Da sx: Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta,
Giovanni Falcone e Antonino Caponnetto
di LEONARDO GUARNOTTA
Trentasei anni fa, l' 8 novembre 1985, il Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto ed i giudici istruttori Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, firmano e depositano, a parziale esito di indagini condotte a decorrere dal 1980, l'ordinanza-sentenza nei confronti di Abbate Giovanni + 706, che consta di 8.608 pagine contenute in 40 volumi con 22 allegati, emessa nell'ambito del procedimento penale n. 2289/82 R.G.U.I.
E' il primo, fondamentale atto di accusa dei giudici palermitani nei confronti di Cosa nostra il cui incipit recita “Questo è il processo all'organizzazione mafiosa denominata Cosa nostra, una pericolosissima associazione criminosa che, con la violenza e la intimidazione, ha seminato e semina morte e terrore”.
Quel provvedimento ha spianato la strada al c.d. maxi-processo, celebrato dal 10 febbraio 1986 al 16 dicembre 1987, a carico di esponenti del “ghota” mafioso e loro sodali, i quali, quasi tutti arrestati e ristretti nelle 30 celle dell'aula bunker dell' Ucciardone, sono stati chiamati a rispondere, davanti la Prima Sezione della Corte di Assise di Palermo, di una lunga serie di gravissimi reati che per tanto, troppo tempo hanno insanguinato, ferito, oltraggiato, violentato la terra della nostra Sicilia così bella ma così sfortunata.
Il processo, ancora oggi il più grande mai celebrato al mondo nei confronti di una associazione criminale, si concluderà il 16 dicembre 1987, con la sentenza che ha comminato 19 ergastoli, 2665 anni di reclusione e pene pecuniarie per circa 11 miliardi di lire.
Il 30 gennaio 1992, la Corte di Cassazione porrà il suggello a quella sentenza riconoscendo definitivamente l'esistenza di Cosa nostra ma avrà come effetti collaterali, come emerso da investigazioni dell'epoca, la condanna a morte, per ordine di Salvatore Riina, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, “puniti” perche' colpevoli di avere voluto, con il loro quotidiano impegno, restituire la Sicilia ai siciliani onesti e le esecuzioni di Salvo Lima ed Ignazio Salvo.
Il primo, parlamentare andreottiano, ucciso il 12 marzo 1992 per non avere rispettato l'impegno, assunto con Cosa nostra, di fare tutto il possibile per, se non annullare, almeno “ ammorbidire” le disastrose conseguenze della sentenza della Corte di Cassazione.
Il 17 settembre 1992, sarà la volta di Ignazio Salvo, uomo d'onore della “famiglia” di Salemi, esattore statale per la Regione Sicilia e figura di spicco della DC palermitana, strettamente legato a Salvatore Riina, ucciso per ordine di quest'ultimo come ritorsione per non essere stato in grado, neppure lui, di mitigare se non “annullare”, come da promessa, gli effetti deleteri per Cosa nostra di quella sentenza.
L' 8 novembre è una data centrale nell'azione di contrasto a Cosa nostra ad opera di un piccolo manipolo di magistrati impegnati in una “guerra” mai ufficialmente dichiarata dallo stato italiano ma combattuta ogni giorno a Palermo. Sino alla fine.
Leonardo Guarnotta
ex magistrato del pool antimafia
del Tribunale di Palermo negli anni ‘80
8 novembre 2021
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