domenica, marzo 20, 2022

Ciotti “La nuova mafia abita in mezzo a noi ma è diventata invisibile”


di Alessandra Ziniti 

Domani la Giornata per le vittime, parla i l fondatore di Libera 

ROMA — Le mafie che non sparano più, che non fanno più saltare in aria pezzi di autostrada, che hanno visto tutti i più grandi padrini finire dietro le sbarre e morire, non fanno più paura. «Che grande errore credere che una mafia che non fa più stragi sia debole, in via d’estinzione. Le mafie in Italia godono ancora di coperture e complicità a livello politico ed economico, hanno tratto grandi profitti dalla pandemia e ne ricaveranno da un’economia di guerra. Ma la lotta alle mafie e alla corruzione sembra scomparsa dall’agenda politica del Paese». 

Dall’alto dei suoi 76 anni, almeno metà dei quali a coltivare la coscienza civile di un Paese soffocato da Cosa nostra, camorra, ’ndrangheta, Sacra corona unita, don Luigi Ciotti, animatore del Gruppo Abele e di Libera, prepara la grande manifestazione (che domani avrà a Napoli la sua piazza centrale, ma si svolgerà in tutte le città d’Italia e nelle grandi capitali europee) della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti: 1.005 i cui nomi verranno letti, uno per uno, dai palchi di tutta Italia. 

Don Ciotti, sarà un 21 marzo particolare, a 30 anni dalle stragi. La mafia è sempre lì, ma il fronte antimafia ha perso pezzi e credibilità con figure iconiche finite sul banco degli imputati. 

«Antimafia è parola che bisognerebbe mettere in quarantena prolungata. Essere contro le mafie dovrebbe essere un fatto di coscienza che produce condotte conseguenti. Cosa significa essere antimafia? C’è forse qualcuno che si dichiara apertamente a favore delle mafie? È di questo consenso unanime che hanno approfittato alcuni per fare dell’antimafia un cavallo di Troia del malaffare». 

Tocca fare un bilancio di questi trent’anni. Che Italia le è passata sotto gli occhi dal 1992 a oggi? 

«I bilanci si fanno a fine lavori e qui c’è ancora molta strada da fare. Però di passi avanti da quella stagione ne sono stati fatti tanti. È senz’altro cresciuta, almeno nella coscienza civile, la consapevolezza del fenomeno mafioso: non dimentichiamo che la parola mafia era entrata nel codice penale solo dieci anni prima delle stragi. Ma a questa consapevolezza non ha sempre corrisposto un impegno politico all’altezza. È uno scenario di luci e ombre». 

Le ombre sono chiare. Veniamo alle luci. 

«L’inclusione nell’ultimo codice antimafia di strumenti specifici contro la corruzione. Quello che manca è una visione complessiva, la capacità o la volontà di riconoscere nelle mafie un parassita della democrazia e del progresso civile, sociale ed economico. Non più infiltrate, ma insediate in mezzo a noi, ben prima della crisi economica. È un processo iniziato con la globalizzazione delle merci e delle finanze, sistema che ha prodotto molte zone grigie tra l’economia legale e quella illegale». 

Gli apparati istituzionali e investigativi lo hanno ben chiaro. Il Viminale tiene alta la guardia sui flussi di denaro distribuiti durante il lockdown e quelli in arrivo. 

«In questo sistema economico, con questi vuoti di giustizia sociale, le mafie trovano un habitat più che mai favorevole ai loro affari. Hanno tratto grandi profitti dalla pandemia e possono ricavarne dall’economia di guerra. Come segnalano gli allarmi di Dna e Dia, iniziano a guardare con molto interesse ai fondi del Pnrr». 

In questo quadro, che pericoli intravede? 

«Proprio nel trentennale di Mani pulite e delle stragi mafiose sembra che questi fenomeni criminali si siano radicati in un distorto senso comune, in un processo di normalizzazione per cui è meglio fingere che il problema non esista». 

Forse anche perché i grandi boss non ci sono più e le guerre di mafia o l’attacco alle istituzioni sembrano ormai di un’altra era? 

«Da quando hanno colto l’opportunità del libero mercato, senza regole, soggetto alla legge del più forte, le mafie hanno cambiato abiti e modi, scoprendo che con la finanza è possibile riciclare, investire, moltiplicare i patrimoni senza ricorrere con la frequenza di prima alla violenza diretta. Ma ci sono rigurgiti criminali che tornano e c’è bisogno di uno scatto, di un sussulto prima che sia troppo tardi». 

Anche domani in piazza ci saranno decine di migliaia di giovani. In 30 anni il seme della legalità sembra germogliato. 

«Abbiamo cercato di diffondere conoscenza e responsabilità. Ai giovani si nega il futuro e si grida allo scandalo se da quel futuro negato nascono fragilità, comportamenti antisociali, sfiducia nelle istituzioni. Eppure i giovani hanno forti ideali, ci hanno insegnato a riprenderci le piazze, sanno che per costruire una realtà diversa bisogna prima sognarla». 

La Repubblica, 20 marzo 2022

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