Il procuratore di Foggia, Vaccaro: qui troppa povertà culturale, educativa e socio-economica, tutti fattori criminogeni. «Siamo aggrediti da una criminalità feroce, eppure città come Cerignola e Manfredonia non hanno un tribunale». Dopo la nuova ondata di attentati che sta interessando il Foggiano, parla il capo dei pm del capoluogo: fronteggiamo cosche giovani e brutali che, oltre a droga, estorsioni e usura, ora cercano di fare affari con gli appalti
ANTONIO MARIA MIRA
«La mafia foggiana è divenuta il primo nemico dello Stato». Così disse quasi un anno fa il procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero de Raho. I sette attentati contro esercizi commerciali dall’inizio dell’anno lo confermano. Ricorda bene quell’allarme il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro. E la sua analisi è molto chiara. «La situazione del Foggiano continua a essere critica. Sono molto preoccupato per il futuro perché questo territorio ha delle grandi povertà. Una povertà culturale, una povertà educativa, una povertà sociale e, anche per effetto dell’azione della criminalità organizzata, una grandissima povertà economica. Tutti fattori criminogeni.
Dopo l’azione forte dello Stato, che ha avuto però un’impronta repressiva, se non ci sono le condizioni per costruire un mondo diverso, tornerà a spopolare la criminalità». Parole forti di un magistrato che non ama il palcoscenico, più fatti che interviste, ma ora è davvero un fiume in piena. «La nostra azione è un po’ come arare un campo pieno di erba cattiva, ma dopo aver arato se non si comincia a seminare frutti buoni, a coltivare, ad irrigare, torneranno le erbe cattive. Noi arriviamo a cocci rotti, cerchiamo di indicare quali sono le strade preventive. Ma siamo raramente ascoltati».Quale è la mafia foggiana oggi?
È una mafia giovane, appena trentennale. È selvaggia, brutale, un po’ primitiva. Però comincia a cambiare e a capire che gli affari, oltre che con droga, estorsioni e usura, si fanno anche con gli appalti e cerca di inserirsi sia nel tessuto politico-ammi-nistrativo, sia in quello economico. Il pericolo è che le imprese lecite battano in ritirata, mentre si ampliano le attività economiche riconducibili all’illecito.
L’attenzione si è alzata sul Foggiano soprattutto dopo la strage di San Marco in Lamis, del 9 agosto 2017, quando morirono anche i due fratelli agricoltori Luigi e Aurelio Luciani, ma è rimasta alta?
Gli interventi strutturali sono stati pochi. Certo c’è stata l’istituzione del Reparto prevenzione crimini, dei Caccia- tori del Gargano e la sezione Dia, ma è troppo poco. L’attenzione su Foggia continua a essere un po’ a flash. Ci vogliono delle riforme strutturali profonde che riguardano in primo luogo gli uffici giudiziari.
Come?
Foggia ha un circondario enorme, di oltre 7mila chilometri quadrati. Lo dobbiamo raffrontare col vicino Molise che è la metà e ha tre procure, con la Liguria che è di 5mila e ha 4 procure, con l’Abruzzo, di 10mila e 8 procure. Ora io mi chiedo, e lo chiedono i cittadini, e vorrei che qualcuno desse una risposta: perché abbiamo procure in città piccole che, oltre a non essere capoluoghi di provincia non sono neanche, per loro fortuna, aggredite da una criminalità violenta e penetrante come quella del Foggiano? Perché non l’abbiamo a Cerignola che è una città con 60mila abitanti, sciolta per mafia e in una zona dove ci sono altri comuni ad alta densità criminale? Perché non c’è a Manfredonia, città di 60mila abitanti, anch’essa sciolta, con una mafia accertata con sentenze passate in giudicato e contraddistinta per la sua particolare ferocia? Se poi tra 20 anni, come mi auguro da cittadino e da magistrato, il problema della mafia foggiana sarà superato e si verificherà in qualche altro territorio che oggi è isola felice, si sposteranno gli uffici giudiziari lì. Io sono per una giustizia di prossimità. E questo farebbe anche crescere la collaborazione dei cittadini. L’altra motivazione è che la riforma della geografia giudiziaria del 2013 con l’accorpamento a Foggia di tribunale e procura di Lucera e di altre sei sezioni distaccate, ha determinato un imbuto che impedisce di celebrare celermente i processi. Ne pendono oltre 12mila in fase di giudizio. Fino alla riforma erano la metà, perché si celebravano negli altri luoghi.
Perché i cittadini lo sentono in modo così forte?
