«Un po’ di anni fa realizzai un catalogo a Corleone, i modelli erano i ragazzi del paese. Volevo dimostrare che i corleonesi non sono Totò Riina. Proiettammo le foto su un grande muro. Eccoli “i corleonesi” veri, non i criminali della cosca mafiosa. Ricordo l’entusiasmo straordinario di quei ragazzi».
di Massimo Lorello
«La Sicilia è una grande discarica di intelligenze, la più grande della Terra». Oliviero Toscani, milanese, 79 anni, fotografo tra i più celebri al mondo, sintetizza il suo pensiero al culmine di un lungo, urticante j’accuse.
Ma perché ce l’ha tanto con la Sicilia?
«Io non ce l’ho con la Sicilia ma con i siciliani».
Cosa le hanno fatto i siciliani?
«Cosa fanno ogni giorno contro loro stessi, direi. In Sicilia si opera in un sistema di perenne compromesso. Sono incazzatissimo con i siciliani».
C’entra qualcosa la sua esperienza di assessore della giunta Sgarbi a Salemi?
«Io nel 2008 a Salemi ho avuto l’idea delle case in vendita a un euro e
avevo preparato altri progetti molto interessanti, ma lì c’era un certo
Giammarinaro».
Intende Pino Giammarinaro, dirigente della
Dc andreottiana?
«Esattamente, comandava lui. Ma i siciliani sono così tolleranti, tollerano
i Giammarinaro e quella mentalità lì».
Quale mentalità?
«La mentalità del compromesso: non puoi realizzare nulla se non attraverso
continue, estenuanti mediazioni. Il mio amico Philippe Daverio (lo storico
dell’arte scomparso lo scorso anno, ndr) parlava peggio di me della
Sicilia, diceva che non ha mai sofferto come in Sicilia. Perché arrivi con il
cuore colmo di entusiasmo e te ne vai travolto dalla delusione».
Eppure il fascino della Sicilia regge e si
consolida, almeno a giudicare dal record di presenze turistiche. Come giudica
questo fenomeno?
«Il padrino piace sempre».
E no. Tanti turisti non vengono in Sicilia
per “Il padrino” ma per i monumenti, i siti archeologici, il mare.
«Certo, tutta roba creata da madre natura o che hanno realizzato gli avi
dei siciliani di oggi. I residenti attuali non hanno alcun merito per la
bellezza che abbonda in Sicilia.
Si ritrovano in mezzo a un tesoro inestimabile che davvero non meritano.
Anzi».
Anzi?
«Quando possono, infieriscono contro la loro terra. Gli scempi che sono
stati fatti in Sicilia sono troppi e tremendi. Pensi a cosa hanno combinato
nella Valle dei templi».
Quindi la Sicilia è irredimibile?
«Non lo so, non posso dirlo. Io parlo di quello che ho visto. La prima
volta che sono stato nell’Isola avevo 22 anni, era il 1964. Mi mandarono a fare
un reportage per l’Europeo sul rapporto tra il clero e i boss. Ricordo
che arrivai con il giornalista Giorgio Pecorini, la nostra guida era Mauro De
Mauro. Andavamo in giro a parlare con la gente e ci dicevano che la mafia non
esisteva, che era una fantasia del Nord».
Quella era la Sicilia di una volta.
«È sempre la Sicilia».
Ma negli anni successivi è nata e si è
consolidata una cultura antimafiosa che ha avuto il suo culmine nelle proteste
di piazza del 1992. Anche quella è la Sicilia, o no?
«Ma certo. È stata una stagione importantissima e il ricordo accresce il
mio rammarico, non lo attenua».
Perché?
«Perché la Sicilia è la più grossa discarica di intelligenze che esista al
mondo. In Sicilia trovi persone geniali, e sono tante, ma non riescono a
emergere per colpa di un sistema fondato sul compromesso».
Lei a Salemi era assessore alla
Creatività. Eppure dice di non essere un creativo, o mi sbaglio?
