di Eleonora Lombardo
Luci accese fino a tarda sera all’Istituto Gramsci di Palermo: attorno al grande tavolo della biblioteca che custodisce l’archivio personale di Pio La Torre si lavora tra i documenti, le carte e le fotografie per rinnovare la memoria e disegnare un ritratto quanto più vivido possibile del segretario regionale del Pci ucciso dalla mafia il 30 aprile del 1982 a Palermo.
«Cercherò di raccontare la vita politica, le ragioni della sua morte e al tempo stesso cercherò di raccontare l’essere l’umano», racconta Walter Veltroni, l’ex segretario del Partito democratico che da anni si dedica all’impegno civile attraverso il cinema. Veltroni è a Palermo per mettere insieme il materiale d’archivio e raccogliere le interviste che gli consentiranno tra febbraio e marzo prossimo di iniziare a girare il docufilm, prodotto da Minerva Pictures, dedicato al grande politico siciliano ideatore della legge sul reato di "associazione di tipo mafioso" e la confisca dei patrimoni di provenienza illecita, il pacifista che si oppose alla costruzione della base Nato di Comiso, l’ambientalista che cercò di contrastare la brutale speculazione edilizia.
A lavoro con Veltroni, soprattutto per ricostruire l’infanzia e la prima parte della vita di La Torre, Monica Zapelli, la sceneggiatrice dei "Cento passi", e una squadra di consulenti tra cui il figlio di La Torre, Franco, il giornalista Mario Azzolini, Alessandra Chello per gli archivi e Riccardo Guidi per il lavoro parlamentare nella commissione antimafia.
Qual è il suo ricordo personale di Pio La Torre?
«Dalla metà degli anni Settanta ci siamo frequentati tanto, facemmo insieme la campagna di comunicazione per Comiso e c’era una grande simpatia reciproca. Pio era una persona molto piacevole, aveva qualcosa di autentico dentro, si capiva che c’era una motivazione grande che non aveva a che fare con se stesso e il proprio ruolo, ma con il destino della propria comunità».
Quali saranno i temi rilevanti del docufilm?
«Comiso sarà un tema molto rilevante, così come la lotta alla mafia, tutti gli interessi maturati nel corso della sua esperienza politica e anche le difficoltà interne al partito e poi la sua bellissima storia, quella di un bambino di una zona povera di Palermo, figlio di contadini che diventa quello che è diventato solo con le sue forze. Con la determinazione e l’energia che si vedeva nei suoi occhi. E poi la storia del matrimonio con Giuseppina e di questi due figli fantastici, Franco e Filippo. Tra le interviste del film una molto importante è quella a Tiziana Di Salvo, la figlia di Rosario, attivista del partito assassinato insieme a Pio: il film darà la giusta rappresentazione della sua figura».
Ma chi era davvero Pio la Torre?
«C’è stata una generazione che ha fatto politica come la forma più alta di impegno civile, politico e umano. Pio aveva un fuoco e combatteva qui le battaglie in cui credeva, prima quelle per i diritti dei braccianti, poi contro la mafia, per la giustizia sociale, poi quelle per la pace con Comiso. Questo è un aspettosingolare perché Pio era considerato un moderato nella geografia del Partito comunista, eppure su Comiso scatena una mobilitazione di massa, un milione di firme raccolte, una cifra pazzesca».
Che cosa ha determinato la sua morte?
«Aveva capito che la mafia era un sistema, che non era più un’ancella del potere ma si stava facendo potereessa stessa, che si intrecciava sempre di più, in una posizione da padrona, con la politica, la finanza, anche con pezzi di stato oscuro. Come per Moro, per Mattarella, per Dalla Chiesa, quella di La Torre è stata una morte nell’auspicio di tanti soggetti diversi.
La mafia ha sparato sicuramente, in tutti questi casi, però, penso che tanti avranno tirato un sospiro di sollievo: gli omicidi politici hanno spesso questo obiettivo. Il corso della storia è cambiato con gli omicidi politici, la morte di Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano e Nobel per la pace, ha cambiato il corso della storia, come quella di Moro. Uccidere Mattarella, Pio La Torre e Dalla Chiesa significava rimuovere le energie più sane di questa città e di questa regione».
Qual è per lei il ruolo della memoria?
«Ho un’ossessione per la memoria, che non ha nulla a che fare con la nostalgia, non posso avere nostalgia dei tempi di Sindona, della P2, della mafia, non ce l’ho assolutamente, forse ho nostalgia di alcune persone, quelle che abbiamo citato, del clima di passione civile che c’era e che certo non avrebbe determinato il 45% di affluenza all’elezioni che abbiamo registrato. La memoria non deve diventare negazione del presente e disinteresse per il futuro, ma non riesco a immaginare una vita senza memoria».
Nel discorso politico di oggi ci sarebbe spazio per un Pio La Torre?
«C’è sempre spazio e bisogno di persone così, che considerino la politica una missione civile, la più bella, la più affascinante, la più gratificante delle missioni civili o degli strumenti per dare alla propria esistenza un’identità».
E dove si ritroverebbe?
«Nella sinistra democratica, dove è sempre stato»
In questi giorni la piazza sta esprimendo passione civile?
«Queste piazze sono il prodotto distorsivo dei "social" che fanno il contrario di quello di cui ci sarebbe bisogno, ovvero avere il coraggio del dubbio. Si stanno costruendo delle legioni che si stringono intorno ai recinti di appartenenza e gettano odio su chiunque è diverso da sé. Mai come oggi abbiamo bisogno di frequentare il dubbio, l’anima di ogni libertà. Il fascino della piazza si esprime quando vuole qualcosa e non quando la nega».
C’è bisogno di una nuova rappresentazione degli Italiani?
«Sono molto ottimista. Gli Italiani non sono la rappresentazione che se ne fa, noi siamo vittime di una dittatura delle minoranze, per cui se 600 persone scrivono un tweet i media tradizionali scrivono "Esplode la rete". Stiamo parlando di 600 persone su 60 milioni. Il Paese è migliore dell’isteria e lo abbiamo dimostrato durante il lockdown».
Repubblica Palermo, 23/10/2021
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