All’inizio del mio incarico il procuratore nazionale Antimafia mi disse: «Mi raccomando, fate sentire la vostra vicinanza agli imprenditori che denunciano». Noi li ascoltiamo personalmente. Ma lei immagina un imprenditore che da Vieste deve essere ascoltato a Foggia? Dovrà fare più volte la spola. Poi inizia il processo nel quale si costituisce parte civile. Parte da casa alle 6,30 per essere in orario alle 9, poi riprende la sua auto, e fa altre due ore. Percepisco in loro un senso di solitudine, e quasi di abbandono, dovuto alla distanza. E questo è un territorio storicamente poco propenso alla collaborazione. Non solo i testimoni ma neanche le vittime non collaborano. È quasi una regola farsi i fatti propri, è quasi inaccettabile collaborare, è essere 'infame'.
Come reagiscono società civile e mondo economico?
Il mondo economico è il grande assente. Obiettivamente c’è stato da parte dello Stato in questi ultimi anni un grande impegno che si è tradotto anche in risultati sotto gli occhi di tutti. Questo ha portato sicuramente a una maggiore consapevolezza da parte della società civile e a piccoli segnali di cambiamento e di risveglio. Poco tempo fa un imprenditore mi disse: «Noi la ringraziamo per quello che fa, ci sentiamo meno oppressi». Gli ho risposto: «Bene e allora perché non iniziate a fare la vostra parte?».
Perché non lo fanno?
L’imprenditore vive la richiesta estorsiva come un problema suo che deve risolvere in qualche modo, e che lo porta a cedere, e mai a farne un problema di tutti. Così continua a non comprendere che il suo legittimo interesse economico deve inserirsi nell’ambito di una crescita generale. La criminalità, dimostrando la sua ottusità, ha impoverito il territorio. Se strangola una persona con le estorsioni o con l’usura, poi questa chiude il negozio. La criminalità foggiana ha tanto impoverito il territorio da impoverire se stessa. Il mondo imprenditoriale un po’ fa la stessa cosa, si è chiuso in se stesso e cerca di far tornare i propri conti, anche cedendo alla richieste estorsive o addirittura cercando accordi con gli estorsori. Ci sono intercettazioni in cui si dice «ho fatto un contratto di guardiania, finalmente pago la tangente in maniera legale».
Con che conseguenze?
Se il mondo imprenditoriale riesce a uscire da questo egoismo in cui si è chiuso, si creano quelle alternative occupazionali che costituiscono una remora alla disponibilità di manovalanza che ha caratterizzato la criminalità. Se i giovani sono buttati in mezzo a una strada senza alternative, si prestano facilmente a fare il piccolo trasporto di droga, o il palo durante una rapina, o semplicemente a dare un alibi a chi è responsabile di un reato. Invece deve passare il messaggio che non conviene delinquere, esattamente il contrario della sottocultura che pensa che fare il criminale significa avere consenso sociale e disponibilità economica. È tempo che il mondo imprenditoriale si rimbocchi le maniche e cominci a investire e a richiamare investimenti anche di altri. Se non si fa questo Foggia è destinata a rimanere agli ultimi posti di tutte le classifiche e territorio controllato dalla criminalità.
Lei invita gli imprenditori a denunciare.
La porta della procura è sempre aperta. Al di là dei risultati abbiamo lavorato per abbattere le pendenze che si sono dimezzate. La gente che denuncia non può attendere, perché altrimenti vede vanificato il suo atto di coraggio e finisce per dar ragione a chi dice «ma chi te lo fa fare, lascia perdere».
In questi ultimi anni nel Foggiamo sono cresciuti gli scioglimenti dei Comuni per condizionamento mafioso, capoluogo compreso.
Questo pone di fronte a un’alternativa: o la rassegnazione più totale, o, come mi auguro, la reazione. Ci sono comuni piccoli del Gargano dove sicuramente, dopo lo scioglimento, c’è stata una svolta. Per gli altri siamo in attesa di capire. Per quanto riguarda Foggia, francamente per ora non riesco a percepire la volontà di un cambiamento.
Si vede solo vergogna e negazione.
È l’atteggiamento peggiore, una posizione vittimistica. I problemi non vanno negati, ma affrontati e risolti. Oggettivamente questa città ha visto l’arresto del presidente del consiglio comunale, di alcuni consiglieri, del sindaco, lo scioglimento del Comune, e quale è stata la reazione? Io non ho visto nulla. E mi preoccupa. Le responsabilità dovranno essere accertate nei processi, che devono essere tempestivi altrimenti si fanno sui giornali. Alcuni degli imputati si stanno difendendo fuori dalle sedi giudiziarie. Io dico sempre ai miei colleghi che i processi non si fanno sui media, nessuno deve rilasciare interviste sui fatti oggetto dei procedimenti, però lo stesso divieto non c’è per gli imputati.
Avvenire, 15/01/2022
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