Don Luigi Sturzo
Centocinquant’anni fa a Caltagirone nasceva il fondatore del Partito popolare. Il dibattito sulla sua eredità: “Alternativo al clientelismo, fu un uomo del dissenso”
di CLAUDIO REALE
Un secolo e mezzo dopo la lezione è stata spesso tradita, ma non del tutto perduta. Perché la traiettoria filosofica di don Luigi Sturzo, del quale venerdì ricorre il 150° anniversario della nascita, non è sovrapponibile a quella Democrazia cristiana che in vita percepì come una figliastra distante dalla sua lezione: «Quando fu nominato senatore a vita — ricorda Eugenio Guccione,ordinario di Storia delle dottrine politiche dell’università di Palermo in pensione e adesso docente di Filosofia politica alla Pontificia facoltà teologica di Sicilia — don Sturzo non si iscrisse alla Democrazia cristiana. Voleva un partito dei cattolici, non un partito cattolico». «In fin dei conti — aggiunge il sindaco di PalermoLeoluca Orlando — la sua caratteristica peculiare fu il dissenso con il Vaticano. C’era ilnon expedit? Si impegnava politicamente. La Santa Sede firmava il concordato con i fascisti? Andava in esilio. Nasceva la Dc? Si schierava in dissenso».
L’anniversario sarà ricordato con un ciclo di eventi online organizzato da Stefano Vitello, presidente dell’associazione Luigi Sturzo di Caltanissetta, in collaborazione con il Centro internazionale di studi sturziani, l’istituto Sturzo di Roma e l’istituto di sociologia Sturzo di Caltagirone: l’esordio è previsto venerdì alle 19 sul sito sturzocaltanissetta.it con una lectio magistralis del nipote, Gaspare Sturzo, magistrato e presidente del Centro internazionale di studi Luigi Sturzo. «Di quella lezione — osserva l’ex segretario generale della Cisl Sergio D’Antoni — resta tanto. Di certo rimane la centralità della persona e il giusto equilibrio del ruolo dello Stato fra il liberismo più sfrenato e lo statalismo estremo. Un equilibrio che oggi è certamente rappresentato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. È persino fin troppo facile dirlo, e non solo perché Mattarella come don Sturzo è siciliano».
Su tutte spicca una lezione: la capacità di coniugare etica e politica. «Per don Sturzo — sorride Guccione, che ha contribuito a “Luigi e Mario Sturzo. Il progetto cristiano di democrazia”, edito da Salvatore Sciascia in ricordo del centesimo anniversario dell’Appello ai liberi e forti,ricorso nel 2019 — è in corso un processo di canonizzazione. Manca il miracolo, ma è sotto i nostri occhi: essere riuscito a coniugare l’etica e la politica». «Oggi — ragiona l’ex ministro Enrico La Loggia — occorrerebbe un grande centro, una nuova grande Democrazia cristiana riveduta e corretta, emendata di tutte le compromissioni che specialmente negli ultimi tempi fecero prima soffrire e poi morire lo Scudo crociato». Compromissioni che deviavano decisamente dalla lezione sturziana: «Tutto si può dire di don Sturzo — prosegue Orlando — ma certamente era alternativo a quel clientelismo che purtroppo ha condannato la Democrazia cristiana prima e lapolitica italiana poi. Nel 1991, con la fondazione della Rete, e poi nel 1993 con l’elezione diretta a sindaco di Palermo, ruppi per primo l’unità dei cattolici in politica, ma quando nel 2001 corsi alle Regionali aprii la campagna elettorale a Caltagirone e la chiusi a Castellammare del Golfo. Da don Sturzo a Piersanti Mattarella: quella era la traiettoria del popolarismo».
Che però conobbe, per dirla con D’Antoni, «intensissimi alti e bassi. La primavera della Sicilia di Piersanti Mattarella e l’evoluzione della Dc che sostenne quello sforzo — avvisa l’ex sindacalista — arrivarono dopo la morte di don Sturzo, ma non possono essere cancellate dai bassi che le avevano precedute». «Don Sturzo — ricorda La Loggia, il cui padre, Giuseppe, fu presidente della Regione subito prima di Silvio Milazzo e fu fra i fautori dello Statutoautonomistico siciliano — non fu sempre d’accordo con le scelte che andavano maturando. Si era affezionato a Milazzo, ma poi dovette in qualche modoescluderlo dalle sue preferenze quando si rese conto che l’ascesa del Milazzismo era tutt’altro che l’affermazione dell’autonomia siciliana, ma solo una sporcastrategia di potere. Il risultato fu molto misero e portò solo danni alla Sicilia». In quegli anni Giovanni Gioia prese le redini del partito, e la strada siciliana si divaricò da quella nazionale: ad esempio sul petrolio la Democrazia cristiana dell’Isola preferiva le Sette sorelle all’Eni, ma soprattutto in quegli anni si aprì la strada al sacco di Palermo.
«Don Sturzo preferì allontanarsi da quella Dc», ricorda Guccione.
«La sua lezione — dice Orlando — sembrerebbe appartenere a un’altra era geologica. Eppure il suo percorso è ancora di estrema attualità». «Il patrimonio sturziano — commenta D’Antoni — va ricostruito storicamente. È un patrimonio che adesso come non mai va riacquisito alla politica».
Nonostante i tradimenti.
Nonostante le deviazioni.
Nonostante gli alti e i bassi.
La Repubblica Palermo, 24/11/2021
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