di PAOLA POTTINO
Ore e ore trascorse con la schiena chinata. L’arte del ricamo, tramandata dalle donne della famiglia, è scandita da canti e chiacchiere tra aghi, fili, tele, stoffe, lenzuola in lino e tovaglie.
Le ricamatrici di Santa Caterina Villarmosa, in provincia di Caltanissetta, sono le più brave di tutte. Negli anni Sessanta, le loro meravigliose creazioni vengono notate dagli occhi attenti degli intermediari alla ricerca dei corredi più belli per i loro committenti. Donne dell’aristocrazia e dell’alta borghesia siciliana, ma non solo, fanno a gara per comprare i preziosi corredi da portare in dote, le loro cassapanche custodiscono veri tesori artigianali. Il lavoro è tanto e dalla mattina alla sera le donne del paesino nisseno, con la schiena spezzata e la vista messa a dura prova, trascorrono le loro giornate a ricamare.
Qualcuno dice che tanto si divertono, per loro però non è più un passatempo, ma un vero e proprio lavoro male remunerato: 50 lire al giorno, anche negli anni Sessanta erano una miseria.Filippa Pantano, donna energica e volitiva, originaria di Santa Caterina Villarmosa, lo capisce prima di tutte. La situazione è insostenibile perché si tratta di un vero e proprio sfruttamento del lavoro. Nel 1964, la donna insieme alle figlie emigra in Germania per seguire il marito; la famiglia lavora in una fabbrica di Monaco. « Sono stati anni durissimi — racconta la figlia Pina Rotondo — e gli italiani venivano visti come quelli che rubavano il lavoro ai tedeschi. Esattamente la stessa situazione che oggi avviene nel nostro Paese con i migranti, la storia si ripete, ma almeno lì avevamo un contratto regolare». Tornata dalla Germania dopo sei anni di grandi sacrifici, Filippa capisce che senza garanzie contrattuali e assicurative, non è possibile andare avanti e che anche il lavoro a domicilio deve essere regolamentato.
Intanto, anche in Sicilia soffia il vento del Sessantotto e la donna, sostenuta dalle figlie e dalle vicine di casa, fonda la Lega delle ricamatrici, aderente alla Cgil. « Una cosa assurda per quei tempi — dice la Rotondo — perché ricordo che le donne che parlavano di politica e per di più in un piccolo paese nel cuore della Sicilia, venivano viste come marziani, eppure mia madre e noi ragazze eravamo convinte che era venuto il momento per fare rispettare i nostri diritti e di tutte quelle persone checome noi lavoravano in contesti disagiati come questo».
Operaie, figlie e mogli divennero il simbolo in Sicilia, e nel resto del meridione, di riscatto sociale e conquiste femminili. «C’erano pure — ricorda Pina Rotondo — quelle povere ragazze, tutte minorenni, che venivano mandate a raccogliere il gelsomino nelle serre e anche loro venivano sfruttate perché pagate una miseria, si lottava anche per i loro diritti». La paga sarebbe dovuta aumentare almeno a 150 lire l’ora: erano le condizioni imposte dalla Lega delle ricamatrici che nel frattempo inizia ad espandersi in tutta la Sicilia contando più di ottocento iscritte. Le donne di Palermo dell’allora Partito comunista, dell’Udi e della Cgil sono con loro e nel giugno del 1973 nel capoluogo siciliano si tiene una manifestazione alla quale partecipano quasi mille lavoratrici. Si inizia finalmente a parlare di rapporto previdenziale e di equa retribuzione finoall’approvazione in Parlamento della legge 877 del 18 dicembre 1973, grazie alla quale viene disciplinato il lavoro a domicilio. Intermediari e committenti, sfruttatori del lavoro, furono portati a giudizio e condannati. Lentamente, però, tutto inizia a scemare, ma Filippa Pantano, le figlie e le altre compagne non demordono e nel 1977 fondano la cooperativa “ La rosa rossa” che dopo alcuni anni si scioglie: minacce e isolamento bruciano il sogno di quelle donne combattive e coraggiose.
Nel mercato iniziano ad arrivare altri tipi di ricami, quelli cinesi, fatti in serie e sicuramente meno pregiati di quelli realizzati dalle mani delle donne di Santa Caterina Villarmosa. « Le nuove generazioni — dice Pina Rotondo — dovrebbero essere grate delle battaglie condotte negli anni Settanta, perché anche se poi tutto si è dissolto nel nulla, abbiamo lanciato un appello importantissimo sul fronte dell’uguaglianza dei diritti. Purtroppo, oggi le ragazze non pensano più al ricamo, non hanno idea di cosa sia il punto ombra, il punto rodi o il tombolo, preferiscono comprare roba cinese. Ma la pena più grande è che neanche la politica e le istituzioni sono interessate a tramandare quest’arte alle future generazioni».
Francesco Paolo Raja, assessore allo sviluppo economico del comune di Santa Caterina Villarmosa, ammette la carenza, ma dice: «Purtroppo nell’ultimo anno abbiamo dovuto dare la precedenza a rimettere in funzione la macchina amministrativa, ma io sono più che mai convinto di intraprendere un percorso per salvare le nostre tradizioni artigianali. Ultimamente sono in contatto con un’associazione di Caltanissetta per portare avanti “ Ricamiamo giocando”, un progetto educativo e didattico che intendiamo proporre alle scuole del paese. Nel tempo, l’arte del ricamo tornerà a vivere a Santa Caterina, questa è una promessa».
Intanto nei locali della parrocchia del paese, Ninfa Costanzo, 51 anni, insieme a due compagne di lavoro continua a ricamare nei momenti liberi. «Ci ritroviamo qui la mattina o il pomeriggio — dice la donna — compatibilmente con i nostri impegni. Ci piace ricamare, lo abbiamo appreso dalle nostre madri ed è un peccato che oggi le ragazze non siano interessate. Ci piacerebbe organizzare dei corsi nelle scuole».
La Repubblica Palermo, 5 marzo 2022
Nessun commento:
Posta un commento