La Repubblica Palermo, 14/11/2021 |
DINO PATERNOSTRO
Non sono d’accordo con quanto ha scritto ieri su Repubblica Massimo Lorello. Ed ho inviato questa lettera. Ho chiesto insieme ad altri che il comune di Corleone protesti contro la scelta di Taofilm e Mediaset di usare il nome Corleone per la protagonista di una nuova serie tv. I corleonesi onesti e le istituzioni cittadine non minacciano nessuno. Sono solo stufi di essere sottoposti continuamente all’inutile fatica di Sisifo. Cercano con tutte le loro forze di scrollarsi di dosso il marchio CORLEONE=MAFIA, pare che ci stiano riuscendo, arrivano a scalare la montagna... ma poi accade sempre qualcosa a trascinarli di nuovo giù.
Sono stufi e stanchi i corleonesi onesti. E dispiace che adesso anche Repubblica invochi impropriamente il diritto di espressione che il comune di Corleone vorrebbe negare. Non vuole, non vogliamo negare nulla. Rivendichiamo solamente che il nome della nostra città non venga svilito e strumentalizzato per fini commerciali, per il successo di una serie tv.
Ma di quale censura parla Massimo Lorello? Noi invochiamo il nostro diritto a non essere usati come un marchio commerciale, come pubblicità impropria ad una fiction. Dispiace che Repubblica non comprenda una comunità che vuole davvero (almeno ci prova) voltare pagina, emarginare mafia e malaffare e stringersi sempre più ai suoi eroi civili (Verro, Rizzotto) e religiosi (S. Leoluca e S. Bernardo). Ci aiuti piuttosto!
Dino Paternostro
5 commenti:
Condivido pienamente la replica a Repubblica del direttore Dino Paternostro
Vincenzo Pollara
Condivido il commento e la rabbia. Gli abitanti di Corleone conoscono bene i comportamenti omertosi tanto da saperli distinguere a vista d'occhio.Inviterei Lorello a riflettere prima di confondere il diritto al silenzio della legalità operosa con il rumore prodotto da stereotipi vecchi e infruttuosi. Giovanni Perrino
Condivido in pieno la lettera di Dino a repubblica
NINO GENNUSA
Ancora una riflessione su quanto scrive Lorello.Con tutta la stima temo che gli sfugga il significato grave e corposo della parola omertà. La addebita alla protesta dell'amministrazione che rappresenta tutti gli abitanti mentre gli sfugge che l'uso strumentale del cognome Corleone, per altro inesistente, serve solo ad intercettare ascolti e curiosità giornalistiche che l'articolo stesso testimonia.Non vivo a Corleone ma non mi sfugge l'impegno degli amministratori a migliorare nella legalità la qualità di una convivenza civile che ha già pagato a caro prezzo il proprio riscatto dalla povertà e dalla criminalità organizzata.I lettori di Repubblica meritano un'informazione più qualificata e meno attenta agli interessi pubblicitari dei produttori di una fiction.
Questo revival su Corleone, per di più da parte di un giornale come Repubblica, è veramente in generoso. Il discorso sulla presunta omertà dei corleonesi è ingiusto. Ho 74 anni e ho vissuto a Corleone infanzia, adolescenza e parte della mia giovinezza. I corleonesi non hanno mai accettato la mafia, ricordo che nelle riunioni familiari o tra amici se ne parlava in termini sprezzanti, anche se poi questi discorsi non si facevano apertamente per paura di rappresaglie. Oggi il clima culturale è cambiato e si può esprimere tranquillamente quel che si pensa della mafia. A Corleone i giovani manifestano le loro opinioni con la massima naturalezza, altro che omertà. I media hanno una grande responsabilità nel favorire questo processo di riscatto. Parlare ancora di omertà a Corleone certamente non aiuta la città.
Pippo La Barba
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