Francesco Forgione, sindaco di Favignana
dal nostro inviato Massimo Norrito
Favignana — Zainetto in spalla, mascherina sul viso, Francesco Forgione scende dall’aliscafo che collega Trapani a Favignana. Sullo sfondo l’ex stabilimento Florio e la tonnara, pochi metri oltre la banchina il Palazzo Florio realizzato 1878 su progetto di Damiani Almeyda. Un centinaio di metri più avanti c’è la sede del municipio in una piazza Europa dominata dalla statua in bronzo di Ignazio Florio. Qui i Florio li vedi ovunque, nell’aria aleggia la presenza di questa famiglia di origini calabresi che fece la fortuna di Favignana. Calabresi d’origine come Francesco Forgione che dall’ottobre del 2020 è il sindaco del Comune di Favignana-Egadi che, insieme alla più grande delle isole dell’arcipelago, comprende Levanzo e Marettimo.
«Forse il fatto che un calabrese sia oggi sindaco qui è un segno del destino. Anche se mi sento un nano sulle spalle di giganti. Quindi, nessun riferimento ai Florio se non la responsabilità di continuare a far vivere nella memoria e nell’identità di questa isola una storia grande e visionaria sia dal punto di vista industriale sia come proiezione nel futuro di questi territori a cavallo tra i due secoli».
Dalla commissione nazionale Antimafia alle Egadi, passando per il Messico. Come si arriva a questo percorso tutt’altro che scontato?
«Attraverso un iter sentimentale. Ho messo piede per la prima volta a Favignana nel 1994. Da quel momento è nato un legame mai interrotto, sino all’estate del 2020, quando mi fu chiesto di candidarmi. Accettai una sfida che non era stata fatta per essere vinta, ma per dare voce a una voglia di cambiamento».
Quella che doveva essere una vacanza è diventata una nuova sfida?
«Esattamente. Si figuri che ero venuto sull’isola con un guardaroba fatto di magliette e alla fine della campagna elettorale non potei fare a meno di prendere dei vestiti».
Che tipo di scelta è stata?
«Non è stata solo una scelta politica, ma anche una scelta privata difficile. Mia madre Maria vive da sola in Calabria. Ilia, che da dodici anni è la mia compagna, abita a Roma. Una situazione difficile, ma condivisa».
Lei è stato esponente politico, direttore di un giornale, scrittore, docente universitario, direttore della Fondazione Federico II e adesso è sindaco qui alle Egadi.
Sicuramente un personaggio eclettico.
«Ogni ruolo è legato a una fase della mia vita. L’esperienza della direzione di Liberazione è stata importante, così come il primo libro sui rapporti tra mafia e massoneria scritto nel 1993. Da lì è cominciato un percorso che mi ha portato alla commissione nazionale Antimafia. In due anni abbiamo fatto cose importanti come la prima relazione sulla ’ndrangheta e il codice etico sulle candidature nei partiti, ancora oggi in vigore, che porta la mia firma come relatore».
Un bagaglio fondamentale anche all’università dell’Aquila.
«Un momento straordinario per il rapporto con le nuove generazioni anche se doloroso perché coincise con il terremoto».
Poi il Messico.
«Conservo ancora con affetto la cittadinanza temporanea messicana. Lì ho diretto la cattedra “Falcone Borsellino” all’Istituto messicano per la giustizia e poi sono stato consulente dell’ufficio delle Nazioni Unite contro droga e delitto».
Dal Messico alla Federico II.
«Mi venne chiesto dall’allora presidente dell’Ars Ardizzone. Gli risposi: “Giovanni, ma sei scemo?”.
Rifiutai, ma poi dissi sì».
Adesso com’è fare il sindaco?
«Tra tutte le responsabilità che ho avuto questa è la più difficile. Un ruolo complicato ma bellissimo. Vivo con l’angoscia di dover dare risposte alla mia gente. Problemi quotidiani che non mi fanno dormire».
Il suo Comune amministra
Favignana, Levanzo e Marettimo. Come si fa a gestire tre isole?
