ROBERTO MANIA
ROMA — «Scioperiamo perché quella del governo è una manovra socialmente ingiusta e vogliamo cambiarla: ignora la condizione in cui vive la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati e il punto di vista di chi li rappresenta». Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, il giorno dopo lo strappo con il governo e con la Cisl.
Landini, il governo sostiene che si tratta di uno sciopero “immotivato e ingiustificato”.
«È un’obiezione infondata. Il governo da mesi ha ricevuto le nostre richieste unitarie su fisco, pensioni, politiche industriali e lotta alla precarietà. Le risposte non sono adeguate».
Ma perché un lavoratore dovrebbe scioperare mentre cresce l’allarme per la recrudescenza della pandemia?
«Dovrei dirle, innanzitutto, perché la pandemia non ha sospeso i diritti costituzionali e lo sciopero è un diritto riconosciuto dalla nostra Carta fondamentale. Abbiamo deciso di proclamare lo sciopero generale perché la legge di Bilancio in discussione in Parlamento non produce quella giustizia sociale di cui il Paese ha bisogno. C’è giustizia quando il lavoro è sempre più precario? C’è giustizia quando i lavoratori che guadagnano meno producono ricchezza che viene redistribuita agli altri che stanno meglio? C’è giustizia quando i giovani e le donne continuano a non trovare un lavoro dignitoso? C’è giustizia se la lotta all’evasione fiscale rimane una chimera? C’è giustizia quando le rendite finanziarie continuano ad avere un trattamento fiscale privilegiato? Le faccio un esempio: una commessa di un supermercato che durante questo periodo ha continuato a lavorare, garantendo il servizio anche quando il Paese era in lockdown, non arriva a prendere 20 mila euro lordi l’anno, la metà se ha un contratto part time. Ed avrà un riconoscimento fiscale di poco superiore ai 100 euro annui, mentre chi prende tre volte il suo reddito ne riceverà oltre 600».
Saranno le detrazioni fiscali a riequilibrare il meccanismo.
«Il governo ci ha detto che saranno interventi limitati perché qualcuno altrimenti potrebbe perderci. Noi, al contrario, avevamo proposto un intervento sulle detrazioni e non sulle aliquote per far crescere i redditi a partire da quelli più bassi».
Eppure, tabelle alla mano, il governo dice che oltre la metà dei sette miliardi di tagli Irpef saranno a favore dei contribuenti che dichiarano fino a 28 mila euro.
«Fino a 28 mila euro ci sta il 73 per cento dei contribuenti e quelle risorse divise su una platea così ampia producono risultati assai limitati».
Insomma, la manovra del governo sarebbe socialmente ingiusta?
«Lo è sulle pensioni, lo è sul lavoro, lo è sul piano fiscale».
Draghi sarebbe un Robin Hood al contrario?
«Il presidente Draghi ha tentato diproporre un punto di mediazione con la sua maggioranza avanzando l’idea di escludere per un anno dal beneficio fiscale i redditi oltre i 75 mila euro. Su questo è stato brutalmente messo in minoranza dai partiti della sua maggioranza. Questo È un problema molto serio: in questo Paese la maggioranza che sostiene il governo non sa cosa vuole dire vivere con 20, massimo 30 mila euro all’anno. La riforma fiscale del governo è profondamente sbagliata perché anziché ridurre le aliquote andava allargata la base imponibile dell’Irpef e accentuata la progressività del sistema».
Dunque scioperate contro la maggioranza di governo più che contro Draghi?
«Lo sciopero è per difendere gli interessi delle lavoratrici, dei lavoratori e di tutti i pensionati.
Abbiamo preso atto che la maggioranza non intendeva cambiare l’accordo fatto sul fisco e che aveva respinto anche la proposta del presidente del Consiglio. Dunque, ricorriamo allo sciopero perché si sono chiusi gli spazi di confronto e il sindacato deve fare tutto il possibile per portare a casa risultati a favore di chi rappresenta. Scioperiamo per la riforma delle pensioni, per superare la precarietà del lavoro, per nuove politiche industriali, e per una migliore scuola pubblica».
Deluso da Draghi?
«Non è in discussione l’autorevolezza che ha dato al Paese. Vedo con preoccupazione che i partiti della maggioranza che sostengono il governo pensano più alle proprie bandierine elettorali che agli interessi dell’Italia e che considerano con fastidio il confronto con i sindacati. Ma così non disconoscono il ruolo dei sindacati bensì quello di lavoratori e pensionati che pagano il 90 per cento dell’Irpef».
Tuttavia il governo si è confrontato anche con voi.
«Sul fisco siamo stati solo informati delle decisioni che avevano già preso, non c’è stata una vera trattativa».
Contesta il primato della politica?
«Insisto: chi versa oltre il 90 per cento dell’Irpef? I lavoratori e i pensionati. Non aver tenuto conto delle richieste di chi rappresenta il mondo del lavoro è un errore e dimostra l’attuale lontananza della politica dalla realtà sociale del Paese».
Il governo replica di aver fatto molto per il lavoro: la riforma degli ammortizzatori sociali, la dotazione per la sanità, le risorse per i rinnovi contrattuali nel pubblico impiego, tra le altre cose.
«Nessuno lo nega, sono state ottenute anche grazie alla nostra mobilitazione».
Perché si è rotta l’unità sindacale?
«Noi scioperiamo sostenendo le ragioni della piattaforma unitaria scritta anche con la Cisl. Siamo coerenti con quello che avevano deciso insieme e così del resto ha scelto anche la Uil. In ogni caso per quello che ci riguarda l’azione sindacale non finisce con la legge di Bilancio».
La Repubblica, 8/12/2021
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