di Maurizio Muraglia
I fatti sono noti. La Procura per i minorenni di Palermo ha chiesto al tribunale di allontanare sette bambini dai genitori accusati di spaccio, ponendo sotto esame altri 50 casi. È accaduto allo Sperone, ma poteva accadere in altri quartieri della città. I bambini saranno affidati a comunità di recupero. È un intervento la cui rilevanza è di carattere educativo. E merita per questo qualche riflessione.
L’articolo 30 della Costituzione afferma: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti». E lo Stato qui si riserva facoltà di intervenire «per evitare il rischio che la crescita dei minori venga compromessa», secondo quanto affermato dalla procuratrice per i minorenni di Palermo Claudia Caramanna.
È in gioco una vera e propria sostituzione della titolarità educativa e non sfugge a nessuno l’estrema complessità di una situazione del genere, soprattutto se ci si pone dal punto dei vista dei bambini. Un bambino che vive in condizioni di sofferenza psicofisica, per quanto anch’egli traumatizzato dalla separazione, può ancora provare il sollievo di chi viene salvato dagli angeli custodi delle istituzioni. Più complicato risulta invece sintonizzarsi sullo sguardodi un bambino che non ha percezione della negatività del contesto in cui vive, e che magari guarda ai propri genitori come degli eroi che gli garantiscono il benessere. Come vivrà lo sradicamento?
Sono riflessioni che riguardano i modelli culturali ed educativi di una società e finiscono per chiamare in causa anche la scuola.
Quando ogni bambino varca i primi cancelli scolastici vede questi modelli entrare in corto circuito con altri codici, altri linguaggi, altre posture relazionali. Quale modello risulterà vincente nella sua vita?
Molto dipende dai simboli della strada. Se la strada è segnata dainefficienza, bruttezza, indigenza e violenza, sarà molto difficile per l’azione educativa della scuola averla vinta sui codici devianti della casa. E questo riguarda anche le chance di recupero che dovrebbero avere le comunità cui vengono affidati questi bambini. Perché ciò che non ha recuperato la scuola dovrebbe essere recuperato dalle comunità di accoglienza, se i segnali della strada continuano a essere gli stessi, cioè incuria, impotenza delle istituzioni, carenza di luoghi di aggregazione culturale, artistica, musicale, sportiva, carenza di educatori di strada?
Chi potrà supplire la genitorialità perduta? Sia chiaro, la domandanon intende in nessun modo entrare nel merito dell’intervento giudiziario. La domanda vuole interpellare tutto il sistema di relazioni — politiche, sociali, culturali, educative — che deve sostituire la genitorialità perduta.
Che non è fatta soltanto di modelli e valori, ma anche e soprattutto di affetti e di emozioni.
Circolano affetti ed emozioni nelle scuole, insieme alle cose da imparare, e sarebbe gran cosa se la scuola potesse essere quel luogo dove si previene l’intervento delle procure. E invece i bambini non ci vogliono andare a scuola. Perché ci sono le regole e per giunta si deve faticare sui libri. Non che non vogliano le regole, perché anche a casa ci sono le regole, quelle di papà e mamma. Ma le regole della casa non hanno la pretesa di regolare la vita della strada mentre le regole della scuola sì. Basterebbe che chi si occupa della strada lo facesse seriamente per invertire il trend e lasciare che i bambini continuino a stare con i propri cari.
La Repubblica Palermo, 28/11/2021
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