«Non si sbaglia. Io non ho mai detto di essere un creativo, sono gli altri
che mi considerano così. Perché la creatività è la conseguenza del lavoro
fatto. Lo dicano gli altri se sono creativo. Chi dice di essere un creativo è
solo un cretino».
Non c’è una possibilità di riscatto per la
Sicilia?
«Un po’ di anni fa realizzai un catalogo a Corleone, i modelli erano i
ragazzi del paese. Volevo dimostrare che i corleonesi non sono Totò Riina.
Proiettammo le foto su un grande muro. Eccoli “i corleonesi” veri, non i
criminali della cosca mafiosa. Ricordo l’entusiasmo straordinario di quei
ragazzi».
E allora c’è una speranza per Sicilia, non
trova?
«Ma se io parlo così è perché vivo di speranza. In assessorato a Salemi
avevo venti ragazzi, tutti volontari di straordinaria intelligenza. Ma restano
una minoranza che alla fine tollera il marcio che la circonda, che
circonda i siciliani onesti, virtuosi e geniali».
L’amministrazione regionale ha
commissionato al regista premio Oscar Gabriele Salvatores un video promozionale
della Sicilia: verrà proiettato all’Expo di Dubai. Le è piaciuto?
«Lo trovo di una tristezza unica, non è appetitoso, ma per niente. È stato
girato in bianco e nero. Una scelta che va bene per Dolce e Gabbana o per le
foto di Ferdinando Scianna. Ma poi basta, basta. La Sicilia è colorata».
La Red Bull ha realizzato un video con la
macchina di Formula Uno che scorrazza per la città esaltandone le bellezze. Cosa
ne pensa?
«La solita ideuzza da marketing, una cosa molto commerciale. Certamente non
è il racconto che merita la Sicilia».
E non vuole realizzarlo lei questo
racconto? Non ha voglia di tornare a raccontare la Sicilia?
«Qualcuno mi domandi di farlo e io sono pronto».
Se le chiedessero di farlo, da dove
partirebbe il suo progetto?
«Dall’umanità. Le facce dei siciliani sono il paesaggio più straordinario
dell’Isola. Sto preparando una grande esposizione, verrà allestita sulla
Alexanderplatz a Berlino, si intitola “I tedeschi del ventunesimo secolo”.
Quando dici “un tedesco”, la gente pensa ai capelli biondi o magari a Hitler.
Insomma, pensa ai luoghi comuni e al passato. Per tanti l’impressione non è
positiva, certamente non simpatica. Ma ho studiato la Germania e oggi nessun
Paese d’Europa è cosmopolita come lei. Sono andato lì e ho fotografato mille
persone per strada. Sarebbe fantastico farlo in Sicilia. Come sarebbe bello
raccontare l’evoluzione dei siciliani dopo la mafia».
Le sta venendo voglia, eh.
«Certo. Perché in quei volti puoi leggere la storia, le radici e le
contaminazioni di una terra meravigliosa, puoi ammirarne i colori, persino
l’aria che si respira. I siciliani possiedono il più bel paese al mondo e non
li sopporto perché lo trattano male».
C’è un posto della Sicilia al quale è
particolarmente legato?
«Era la prima metà degli anni Sessanta, c’era un giornalista inglese che
faceva il corrispondente del Times, viveva in un paesino incredibile
dell’entroterra ma in questo momento non ricordo il nome, era vicino a Palma di
Montechiaro. Ricordo benissimo, invece, che su un pendio avevano organizzato
una fiera di animali. C’erano pecore, muli, mucche, galline e uomini con il
tabarro che parlavano sottovoce. Il tutto illuminato da una luce pazzesca,
unica. Che posto meraviglioso».
Proverà a ritornarci, anche se al momento
non ne ricorda il nome?
«Sì, penso proprio che dovrei ritrovarlo».
La Repubblica Palermo, 17.10.2021
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