di Miriam Di Peri e Claudio Reale
Palazzo Comitini, sede della Città metropolitana di Palermo |
È un disastro lungo nove anni. Fatto di 17 leggi e leggine approvate dall’Ars una dietro l’altra, di quasi un miliardo speso senza che i servizi potessero ripartire, di cinquemila dipendenti lasciati in balia degli eventi, senza guida politica né dirigenti.
Le ex Province commissariate dal 2013 e sulla carta chiamate al voto il 22 gennaio sono l’esempio lampante dell’inerzia della politica alla siciliana: cancellate in diretta televisiva da Rosario Crocetta all’inizio del suo mandato alla presidenza della Regione, da allora sono rimaste in un limbo trascinando con sé le competenze mai dirottate verso altri enti. Un elenco lunghissimo: le strade provinciali, 11mila chilometri di asfalto ormai costellato di buche, le scuole superiori, oltre 600 in tutta la Sicilia, e poi i servizi agli studenti disabili, le autorizzazioni ambientali e così via, in una lista senza fine di funzioni dimenticate.
Sulla cattiva strada
Le conseguenze si vedono soprattutto al volante. Nel Trapanese, gli agricoltori che hanno terreni e vigneti tra Calatafimi e Gibellina nuova non riescono ad accedere alle coltivazioni: la strada fra i due centri è talmente dissestata da essere impercorribile. Non va meglio a Campofelice di Fitalia, nel Palermitano: il paesino è ciclicamente isolato perché le strade sono talmente dissestate da essere praticamente impercorribili. Ogni tanto l’emergenza rientra con qualche rattoppo, ma poi tornano le piogge torrenziali e con esse il dissesto. « Da anni — racconta il sindaco di Campofelice, Pietro Aldeghieri — la strada che collega a Mezzojuso è chiusa al transito per caduta massi. L’altra strada viene rattoppata, ma in queste giornate viene invasa da fango e detriti, è un calvario » . La striscia di asfalto che collega San Cipirello a Corleone, ancora in provincia di Palermo, è un pantano di fango e rifiuti abbandonati. Nella stessa zona, la cantina “Centopassi” gestita dalla cooperativa Placido Rizzotto di Libera Terra non è più accessibile a causa dell’impercorribilità della strada di accesso che impedisce ai camion di arrivare. « Tutti gli attori economici e sociali nell’Alto Belice Corleonese — dice Francesco Citarda, presidente della cooperativa — si vedono penalizzati dallo stato penoso delle strade. Non esiste viabilità e questo compromette la possibilità di creare occupazione. Il lavoro è un diritto, il lavoro è dignità come ci ha insegnato Placido Rizzotto e dove non c’è possibilità di assicurare diritti si radicano più facilmente le mafie».
Nel nome del popolo italiano
Non che i commissari non siano consapevoli del problema. Perché mese dopo mese, anno dopo anno, sulle ex Province sono piovute centinaia di citazioni civili per gli incidenti provocati dalle strade dissestate: «Il contenzioso — osserva ad esempio il commissario agrigentino Vincenzo Raffo — è la conseguenza di quello che è accaduto. Le cause che abbiamo dovuto affrontare sono parecchie, sempre con esito sfavorevole. La condanna media ammonta a 500mila euro». E a pagare, spesso, sono anche i dipendenti: «I tecnici — si sfoga Saverio Cipriano, rappresentante della Cgil all’ex provincia di Palermo — sono terrorizzati. Ciascuno di loro ha 3 o 4 citazioni in tribunale, perché chiunque faccia un incidente su una strada provinciale cita l’ingegnere responsabile. Abbiamo avuto un cantoniere per 7 anni sotto processo per un crollo di massi sulla strada tra Altofonte e Piana degli Albanesi. Si fa solo la manutenzione ordinaria» . Adesso la Regione ha pubblicato un mega-bando in vista del Piano nazionale di ripresa e resilienza per cercare progettisti esterni da mettere a disposizione degli enti proprio per le strade: ci sono 100 milioni, ma i tempi sono molto stretti per non perdere l’occasione del Pnrr.
