di Lucio Luca
Il saggio del figlio del segretario regionale del Pci ucciso da Cosa nostra. "L'inadeguato senso di responsabilità e dell'agire incoerente della nostra classe dirigente, la difficoltà di aggiornare la lettura del fenomeno mafioso e l'incapacità di costruire e nutrire ampie alleanze"
In una tiepida mattinata di settembre del 1982, a Villa Pajno, sede della Prefettura di Palermo, si presenta Romolo Dalla Chiesa, fratello del generale dei 'Cento giorni' ucciso qualche giorno prima dalla mafia insieme alla moglie Emanuela e all'autista di scorta. Poco più avanti, in via Carini, dove i sicari di Cosa nostra avevano massacrato l'uomo inviato in Sicilia per combattere le cosche, c'è ancora la scritta lasciata da un autore anonimo: "Qui è morta la speranza dei palermitani onesti". Romolo Dalla Chiesa chiede di entrare per recuperare alcuni effetti personali del fratello, ma il portiere di Villa Pajno non lo lascia passare. Al suo posto entra un ex impiegato della Prefettura, cacciato qualche mese prima per le sue parentele mafiose.
La famiglia Dalla Chiesa riuscirà a visitare quella che fu l'ultima casa del generale e della moglie soltanto alcune settimane più tardi. Troverà la cassaforte vuota. Qualcuno, evidentemente, si era preoccupato di eliminare qualsiasi carta compromettente. Il suo testamento, comunque, il generale che sconfisse il terrorismo lo aveva consegnato a Giorgio Bocca, in un'intervista a Repubblica che è rimasta nella storia. Quella nella quale denunciava lo Stato di averlo mandato al macello senza dargli quei poteri indispensabili per lottare ad armi pari contro una piovra mai così forte con in quei primi anni Ottanta.
Parte dalla strage di via Carini il racconto dell'antimafia tradita di Palermo firmato per Zolfo Editore da Franco La Torre, figlio del segretario regionale del Pci ucciso soltanto qualche mese prima di Dalla Chiesa. Pio La Torre aveva avuto un'intuizione semplice ma decisiva per combattere i boss: togliergli i patrimoni, le aziende, le case. In una parola, i piccioli, i soldi, la ragione della loro vita. Perché un mafioso lo puoi arrestare, metterlo al 41 bis, levargli pure i figli. Ma i soldi no, quello proprio non riesce a sopportarlo. Non fece in tempo il povero La Torre a vedere approvata la sua legge, i sicari di Cosa nostra arrivarono prima. E, per sua fortuna, non ha visto nemmeno lo scempio che alcuni magistrati hanno fatto di quella sua intuizione, i beni gestiti come propri, le assunzioni di amici e clienti, lo scandalo passato alla storia come il 'caso Saguto' con tanto di condanne - in primo grado - per la presidente delle Misure di prevenzione e i suoi fedelissimi.
L'antimafia tradita, riti e maschere di una rivoluzione mancata colloca proprio all'indomani della morte di Carlo Alberto dalla Chiesa la nascita di un movimento di rivolta dei "cittadini onesti" contro le cosche. "Questo libro non nasce per celebrare i risultati ottenuti ma per ragionare di una crisi che l'antimafia, nel suo complesso, vive ormai da tempo - scrive Franco La Torre - Perché è successo questo? Perché oggi l'antimafia sembra essere diventata, soprattutto, uno stanco rito dove sempre le stesse persone ricordano i caduti di una terribile guerra?".
Per l'autore, la crisi dell'antimafia è il risultato "dell'inadeguato senso di responsabilità e dell'agire incoerente della nostra classe dirigente, della difficoltà di aggiornare la lettura del fenomeno mafioso e dell'incapacità di costruire e nutrire ampie alleanze". In sostanza, lo Stato avrebbe dovuto assumersi le sue responsabilità e non l'ha fatto. Ha scelto di intervenire in risposta agli attacchi mafiosi, ma non di dare alla lotta alla mafia la priorità che merita quando a essere minacciata è la democrazia e non l'interesse di pochi. Ha delegato la magistratura che ha fatto quello che ha potuto. Del resto gli stessi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino dicevano che la loro azione era paragonabile allo svuotare il mare con un bicchiere. Per questo si erano rivolti alla politica affinché fosse lei il motore. Ma la politica, secondo il figlio del segretario del Pci siciliano, è stata assente. Come se, con l'approvazione della Rognoni-La Torre, avesse considerato assolto il suo compito mentre, nel frattempo, qualcuno continuava a fare affari come prima.
"Sono certo che mio padre - scrive La Torre - rimarrebbe un po' perplesso nel vedere l'antimafia seguire, ormai da anni, lo stesso canovaccio, che si autocelebra e che scambia l'analisi e l'azione con il calendario degli omicidi delle vittime innocenti. L'antimafia come liturgia che celebra il passato ma non guarda verso il futuro". La Torre non può fare a meno di rivolgersi anche ai media, la cui attenzione verso il fenomeno mafioso, negli ultimi anni, è quasi del tutto scemata. "La mafia è passata di moda, non fa più notizia" spiega. "Poi, un giorno, su un giornale nazionale, ho scoperto la storia di Antonello Montante, presidente di Confindustria Sicilia, che si era abilmente costruito l'immagine di paladino contro le cosche e, per questo, era stato nominato responsabile Legalità di Confindustria nazionale e nel direttivo dell'Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati. Oggetto d'indagini per reati di mafia e corruzione, è stato condannato in primo grado, con rito abbreviato, a quattordici anni di reclusione per associazione a delinquere e corruzione. Una notizia clamorosa che è stata trattata quasi alla stregua di un evento locale e spesso è rimasta sulle pagine dei giornali della sola Sicilia".
Ecco, secondo La Torre la vicenda Montante è il paradigma dell'antimafia tradita, la storia di una rivoluzione mancata in una terra come la Sicilia che ha ancora bisogno di rialzarsi. "L'antimafia l'abbiamo tradita noi - conclude l'autore - tradita dal venire meno di un impegno collettivo. L'abbiamo tradita in tanti, forse anche io che non sono stato all'altezza del patrimonio ereditato da mio padre. Ognuno ci ha messo del suo, chi più e chi meno. L'abbiamo tradita perché ci siamo accontentati. Abbiamo pensato che, se non avessimo agito noi, l'avrebbe fatto qualcun altro. Abbiamo delegato, insomma, perché ritenevamo di avere cose più importanti di cui occuparci".
La scheda
L'antimafia tradita riti e maschere di una rivoluzione mancata
di Franco La Torre
Zolfo Editore
pagg. 256, euro 17
La Repubblica, 26/11/2021
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