Il boss mafioso Totò Riina
di Alessia Candito
C’è stato un momento, poco dopo la sua cattura, in cui Totò Riina era sicuro di lasciare il carcere. Non per improvvisi rovesci giudiziari, ma grazie ad un’evasione organizzata nel corso di una riunione a Montecarlo da Sisde e ‘Ndrangheta. Un progetto naufragato, ma che proprio per questo — suggeriscono fonti investigative — si incastra in una rilettura più ampia e articolata delle stragi siciliane e continentali.
Così raccontano verbali, informative e documenti, visionati da “ Repubblica” e depositati agli atti dell’inchiesta “’ Ndrangheta stragista” del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, già costata in corte d’assise il settimo ergastolo al boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e il primo al mammasantissima calabrese, Rocco Santo Filippone. Condanne che dimostrano come la ‘Ndrangheta abbia avuto un ruolo negli attentati continentali. E non semplicemente operativo. «A confermarlo — dicono fonti investigative — è anche la fallita evasione di Riina».
Il primo a parlarne è stato l’ex pentito Pasquale Nucera. ‘ Ndranghetista, esperto di armi, un passato nella Legione straniera, anche di recente ha fatto parlare di sé. Poco più di un anno fa, è finito ai domiciliari come capo della rete neonazista scoperchiata dall’inchiesta “Ombre nere” della procura di Caltanissetta. Nel luglio 1993, invece, è a Montecarlo. Accompagna ad una riunione Vittorio Canale, dagli anni Settanta proconsole dei clan reggini in Costa Azzurra e gran massone della loggia de la Sagesse, base Beirut, adepti italiani, incluso — dicono i pentiti — il generale Francesco Delfino, che nel ‘ 93, a pochi chilometri dal paese in cui Giuseppe Graviano viveva da latitante, ha arrestato Balduccio Di Maggio, strappandogli informazioni utili per arrivare a quell’arresto di Totò Riina, che i collaboratori raccontano “telecomandato” da Bernardo Provenzano.
Qualche mese dopo, dice Nucera, a discutere dell’evasione del “ Curtu” sono Canale, «un agente libico e Maurizio Broccoletti, uomo dei servizi deviati». Nello specifico, l’ex direttore amministrativo del Sisde, allontanato nel 1991 e coinvolto nelloscandalo dei fondi neri. Pagano i servizi, ai calabresi sta la parte logistica e operativa dell’operazione e Nucera lo sa perché è a lui che tocca « assoldare un gruppo di 20 mercenari e un pilota di elicottero » da pescare « a Belgrado » perché « dovevano essere serbi » . Riina in carcere aspettava notizie. Secondo una riservata del Viminale — ha dichiarato l’ex funzionario del Dap, Andrea Calabria — aveva a disposizione un cellulare per parlare con l’esterno. Per lui si inizia a ipotizzare un trasferimento e viene individuato il carcere di Sollicciano. Ma è il 27 luglio e le bombe dei clan esplodono a Roma e Milano, si pagano con cinque morti. Poco più di 24 ore dopo, viene trovato impiccato nella sua cella Nino Gioè, uno dei due attentatori di Capaci, cui Paolo Bellini — ordinovista, sicario di ‘Ndrangheta, a suo dire infiltrato, oggi indagato per la strage di Bologna — avrebbe suggerito di usare gli attentati continentali colpendo non uomini, ma simboli per scatenare maggior panico. A lui si rivolge e chiede scusa nella sua ultima missiva Gioè, che non dimentica di menzionare anche il boss calabrese Mico Papalia, il custode della sigla “ Falange Armata”, poi ereditata da Riina e su indicazione dei servizi, dicono i pentiti, usata per rivendicare omicidi e attentati. Nei primi giorni di agosto, il trasferimento di Riina salta. Qualche mese più tardi, è la Calabria a raccogliere il testimone della destabilizzazione, con i tre attentati ai carabinieri che per i giudici sono il tributo di sangue a quella strategia della tensione. Tutti eventi — ipotizza la procura di Reggio Calabria — che potrebbero essere collegati.
La Repubblica Palermo, 4/12/2021
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