di GIUSEPPE CARLO MARINO
Preceduta da anticipazioni e da martellante propaganda, finalmente è andata in onda, in “Presa Diretta”, l’inchiesta di Riccardo Iacona sui concorsi universitari. Ne avevo già avuto ben più che semplice notizia, un diretto e personale coinvolgimento già circa due anni fa, allorquando l’ottimo Iacona si era ritenuto quasi obbligato (forse) a farmi intervistare: in particolare sull’ormai noto caso del ricercatore di Storia Contemporanea Giambattista Sciré, un malaffare accademico accertato da clamorose sentenze della magistratura, registratosi, tra gli altri, nell’Ateneo di Catania. Questa attenzione e questo privilegio, essendomi io assicurato per primo in Italia, l’amaro privilegio civile di oppormi a quel malaffare, impegnandomi, con tutte le mie personali risorse di professore ordinario della disciplina in questione, a sostenere fin dalle origini la coraggiosa volontà della vittima (cioè, appunto, di Scirè) a reagire a quel malaffare e poi a seguirne con un ruolo di testimone di verità e di scienza la difficile battaglia nelle varie fasi fino alla felice conclusione di pochi giorni fa.
L’intervista, da parte di una simpatica troupe-Rai guidata dalla deliziosa Antonella Bottini, realizzata nel mio studio palermitano, fu intensa e lunga un intero pomeriggio e investì le problematiche relative allo stato odierno dell’Università in Italia.Insistetti allora, così com’è confacente all’ufficio critico di uno storico, non proprio su quanto nelle pratiche del reclutamento dei docenti universitari poteva dar luogo alla banalità dello “scandalo” e ingenerare facili e scontate condanne morali dell’illegalismo e del malaffare, ma su quanto, a mio parere, poteva essere utile per capire le cause profonde di quell’illegalismo e di quel malaffare (ci avevo persino tentato prima di allora scrivendo un libriccino che non mai visto la luce per misteriosi divieti editoriali-accademici!).
Per capire – così ragionavo allora e continuo a ragionare – occorre mettere al centro dell’analisi l’antica vocazione dell’Università a ritenere intoccabile, fino a quei comportamenti che da un punto di vista formale e legale potrebbero pure ben considerarsi inaccettabili “arbitrii”, la SOVRANITA’ ASSOLUTA E NON CONTESTABILE DEI SAPERI E DELLA SCIENZA. Ne consegue, purtroppo, un sistema coriaceo, fiero della sua autoreferenzialità e deciso a difenderla con una ramificata resistenza, che genera corruzione, familismo immorale e nepotismo ramificati e pervasivi, ma che non potrebbe virtuosamente superarsi, come Iacona inclina a credere e suggerisce, adottando il modello neocapitalistico e liberista di diverse Università straniere nelle quali il principale ed apprezzato “merito” dei docenti e dei ricercatori è soprattutto quello di attirare denaro, cioè fondi e profitti per l’istituzione. Il sistema italiano è fermo nell’idea, se si vuole tradizionalista, secondo la quale i processi per il reclutamento e per la selezione dei docenti e dei ricercatori non possano prescindere dalla naturale predilezione costruttiva dei “maestri” per i propri “allievi”, i figli legittimi delle loro Scuole scientifiche. Argomento, quest’ultimo, non peregrino e comunque, se non idoneo ad assolvere dal malaffare i “baroni universitari”, certamente da ritenere importante per salvare dal degrado culturale di massa di questi nostri tempi l’UNIVERSITA’ COME ISTITUZIONE, che infatti cesserebbe di esistere o sarebbe cosa ben diversa dalla sua nobile e antica tradizione se a quella risorsa indicata sopra come la SOVRANITA’ ASSOLUTA DEI SAPERI E DELLA SCIENZA fosse costretta a rinunziare.
Che poi – come denunziavo duramente nell’intervista – i “baroni universitari” si avvantaggino dei poteri di tale rivendicata “sovranità”, come l’imperatore Caligola, per “nominare senatore un loro cavallo”, questo è accaduto e accade in conseguenza del degrado, anche culturale, degli stessi odierni “baroni” che non sono più quelli di una volta: a seguito dei processi di una sempre più accentuata trasformazione degli Atenei in sistemi per la formazione, piuttosto che di scienziati, di istruttori e “alti tecnici dei saperi” funzionali alle richieste dei “mercati” e molto condizionati da venali e nient’affatto scientifici interessi personali nonché subalterni alla politica politicante. Non più autentici “baroni” se non nella vanitosa presunzione di continuare ad esserlo ma indegni rappresentanti di una spenta e smarrita tradizione, se non, talvolta, addirittura falsari dei saperi e della scienza.
