Il giovane Pier Paolo Pasolini
di Paola Pottino
C’è un posto in Sicilia dove fino al 1960 si viveva nelle grotte insieme ai muli. Secoli di trogloditismo vissuti all’interno delle caverne nel piccolo abitato rupestre di Chiafura, poco distante da Scicli. Le condizioni quasi primitive nelle quali vivevano gli “invisibili” di Chiafura richiamarono l’attenzione di alcuni intellettuali del tempo tra cui Pier Paolo Pasolini.
Lo scrittore-regista, di cui è stato appena celebrato il centenario della nascita, giunse a Scicli nel 1959 su invito di Giancarlo Pajetta, esponente di spicco del Partito comunista, e degli amici del circolo culturale Vitaliano Brancati, per constatare di persona le condizioni di vita degli abitanti del luogo.
«Un gruppo di gente era ad aspettarci nella piazzetta giallognola di Scicli — scriverà Pasolini nelle pagine della rivista Vie Nuove, nel 1959 — eravamo nell’ultimo angolo della Sicilia, ancora un po’ di campagna, carrubi, mandorle, villette estive di baroni, poi il mare, il mare africano».
Insieme a Pasolini arrivarono nel piccolo centro ragusano anche Carlo Levi e Renato Guttuso: insieme avrebbero dovuto sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica sullo stato di vita di queste povere persone. «Sopra le ultime casupole di pietra della cittadina — continua Pasolini nel suo reportage — si sale una specie di montagna del purgatorio, con i gironi uno sull’altro, forati dai buchi delle porte delle caverne saracene, dove la gente ha messo un letto, delle immagini sacre o dei cartelloni di film alle pareti di sassi, e lì vive, ammassata, qualche volta col mulo».Pagine dolorosamente realiste non condivise però da chi in quelle grotte visse gli anni più belli della propria vita. Quelli che per Pasolini erano gironi danteschi, per Pietro Sudano, classe 1926, nato e vissuto nelle grotte di Chiafura, erano case comode e confortevoli, nonostante mancasse l’energia elettrica e il riscaldamento. Sudano ricorda perfettamente la visita di Pasolini, il suo viso asciutto e contratto con quei grandi occhiali scuri e lo sguardo attento. «Pasolini rimase particolarmente stupito — racconta Sudano — di vedere alle pareti i calendari e i poster di attrici e soubrette, ma le grotte erano abitate anche da molti ragazzi, era normale che fossero appesi». Di normale però per Pasolini e gli altri intellettuali dell’epoca non c’era niente. «L’insieme delle grotte — scrisse — ha una visione veramente suggestiva, ma sono anche una testimonianza del sottosviluppo e dell’emarginazione del Meridione».
Tra i “ chiafurari” (così venivano chiamati gli abitanti del luogo) i meno agiati abitavano le grotte in alto del costone di San Matteo, mentre i più fortunati vivevano in quelle vicino al torrente: la vicinanza all’acqua faceva la differenza. Le grotte, spiegano gli storici, nascono come necropoli dell’età del bronzo, diventano poi catacombe paleocristiane e infine abitazioni bizantine. Il trogloditismo, diffuso in tutto il sudest dell’Isola, inizia infatti in epoca bizantina, ma è nel periodo normanno che il fenomeno si consolida con il trasferimento delle comunità grecofone dal sud Italia.
«Io ricordo la mia infanzia felice — dice Sudano — eravamo un’unica grande famiglia e ognuno si aiutava con l’altro, mi sentivo amato e protetto. Certo, le condizioni di vita per le settecento famiglie che abitavano a Chiafura non erano facili: nelle grotte non esistevano né bagni, né acqua, né energia elettrica. Per i servizi igienici si provvedeva alla meglio e per l’approvvigionamento idrico bisognava scendere in basso lungo il torrente di San Bartolomeo dove c’erano delle fontanelle dalle quali prendevamo l’acqua con i recipienti di latta, le cosiddette “quartare”. Mangiavamo nelle ciotole di alluminio e ogni volta che facevano il pane, per noi bambini era festa: la signora Guglielma ci dava il pane caldo cunzatu, imbottito con olio e pomodoro salato, oppure con il mosto cotto. Si dormiva con il mulo e l’asinello divisi da una parete, ma quando c’era freddo gli animali servivano a riscaldarci».
Le immagini descritte da Sudano sembrano tratte da alcuni dipinti di impressionisti francesi: le lavandaie al calar della notte, immerse nell’acqua fino alle caviglie, alla luce dei lumi a petrolio, andavano al fiume per lavare i panni. «Era davvero pittoresca questa scena — dice Pietro Sudano — ma per noi era tutto molto normale e non ci sentivamo fuori dal mondo. Per andare a scuola, facevo un chilometro al giorno e al ritorno giocavo con i miei amici con la trottola. A sette anni, dopo la scuola, incominciai a frequentare la bottega del barbiere per imparare il mestiere e infatti poi ho aperto a Scicli un bel salone da barba, ho pure tagliato i capelli a Celentano».
Pietro Sudano visse insieme a sua moglie nelle grotte di Chiafura fino alla fine degli anni Cinquanta, quando in seguito al crollo di un masso dal colle di San Matteo e dopo la visita di Pasolini, Levi, Pajetta e Guttuso, fu decretato dal governo regionale lo sgombero del quartiere di Chiafura trasferendo gli abitanti ad Aldisio, l’attuale villaggio Jungi. Ma un pezzo del suo cuore è ancora lì dentro.
Oggi le grotte sono chiuse al pubblico anche se di tanto in tanto vengono visitate dai turisti. L’amministrazione comunale vorrebbe farne un parco antropologico, ma mancano i fondi. «L’idea che un giorno Chiafura — dice Sudano — possa rinascere sarebbe motivo di grande emozione per me e per tanti altri che sono testimoni di un’epoca, fatta di stenti ma piena di vita».
La Repubblica Palermo, 22/3/2022
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