iniziativa del figlio Stefano , furono travasate in un rinomato vaso attico afigure rosse, del V secolo a.C., già di proprietà del premio Nobel. Finalmente la cassa di legno, contenente il variopinto vaso, giunse, nel febbraio 1947, alla stazione di Agrigento scortata dal deputato alla costituente professor Gaspare Ambrosini. Si tralascia di raccontare il comico e tentato viaggio in aereo e poi quello effettivo in littorina, perché, sul punto, il film di Taviani è esaustivo.
Mentre al municipio fervevano i preparativi per le esequie, il vescovo Peruzzo ribadiva che la cerimonia religiosa avrebbe avuto luogo solo se le ceneri fossero state deposte entro una cassa da morto, come “suggerito” da Montini. Un furbesco escamotage la cui paternità, nel fluire degli anni e in diversi scritti, è stata, invece, falsamente attribuita a diversi personaggi a cominciare dal vescovo. Le autorità civili ubbidirono alla Chiesa e il funerale ebbe luogo con tanto di carabinieri in alta uniforme. Poi, nella casa del Caos, trovò posto il vaso attico in attesa di sistemare il suo contenuto nel costruendo sito di pietra. Per ritardi vari, il monumento fu completato solo nel 1961. Il 10 dicembre di quell’anno, alla presenza anche di uomini di cultura come Salvatore Quasimodo e Leonardo Sciascia, dentro il roccioso monumento fu murato un cilindro di metallo dove erano state travasate ( per la terza volta dopo la cremazione ) le ceneri dello scrittore.L’incarico di gestire la difficoltosa operazione era stato affidato al direttore del museo civico Giovanni Zirretta. Poiché le ceneri all’interno del vaso risultavano calcificate, egli, con uno scalpello, le polverizzò. Quindi, il colpo di scena: il contenitore, più piccolo del vaso, non poteva recepire tutti i resti polverizzati. La parte eccedente rimasta su un tavolo all’aperto, venne dispersa, si dice, da una improvvisa folata di vento. Un’altra versione accredita la tesi secondo cui le ceneri rimaste siano state buttate via. Nondimeno la cerimonia ebbe fine. Per motivi di sicurezza, si trasferì il vaso attico al museo archeologico.
Tutto concluso? Nossignori. Nel 1994, “la Repubblica” e “Corriere della Sera”, con articoli a firma di Alessandra Ziniti e di Felice Cavallaro, riportavano la notizia della scoperta di parti delle ceneri di Pirandello rimaste dentro il vaso greco. Se n’è accorto il direttore del museo archeologico Giuseppe Castellana. Il quale, appena insediatosi, volle controllare il vaso ed emerse che al suo interno risultavano ancora «costipate delle ceneri, ossa e pezzetti di protesi dentaria » . Si rivolse, quindi, ad esperti di analisi del Dna per eliminare qualsiasi dubbio sull’appartenenza dei resti ossei al grande scrittore. Prelevati dei campioni, fatto un confronto con il Dna degli eredi dello scrittore, i laboratori incaricati fornirono il medesimo risultato: si trattava dei resti di Pirandello, anche se mischiati a questi c’erano numerosi Dna non compatibili. Insomma si ebbe la conferma che le ceneri si mischiarono nel forno con altri resti appartenenti ad altri soggetti, o per prassi o per imperizia.
Considerato che i resti umani ritrovati da Castellana sono con ogni probabilità ancora nel vaso, è evidente che il grande Pirandello riposa, e non da solo, in due siti diversi anche se vicini. E poi chi può dire con certezza che la porzione prevalente delle ceneri conservate nella roccia del Caos, fra triplici travasi, folate di vento e disfacimenti irresponsabili, siano davvero del Nobel anche in piccola percentuale? Si è portati a credere, in mancanza di fatti certi, che almeno il quarto punto delle “ Mie ultime volontà da rispettare”, vergate da Pirandello, abbia avuto involontaria esecuzione: «perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me».
La Repubblica Palermo, 1/3/2022
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