In concreto, quel che si registra è un incalzante fenomeno di degradante passaggio da “un’età dei baroni”, e dei “maestri”, ad un’altra nella quale – direbbe Tomasi di Lampedusa – ai “gattopardi subentrano i lupi e gli sciacalli”. All’ascesa ormai galoppante dei lupi e degli sciacalli (alla quale anche il sottoscritto è stato costretto a pagare un duro prezzo personale!) dovrebbe porsi urgente rimedio ricostituendo processi scientifici assai rigorosi, al di là e al di sopra del formalmente “legalitario”, per la selezione e per la promozione del personale docente universitario; processi, appunto, che rispettino le esigenze specifiche delle dinamiche assai speciali, e se si vuole “elitarie”, attraverso le quali si forma e si sviluppa l’ALTA CULTURA.
Sviluppai argomenti del genere nell’intervista che Riccardo Iacona – alla ricerca dei facili e scontati effetti dello scandalismo puro e semplice – ha deciso di cancellare, di escludere dalla versione finale della sua, assai superficiale, inchiesta mandata in onda ieri sera. Mi dispiace molto che l’abbia fatto e, lo ammetto, al di là del dispiacere mi assale adesso un’indicibile indignazione, si creda pure, se si vuole, con tutte le lamentazioni di una certa vanità offesa. Mi indigna e mi amareggia che una grande questione, qual è quella del rapporto oramai strutturalmente conflittuale tra le antiche istanze dell’ALTA CULTURA e una società nella quale l’unica “cultura”realmente riconosciuta e legittimata è soltanto quella imposta ed alimentata dagli interessi dei “mercati” (nonché dalle presunzioni “culturali” di un’incultura di massa) venga immiserita riducendola a questione di meri formalismi legalitari che, essendo molto spesso esattamente quelli stessi richiesti e perseguiti per la loro ascesa proprio dai “lupi e dagli sciacalli” , tendono a ridurre il concetto di “merito” ai giudizi emessi dalla burocrazia di un’ipocrita moralità pubblica (la cosiddetta “moralità” corrispondente all’odierna ideologia neoliberista e alle sue connesse sirene della tecnologia e dei poteri finanziari), ovvero a delle valutazioni del merito di cui non è più giudice la SCIENZA, e non è più arbitro esclusivo e sovrano, seppure esposto ad errori, appunto il LIBERO E INCONDIZIONABILE GIUDIZIO SCIENTIFICO..
Tuttavia – dato che non si potrebbe benché minimamente tollerare la protervia di chiunque si ingegni, peraltro riuscendoci, a far nominare “senatore” il suo “cavallo”, così come è accaduto nel caso che ha avuto come protagonista e vittima Giambattista Sciré – è doveroso e meritorio denunziare e combattere la corruzione e il deteriore costume del familismo accademico che sono fenomeni connessi al miserevole impoverimento culturale di molti dei cosiddetti “baroni” per effetto – come si è appena detto sopra – dei processi di alienazione e “mercificazione” della Cultura, ridotta a compiti di mero servizio alle esigenze dei “mercati” e, non di rado, alle sue connesse mafie e massonerie.
Come si vede, si tratta di una questione molto complessa che forse nel nuovo Medioevo che stiamo attraversando vedrà ancora più aggravate e non superate le sue difficoltà che in gran parte si riassumono nel problema di come conciliare la sovranità rivendicata dalla scienza con le istanze di equità del diritto pubblico. E un siffatto, arduo problema andrà incontro ad altri tentativi sbagliati e funesti di soluzione che, purtroppo, si chiameranno ancora….“riforme” (quasi che non ne avessimo già avute abbastanza, e da decenni sempre al ribasso!). Ma l’ottimo Riccardo Iacona e le piazze delle opinioni che sono solite fingere di”scandalizzarsi” e di invocare onestà e correttezza, se ci riescono, si guardino dal considerare i concorsi universitari alla stregua di una qualsiasi operazione per sistemare un po’ dei bravi laureati disoccupati, o di una selezione per dirigenti d’azienda o per il personale di concetto di un Ministero, se non delle Poste e del Catasto. Con idee del genere in testa mostrano soltanto di non capire che cosa è stata e che cosa dovrebbe ancora essere l’Università, a meno che non si persegua l'ipotesi di avviarla ad una lenta, inesorabile "privatizzazione".
Facebook, 8 febbraio 2022
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