Alla ricerca dei progettisti
Il problema, d’altro canto, riguarda i fondi del Pnrr a tutto tondo. Ieri, ad esempio, l’Anci ha lanciato un allarme per i 2 miliardi e mezzo messi a disposizione dall’Europa per i Piani urbani integrati, progetti per recuperare il patrimonio edilizio pubblico e migliorare il decoro urbano: la scadenza per presentare i progetti è il 7 marzo, ma le ex Province sanno già di non farcela.« Quel termine — avvisa il presidente dell’Anci Sicilia, il sindaco metropolitano di Palermo Leoluca Orlando — rischia di non poter essere rispettato a causa della carenza di figure apicali nelle strutture tecniche delle nostre Città metropolitane, che necessitano di un concreto supporto economico e strutturale mediante l’inserimento di adeguati profili professionali abilitati alla redazione di progetti di tale importanza e complessità». Gli uffici, del resto, sono stati svuotati anno dopo anno: all’inizio c’erano circa settemila dipendenti, adesso sono meno di cinquemila, inclusi i precari stabilizzati negli anni (mancano all’appello alcuni Asu di Trapani) e i circa 750 dipendenti delle partecipate. A mancare, in particolare, sono i dirigenti: a Palermo, ad esempio, sono passati in pochi anni da 40 a 7, e fra qualche giorno saranno 6 per un nuovo pensionamento.
Zero servizi, tanti soldi
Il paradosso è però che questi enti costretti all’inerzia da una riforma eternamente monca continuano ad assorbire un’enormità di risorse: il budget complessivo delle ex Province ammonta ogni anno a circa 110 milioni di euro fra spesa corrente e gli esigui stipendi del personale, per un conto che in questo decennio di stallo si aggira dunque intorno al miliardo. «Il problema — constata il segretario regionale della Cisal, Nicola Scaglione — è che manca un interlocutore politico e i servizi restano azzerati » . Così, senza una rotta certa, c’è chi galleggia e chi affonda: la situazione più drammatica è quella del Libero consorzio di Siracusa, che non approva un bilancio consuntivodal 2017 e che nonostante un taglio consistente del personale — da 530 a 414 funzionari, con il risparmio che ne consegue — è in dissesto da allora. «Il 2022 — dice il rappresentante sindacale Cgil Gianni Rizzotto — dovrebbe essere l’anno in cui si procederà alla stesura del piano di riequilibrio, ma mi chiedo come. Tra mutui, stipendi e utenze, ogni anno abbiamo accumulato ulteriore disavanzo, perché le entrate non bastano. La politica irresponsabile ci ha lasciato funzioni e competenze, tagliandoci i fondi. In questo quadro non so davvero come l’ente possa sopravvivere».
Si vota, anzi no
La soluzione, secondo il governo Musumeci, dovrebbe arrivare con un voto che la giunta — al sedicesimo tentativo dal 2013 — ha fissato per il 22 gennaio. Annunciandolo entusiasticamente («Noi — si è compiaciuta quel giorno la portavoce di Diventerà Bellissima, Giusi Savarino — vogliamo restituire dignità alle Province » ) nonostante per le candidature siano state scelte date di tono minore, 36 ore festive che di certo non favoriscono la partecipazione: la presentazione delle liste è infatti prevista dalle 8 del giorno di Capodanno alle 20 del 2 gennaio, una domenica. Il voto, però, probabilmente finirà per saltare: subito dopo l’indizione della tornata elettorale un cartello trasversale composto da Lega, Movimento per l’autonomia, Forza Italia e Partito democratico ha presentato un disegno di legge per disporre un nuovo rinvio, facendo infuriare proprio Diventerà Bellissima. Che è subito salita sulle barricate: la settimana scorsa, quando la conferenza dei capigruppo ha discusso se dare priorità alla norma, il presidente dei deputati musumeciani Alessandro Aricò ha chiesto un rinvio. Risultato? L’Ars va avanti, e oggi ne discuterà in commissione Affari istituzionali per cercare di dare il via libera definitivo prima possibile a quella che sarebbe la diciottesima legge sull’argomento.
La riforma della riforma
Anche perché, nel frattempo, sull’argomento è arrivata l’ennesima pronuncia della Corte costituzionale: esprimendosi sul superamento delle Province approvato «con la legge Delrio e le corrispondenti norme della Regione siciliana » , alla fine di novembre la Consulta ha rilevato come la norma attualmente in vigore «non sia in sintonia con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale circa l’uguaglianza del voto dei cittadini » . Così, all’Ars, già si fa avanti la proposta di una riforma della riforma, la diciannovesima: « Occorre un riassetto normativo — si sbilancia già il vicepresidente dell’Assemblea regionale, Roberto Di Mauro — auspico che quanto prima l’Ars recepisca questa sentenza e si riunisca al più presto per approvare una norma che ristabilisca l’elezione diretta dei presidenti delle Città metropolitane e dei Liberi consorzi dando così la possibilità ai cittadini di poter scegliere i loro rappresentanti territoriali » . Per ritornare al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. Nonostante un miliardo di spese, una montagna di servizi negati e un decennio trascorso inutilmente. Nella foga dei tagli senza criterio.
La Repubblica Palermo, 14/12/2021
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