«Bisogna avere sempre il senso della comunità. Questo, infatti, è il Comune di Favignana-isole Egadi dove ci sono delle diversità, ma c’è il senso di comunità e prendo il meglio da ogni isola come Vito Vaccaro che è di Marettimo e di recente è stato nominato vicesindaco. Noi siamo i custodi temporanei di una bellezza che dobbiamo consegnare a chi verrà dopo di noi — e penso alle giovani generazioni — meglio di come l’abbiamo trovata».
Una bella sfida.
«Una sfida che impatta contro la burocrazia, l’intreccio di interessi pubblici e privati, leggi contraddittorie e i tempi di una politica che non coincidono con le esigenze quotidiane dei cittadini».
Ancora più difficile in pandemia.
«Sono stato il primo sindaco in Italia a parlare di isole Covid free. L’ho fatto con una lettera a Musumeci e non sono stato ascoltato. Chi mi ha risposto è stato il generale Figliuolo che mi ha scritto il giorno dopo il suo insediamento. Ma qui il problema è più ampio. Per un’emergenza, ad esempio, c’è bisogno dell’elicottero. Ci sono problemi legati all’insularità dei quali la politica non sembra accorgersi».
C’è un futuro per la pesca del tonno a Favignana?
«Con l’assessore Scilla mi sono adoperato per far ridefinire le quote assegnate a Favignana dalla Ue. La mattanza non si fa da troppo tempo e, se salterà ancora, le quote andranno in Sardegna. Non è un problema turistico, ma produttivo».
Cosa l’ha spinta a questa nuova avventura?
«L’amore per queste isole e la passione per la politica. A 21 anni ero consigliere comunale, mia nonna era una delle tre donne candidate del Pci alle prime elezioni dopo il fascismo e mio padre è stato vicesindaco socialista».
Insomma, una questione di Dna?
«La politica è impegno civile. Io che sono un comunista non pentito sono convinto della bontà della scelta fatta a Favignana di una lista civica con sinistra, moderati e destra in nome del bene comune».
Cosa significa diritti nelle isole?
«Le faccio qualche esempio: a Marettimo d’inverno non c’è un infermiere, a Levanzo non c’è la scuola per l’assenza dei bambini.
Dalle isole parte una sfida per non essere isolate».
Isole prese d’assalto in estate.
«Non sono contrario al turismo di massa, ma deve essere sostenibile. In estate abbiamo in media 60mila persone al giorno. Tutto ciò pone problemi: dai rifiuti, all’acqua, ai trasporti».
Torniamo alle sue passioni. Qui nella sua stanza, accanto alla fascia tricolore c’è un cappellino dell’Inter.
«Quella per l’Inter è una passione pari a quella per la politica. Da bambino mio padre mi regalò un completino nerazzurro e dall’allora sono un tifoso sfegatato».
Alla parete c’è la foto del presidente Mattarella. Immagina la possibilità di doverla cambiare con quella di Berlusconi?
«È fuori da ogni mia immaginazione».
A Favignana ha potuto abbandonare la scorta.
«Ho fatto dieci anni di quella vita. Qui cambia tutto. Non sei tu a scandire il rapporto con il tempo e lo spazio. Sai che il tuo tempo dipende se arriva o meno l’aliscafo. Curo le mie letture.
Libri gialli e sempre meno di politica».
Ma ama di più Favignana d’inverno o d’estate?
«Luci, colori, il silenzio rotto solo dal mare dell’inverno o si vivono o non si capisce sino in fondo la loro magia».
Qual è la sua posizione sul parco eolico a largo delle Egadi?
«Mi sono espresso contro già a febbraio dello scorso anno. Il parco comporterà la deviazione delle rotte navali e l’alterazione dell’ecosistema. Inoltre non c’è nessuna ricaduta per il territorio. L’energia prodotta arriverebbe in Campania».
Lei è stato un simbolo attivo dell’antimafia. Cosa pensa dell’antimafia di oggi?
«Certamente si è chiuso un ciclo. O l’antimafia trova nuova ragioni sociali di critica del potere e dei poteri o non ha futuro».
Per chiudere una curiosità, Quante volte le hanno chiesto se è parente di Padre Pio, all’anagrafe Francesco Forgione?
«Sempre. È una domanda costante, ma è solo un’omonimia».
La Repubblica Palermo, 23 gennaio 2022
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